Nella chat di gruppo “Vattene a Bari”: il fantaracconto di un anno vissuto disperatamente e terminato nel peggiore dei modi. Eppure a Dimaro era stato così bello
Gaetano se ne stava lì, con una smorfia più simile ad una paresi che a un sorriso. Ogni tanto qualcuno che passava lo spintonava o gli dava una pacca sulla spalla, qualcuno che non aveva mai visto gli dava il cinque o addirittura lo abbracciava. Nella sua testa quei suoni, quelle urla rimbombavano come in una enorme cassa di risonanza. Tutto era confuso.
Ciro invece stava a casa. Il papà anziano non se la sentiva di uscire e gli aveva chiesto di restare con lui quel pomeriggio. Ora stava sulla sua poltrona, con un bicchiere di spumante in mano a godersi lo spettacolo. Ogni tanto si girava verso Ciro con gli occhi pieni di gioia ed era veramente difficile far finta che tutto andasse bene.
Pasquale era a Londra. Il solito gruppetto si era riunito anche stavolta, ma per l’occasione era molto, molto più nutrito. Sembrava che chiunque avesse messo piede anche una sola volta a Napoli avesse sentito l’obbligo di essere lì, insieme a lui, per saltare e ballare. C’era anche Giovanna, che le altre volte non era mai voluta venire e stavolta si era addirittura vestita a tema e continuava a baciarlo e a stringerlo.
Antonio e Salvatore, infine, dopo una lunga discussione avevano deciso di starsene per conto loro, a casa di Antonio. Proprio non ce la facevano a mischiarsi con gli altri. Angela, la moglie di Antonio, gli aveva chiesto se voleva il sartù di riso, quello fatto con il ragù, quello che aveva fatto da colonna gustativa di tutte le date importanti della loro vita. Ma Antonio aveva risposto di no, che non era il caso, sai la scaramanzia…
Luoghi diversi, compagnie diverse, ma tutti e cinque avevano lo stesso stato d’animo. Com’era stato possibile? Si sentivano come se fossero passati solo pochi giorni da quando erano andati insieme a Dimaro. Pasquale era atterrato a Verona e gli aveva fatto la sorpresa: cinque magliette uguali, bianche con il logo dell’autostrada A16 stampato al centro. Il ricordo ancora faceva sorridere il gruppo di amici. Ma era un sorriso nostalgico e doloroso, perché poi era precipitato tutto.
Il georgiano si era capito già nelle amichevoli di agosto che era forte, i difensori invece all’inizio li avevano riempiti di speranza. Per tre/quattro giornate non ne avevano imbroccata una, poi come per magia si erano trasformati.
A ottobre già sui social erano rimasti quasi solo loro a scrivere a ripetizione #A16 sotto a tutti i post del Napoli sui social. Ma non si erano arresi, anzi. Era talmente la consapevolezza di avere ragione, di essere nel giusto, che essere sempre di meno sembrava l’ovvio riconoscimento per il loro pensiero elitario.
Dopodiché, campioni d’inverno. Ma tanto era già successo, no? Solo che stavolta niente crisi, neanche un punto perso con l’Empoli. Nemmeno un infortunio, una squalifica, un ammutinamento. E mo, con tre giornate di anticipo (nientedimeno tre giornate di anticipo! Andavano di fretta ‘sti fetienti. Nemmeno avessero qualcosa di personale contro di loro): lo scudetto.
In teoria lo stavano aspettando dal 1990. In teoria avrebbero dovuto essere felici. In teoria avrebbero dovuto dire “ci siamo sbagliati, meno male che non è andato a Bari”.
In teoria. In pratica avevano i crampi allo stomaco per la rabbia. Perché loro erano ancora convinti, avevano ragione, ragione da vendere. Quello che era successo era contro la logica, un colpo di fortuna, c’erano delle ragioni chiare come l’imprevedibile crollo del Milan e il fatto che i nuovi acquisti della Juve avevano giocato poco e niente. Pure la Roma era venuta meno.
Nella chat di gruppo “Vattene a Bari” nessuno aveva il coraggio di scrivere niente. Taceva dall’ultima giornata di campionato. L’ultimo messaggio era di Gaetano e recitava “Rigore regalato e vittoria immeritata”.
A rompere il silenzio, il giorno dopo, fu Salvatore: “Embè, mi dovete credere: se possibile oggi lo schifo ancora di più”.