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Il dribbling è un atto di ribellione: viva Kvaratskhelia e i calciatori senza joystick

Saltare l’uomo, frase da calcio antico. I ribelli alla Kvara rompono “il mio calcio’” degli allenatori e ovviamente decidono le partite

Il dribbling è un atto di ribellione: viva Kvaratskhelia e i calciatori senza joystick

Saltare l’uomo, per andare in superiorità numerica. Sono due frasi fatte di un pallone antico, un po’ romantico. Perché l’uomo – declinato al singolare, l’unità – l’egoismo dei suoi istinti, nel calcio collettivo, organizzato in maniera ormai patologica, è quasi una bestemmia. E perché della superiorità, oggi, importa che sia “numerica”. I dati, gli schemi, la pericolosità “aspected”. Poi arriva uno come Kvaratskhelia e scassa tutto.

Riceve palla, controlla, e già nello stop predispone il corpo a muoversi in controsenso: di qua, di là, una finta, uno scarto. Se non c’è un avversario da superare lo andrà a cercare. Lo punterà. E in conseguenza di ciò avverranno due cose alternative ma non troppo: dribblerà l’antagonista o si farà abbattere. La terza via – perderà il confronto – è un’eventualità, certo, ma non vale. Perché uno come Kvaratskhelia è portato a fregarsene, non considera l’ipotesi di fallire. E’ un istinto, la natura che fa il suo corso.

Per cui, ecco fatto: la squadra ne trarrà comunque un vantaggio. Un’immediata chance di bucare la difesa e andare a segnare, o un’ammonizione (poi due poi tre) per appesantire la fedina penale dei difensori opposti. Distribuisci gialli e cambierai l’inerzia tattica delle partite: l’allenatore sarà costretto a cambiare assetto, ad anticipare i cambi, a perdere equilibrio. Il dribbling è in ogni caso riuscito. Il Milan, sconfitto a San Siro, ne è testimone.

Non cadiamo nel tranello di ingolfaci nei numeri da nerd, ma il senso è esattamente quello. Nella Serie A 2021/22 il giocatore con più dribbling tentati è stato Leao: 163. Dopo 7 giornate, quest’anno, in testa alla classifica (di Kickest) ci sono – guarda un po’ – Radonjic (cui Juric garantisce per sua stessa ammissione “libertà totale”) e Kvara (che molta libertà se la prende da solo). In 7 giornate sono già rispettivamente a quota 33 e 32.

Dove adesso vive Kvaratskhelia, l’anno scorso si muoveva Insigne. Il quale – è un giudizio oggettivo – non “saltava l’uomo”. Ne avrebbe avuto le abilità tecniche, forse, ma non l’attitudine, Dall’altro lato, Lozano funzionava come una macchina da ammonizioni: a forza di strappi non lo tenevi, ed era un giallo dopo l’altro.

Ecco a cosa serve il “genio”, nella sua accezione non inflazionata: a infrangere le regole, a sregolare i piani. A rendere facile una cosa che la maniacalità tattica tenta ormai di riprodurre con schemi complessi, studiati, meticolosamente artefatti. Strappa di mano all’allenatore il joystick. Faccio io, ti spiace? E va. Oggi il dribbling è un atto di ribellione, prima faceva parte del gioco. Ora lo scuote.

Il collettivismo ideologico ha pian piano trasformato la natura dello sport di squadra. Scartare l’avversario, usarlo come un paletto in slalom, è considerato un vezzo estemporaneo, estetico più che funzionale. Eppure è la forma più immediata di risoluzione del problema: devo battere il mio avversario, lo devo saltare, devo vincerne la difesa, è meglio andare uno contro uno o aggirare l’ostacolo con una rete di appoggi, sponde, movimenti? Eccola la rivoluzione della tradizione. Garrincha, Bruno Conti, Maradona, Ronaldinho, Ronaldo il Fenomeno, Sivori, Best sceglievano la via diretta. Anzi, era la fisiologia che sceglieva per loro una diversa strategia. L’intuito irrazionale di vedere un anfratto nel quale infilarsi irrimediabilmente attratti da ciò che sarà dopo. Il dribbling è ottimismo. E non si vince se non si è pervasi dal pensiero positivo. Chi ha paura non dribbla. Chi ha paura non vince. La fantasia è potere anche quando non ce l’ha.

Gli allenatori, vere prime donne del calcio contemporaneo, oppongono come una resistenza intrinseca a questa fenomenologia di inventori quasi preistorici. Perché gli smontano pezzi del “mio calcio”. Quelli fanno di testa loro e passano a volte per freak, fenomeni da baraccone, dei provocatori. Fare il lavoro di Kvara, oggi, significa investire su se stessi, farsi imprenditori in proprio. Produco dribbling, vantaggio per la squadra, ammonizioni agli avversari. Ma se va male l’onta resta a me. Non c’è calcolo. Né trucco, né inganno. Il telecomando è roba per la tv o i videogame.

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