Al CorSera: «Mi definivano antipatica, ma dovevo difendermi da produttori, registi, attori, fotografi e giornalisti. Mi hanno aiutata 30 anni di analisi»
Il Corriere della Sera intervista Giuliana De Sio. Attrice di cinema, teatro e televisione, ha lavorato con tanti grandi attori e registi. Racconta gli inizi della sua carriera, intrapresa quasi per caso, grazie ad Alessandro Haber.
«Ero giovanissima, una diciottenne in fuga da casa. Appena finito il liceo a Cava de’ Tirreni, dove vivevo con la mia famiglia, arrivai a Roma. Cominciai a frequentare comunità hippy e amici che lavoravano nell’ambiente dello spettacolo. Conobbi Alessandro Haber, che avevo visto recitare in teatro e mi aveva colpito come attore, ma lui prese a corteggiarmi in maniera spietata… cedo alla sua corte. Non avevo mai pensato di fare il suo mestiere, fu lui che, essendo convinto di aver intravisto in me qualcosa di giusto per lo schermo, prima mi scatta una serie di foto sul terrazzino di casa, poi mi prese per la collottola e mi portò da un agente cinematografico».
Fu così che iniziarono a piovere offerte per partecipare ai provini.
Perché era scappata di casa così giovane?
«Una famiglia difficile. Mio padre, avvocato, se ne andò di casa molto presto, quando mia sorella Teresa ed io eravamo bambine. Mia madre, laureata in medicina, senza aver mai praticato la professione, cominciò a bere. Era una donna infelice, una delle più infelici che abbia mai conosciuto. Difficile stare vicino a una persona alcolizzata, che oltretutto è tua madre. La mattina, fino a una certa ora, era ancora lucida, e mi pareva di intravedere in lei una mamma come tante altre, diciamo normale. Poi iniziava a bere birra, diventava aggressiva, sgradevole, solitaria, chiusa in sé stessa, e non era più mia madre. Io facevo uno slalom, tra i suoi momenti di lucidità e quelli in cui era fuori di testa, per instaurare un possibile rapporto con lei. Il bello e il brutto, li affrontava bevendo. Quando me ne andai via, ne soffrì molto, ma non avevo altra scelta, non vedevo l’ora di abbandonare tutta quella pesantezza, e mi sono salvata».
Parla del suo carattere, da molti definito terribile.
«Dicono che da giovane fossi antipatica, forse lo ero, perché dovevo muovermi in un mondo, quello dello spettacolo, che non conoscevo. Ero stata catapultata in mezzo a produttori, registi e attori famosi, fotografi, giornalisti… ed è probabile che all’inizio dovessi difendermi, capire come comportarmi. Poi sono stata aiutata da una trentina d’anni in analisi: ho vissuto dei transfer furibondi con i miei analisti, ma evidentemente sono serviti a qualcosa. Non so come sarei diventata se non mi fossi sdraiata sul lettino dello psicoanalista».
Ha lavorato con Mario Monicelli. Dice che li legava un grande affetto.
«Da padre a figlia. Mentre andavamo in giro a presentare il nostro film “Speriamo che sia femmina”, la gente riconosceva me, in quanto attrice nota, ma lui come regista non lo riconoscevano e allora mi chiedevano: è suo padre? Rispondeva Mario dicendo di sì, raccontando oltretutto episodi inventati della mia infanzia».
Racconta di Massimo Troisi. Nega che sia mai stata corteggiata da lui.
«Assolutamente no! Solo una grande amicizia. Lo adoravo come uomo e come eccezionale protagonista. Oltre a essere colto, poetico, aveva sempre la battuta pronta, originale, senza essere mai retorico… e appena conosciuto feci una gaffe pazzesca… Eravamo a Napoli, proprio per parlare con la troupe del film che dovevamo iniziare a girare, “Scusate il ritardo”. Ci trovavamo in riunione nella hall dell’albergo e io comincio a sentire un ticchettio, quindi chiedo: c’è qualcuno di voi che ha una sveglia in tasca? Massimo sbottona la camicia, mi fa vedere una cicatrice che attraversava tutto lo sterno… aveva una valvola al cuore. Un’assurda figuraccia, non sapevo come rimediare, ma lui ci scherzò sopra per sdrammatizzare. Però il problema di quel film fu poi un altro. Elio era malato, durante le riprese si aggravò e morì: durante tutta la lavorazione, recitavo e piangevo, recitavo e piangevo. Uno strazio infinito. Il giorno del funerale, il produttore volle portarmi comunque sul set, ma quando Massimo mi vide, mi rimandò indietro dicendo: come può recitare cumbinata in chilla maniera?.. e il set venne sospeso per qualche giorno».