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«Sono Alessio Cragno, balbetto, pazienza. Le mie interviste danno coraggio a chi soffre come me»

Lettera a Cronache di Spogliatoio: «Tutta colpa del diaframma. Del mio stato emotivo. Provo a curarle. Il microfono è bastardo»

«Sono Alessio Cragno, balbetto, pazienza. Le mie interviste danno coraggio a chi soffre come me»
Db Firenze 07/10/2020 - amichevole/ Italia-Moldovia / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Alessio Cragno

Il neo acquisto del Monza, il portiere Alessio Cragno, ha scritto una lettera a Cronache di Spogliatoio per parlare della sua balbuzie. Racconta il problema con cui deve fare i conti, insorto quando era piccolo.

«Tutta colpa del diaframma. Del mio stato emotivo. Ho provato a curarle, e lo faccio ancora adesso. Vado dalla logopedista, ogni tanto faccio un ciclo di terapie. Da adulto è molto più facile. Quando hai 6 anni, prendi tutto come un gioco: leggi, fai le pause, impari a respirare nel modo corretto. Lo fai divertendoti. Da grande impari ad ascoltarti, a gestirti, a renderti conto di cosa serva davvero per migliorare. Ora ho maggiore consapevolezza di quello che faccio».

A causa della balbuzie, il suo incubo sono sempre state le interviste post partita.

«A 16 anni ho approcciato alle prime interviste nella Prima Squadra del Brescia. Sei in piazza, alla presentazione della squadra, e qualcosa devi dire. Sei il più piccolo, ed è la prima volta che parli davanti a tanta gente. Lì si è palesato il mio incubo: il microfono. Il microfono è bastardo perché, mentre parli, non senti direttamente la tua voce, ma la ascolti dalle casse. Tremendo».

Il portiere lancia un messaggio a chi soffre del suo stesso disturbo.

«Sono Alessio Cragno. Balbetto. Pazienza. Sono questo: parlo, balbetto, vado in diretta tv e faccio le interviste balbettando. Capita che, una volta rientrato negli spogliatoi, trovi qualche messaggio su Instagram: ‘Ciao, ti ho visto, ma come fai? Io soffro del tuo stesso problema e mi vergogno nell’approcciare alle persone’. Ne patiscono, come me, oppure sono i genitori di quei ragazzi che hanno la mia stessa caratteristica. Mi dicono ‘grazie’ perché mi vedono sereno e prendono coraggio».

 

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