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Fabregas: «Wenger amava il dialogo. Oggi gli allenatori dicono: fai quel che ti chiedo e basta»

Al Daily Mail. «Loro prendono le decisioni: se ti piace bene, altrimenti sei fuori. È un modo per proteggersi, per non dover dare spiegazioni a nessuno»

Fabregas: «Wenger amava il dialogo. Oggi gli allenatori dicono: fai quel che ti chiedo e basta»
Db Como 29/08/2022 - campionato di calcio serie B / Como-Brescia / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Cesc Fabregas

Sul Lago di Como non è andato a riposarsi. Così il Daily Mail introduce l’intervista esclusiva realizzata a Cesc Fabregas, che attualmente gioca proprio in Serie B. E nell’apparente follia sente d’aver trovato la strada giusta per apprendere, per cominciare quel percorso che lo porterà ad allenare, dopo aver appeso gli scarpini al chiodo.

«Nello spogliatoio sono uno a cui è sempre piaciuto parlare. Non mi sono mai sottratto a dare la mia onesta opinione, a discutere coi calciatori, con gli allenatori, sempre in modo costruttivo. Wenger, ad esempio, è sempre stato molto aperto al dialogo col gruppo. Amava fare domande. Chiedeva “cosa ne pensi?”. Ti metteva sempre alla prova mentalmente. Oggi gli allenatori non sono così. Oggi dicono: “Sono io, fai quello che chiedo e basta”. E non hai voce in capitolo. È un modo per proteggersi, per non dover dare spiegazioni a nessuno. Loro prendono le decisioni. A chi piace piace, altrimenti sei fuori. È la direzione dei tecnici moderni. Io sono cresciuto in tutt’altro ambiente, con Wenger Del Bosque. Così ero e così sarò. Sempre con rispetto, dirò sempre come la penso».

Su Arteta e l’ottimo lavoro all’Arsenal.

«Penso che Mikel stia lavorando molto bene. Gli allenatori moderni sono come lui. Guardiola, Luis Enrique, Conte, Mourinho: possono piacere più o meno per il calcio che propongono ma poi di fatto cambia poco. Puoi essere più offensivo o più difensivo ma quello che gli allenatori di successo hanno in comune è che vogliono vincere ogni singola partita, in un modo o nell’altro. Riescono a trasmettere questo messaggio ai calciatori, a convincerli del loro metodo».

Sulla sua carriera.

«Ho vissuto momenti nella mia carriera in cui – se fossi stato dall’altra parte, se fossi stato l’allenatore – non mi sarebbe piaciuto vedermi nello spogliatoio. Al Chelsea, per esempio, quando mi scontravo con Conte. O quando dissi a Marina Granovskaia che avrei lasciato il club…»

Sul Como e sulla scelta di Thierry Henry di investire nel club lombardo.

«È importante per il club. Quando sono arrivato qui ho capito che volevano fare qualcosa di speciale. Che volevano portare alcuni nomi importanti nel club, per farlo crescere davvero. La statura di Henry può fare la differenza. I calciatori si emozionano già a sentirne parlare, figuriamoci averlo a bordo campo. Ti viene voglia di dare ancora di più».

 

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