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Kim Min-jae il difensore che non è mai fuori posto

L’acquisto ideale per il post-Koulibaly. Difende come pochi. Deve ancora migliorare, soprattutto in fase di costruzione, e ha tanti margini davanti a sé

Kim Min-jae il difensore che non è mai fuori posto
Mp Firenze 28/08/2022 - campionato di calcio serie A / Fiorentina-Napoli / foto Matteo Papini/Image Sport nella foto: Kim Min Jae

Passato, futuro

Kim Min-jae è un difensore essenziale, tosto, sempre concentrato. Queste sue caratteristiche sono state intercettate e messe bene in evidenza nell’analisi tecnico-tattica ad personam scritta da Massimiliano Gallo dopo Milan-Napoli. Vale a dire dopo una partita che ha permesso – per come è iniziata, per come si è sviluppata, soprattutto per come è finita – al centrale sudcoreano di manifestare le sue qualità fuori scala. E di prendersi la scena. L’intervento all’ultimissimo minuto su Brahim Díaz è stata la sublimazione di una prova praticamente perfetta, di una prestazione che ha fatto – giustamente – venire qualche brivido dietro la schiena a coloro che amano un calcio di stampo classico ma non per questo obsoleto, ai cultori di marcature e anticipi e coperture che ricordano i sistemi difensivi del passato.

Tutto giusto. Tutto vero. Le giocate, i movimenti e persino la postura di Kim Min-jae rievocano i centrali di un tempo che in fondo non può appartenergli, visto che tra poche settimane compirà 26 anni. Questo, però, non gli ha impedito di sviluppare doti e conoscenze tali da renderlo un difensore perfettamente a suo agio nel calcio moderno. E pure in quello del futuro. Anzi, proprio questi confini sfumati lo rendono un innesto perfetto per il Napoli di Spalletti.

Tutto parte dall’impianto tattico, o per meglio dire dai principi di gioco della squadra azzurra. Da quando è arrivato Spalletti – anche se in realtà questo processo era iniziato con Ancelotti, e per un certo periodo anche Gattuso l’ha portato avanti – la fase di non possesso è ibrida, non ideologizzata, è fatta di pressing intenso ma anche di momenti in cui i reparti si compattano e restano a presidio degli spazi e delle linee di passaggio. Questo non significa che il Napoli gioca con i difensori schiacciati a pochi metri da Meret, ma che sa inibire gli avversari senza aggredire in maniera ossessiva i portatori di palla. Uno screen, in questo senso, vale più di mille parole:

Sistema difensivo con blocchi bassi, ma terza linea coi piedi fuori dall’area di rigore

Non è un caso che questa immagine sia stata estrapolata da Napoli-Liverpool. Per un motivo semplice: è inevitabile che gli azzurri tengano un atteggiamento difensivo meno aggressivo contro quegli avversari – pochi, in verità – che gli sono superiori dal punto di vista tecnico. È l’essenza teorica su cui poggia l’ideologia del calcio liquido: ciò che serve per battere o limitare il Liverpool è diverso da ciò che serve per battere o limitare il Milan, la Lazio, la Fiorentina, lo Spezia. E allora bisogna essere in grado di fare – e quindi essere – qualsiasi cosa, in campo.

Come detto prima, Kim Min-jae possiede ciò che serve per fare bene – anzi: per eccellere – in tutti i sistemi difensivi. Esattamente come Kalidou Koulibaly, il suo predecessore. Solo che l’attuale calciatore del Chelsea era arrivato – grazie a Benítez, Sarri, Ancelotti a quel livello di forza e conoscenze e sicurezza al termine di un lungo percorso di sviluppo. Niente di male o di sbagliato: in fondo parliamo di un giocatore passato dal Genk al Napoli quando aveva solo 23 anni, che al suo arrivo aveva un’evidente capacità di posizionarsi e delle doti fisiche strepitose ma doveva ancora imparare a essere sempre concentrato, a capire come imporre il suo dominio sugli avversari. Ha dovuto studiare – cioè allenarsi – molto, ha saputo assorbire al meglio l’intelligenza e la leadership debordanti di Raul Albiol, fino a diventare uno dei centrali più forti del mondo.

Kim Min-jae, invece, è arrivato a Napoli e in Serie A con una maturità diversa. Dà la sensazione di aver già vissuto lo stesso processo di Koulibaly. È una questione di età, di esperienza, ma forse anche di caratteristiche: Koulibaly ha iniziato a imporsi e a crescere, fino a esplodere, nel momento in cui è stato messo dentro il sistema adatto a lui – quello di Sarri, fatto di linea altissima e sincronismi mandati a memoria. Kim non ne ha avuto bisogno. Perché, come detto, ha ciò che serve per giocare in tutti i modi: sa stare alto ma è anche attentissimo dentro l’area; sa rompere la linea per cercare l’anticipo ma sa pure aspettare l’avversario per farsi puntare e poi strappargli il pallone di forza, ma senza commettere fallo – quasi sempre, ovviamente.

Otto minuti di cose mostruose di Kim Min-ja, in alta definizione

In questo video si percepisce chiaramente ciò che separa Koulibaly e Kim Min-jae: forse il coreano si muove in modo più pesante e quindi risulta meno fluido nella corsa e meno elegante negli interventi, rispetto al senegalese. E allora il suo gioco restituisce una sensazione diversa, il suo dominio è meno appagante dal punto di vista estetico. Ma resta comunque un dominio. In fondo ciò che conta, se guardiamo alla fase puramente difensiva, è l’efficacia degli interventi e dei movimenti. Non il modo in cui vengono effettuati.

In questo senso, i numeri sono eloquenti: Kim Min-jae è il secondo giocatore in Serie A per numero di palloni spazzati a partita (5.3) e subisce solo 0,2 dribbling per match. Gli altri indicatori – palloni intercettati e contrasti tentati – sono bassi rispetto agli altri difensori perché il Napoli, nelle gare domestiche, tende a tenere il pallone e quindi difende poco. Ma quando lo fa, Kim assolve sempre bene il suo compito. Non a caso è il terzo miglior giocatore in assoluto della Serie A – indipendentemente dal ruolo – secondo il sito di rilevamento statistico WhoScored.

Certo, c’è ancora qualcosa da migliorare nel gioco di Kim Min-jae: i meccanismi di scalata e divisione dell’area con Rrahmani non sono ancora puntuali, in certe occasioni; alcune uscite in alto a spezzare la linea risultano irruente, avventate, e a volte lo costringono a un fallo ruvido, anche se contro il Milan ne ha commesso uno solo; in certe situazioni copre il pallone e lo spazza via senza pensare, quando invece un istante di ragionamento in più potrebbe permettere al Napoli di fermare le azioni avversarie e ripartire in maniera più pulita. Ma si tratta di minuzie, di dettagli da smussare e addolcire. Di pochi centimetri di lavoro e miglioramento che separano il giocatore dall’eccellenza.

In avanti

L’idea che Kim Min-jae possa essere più pensante e quindi tendenzialmente più ambizioso dal punto di vista tecnico nasce da un fatto: stiamo parlando di un giocatore che ha tutte le possibilità per farlo. Di un centrale che è in grado di costruire gioco in maniera diversificata, come se la sua capacità di difendere all’indietro e in avanti si riverberasse anche nel suo approccio alla fase offensiva.

Per spiegare come si manifesta questa doppia abilità di Kim Min-jae, è necessario utilizzare le statistiche avanzate: in Serie A, ovvero in un contesto in cui il Napoli tende ad avere più possesso palla e meno spazi da attaccare in verticale, il sudcoreano ha una media di 72.8 passaggi per match, di cui 66 corti; in Champions League, invece, il totale dei suoi tentativi di appoggio cala fino alla quota di 42.5 per match, eppure si alza quella relativa ai lanci lunghi, che diventano 8 ogni 90 minuti.

Cosa vogliono dire questi dati? Che il Napoli di Spalletti è una squadra liquida, che imposta il gioco da dietro in maniera diversa a seconda dell’avversario di turno. Per capire cosa intendiamo, basta andare a rivedere i meccanismi utilizzati contro il Liverpool per sfruttare gli (enormi) spazi lasciati dai Reds proprio attraverso lo strumento del lancio lungo; in altre gare e contro altri avversari, gli azzurri devono costruire la manovra partendo da un possesso basso più insistito, non possono giocare in maniera diretta e verticale.

Il secondo significato di questi numeri è che in una squadra del genere, geneticamente e profondamente variabile, Kim non risulta mai fuori posto. Può e sa impostare sia sul breve che sul lungo. I dati dicono che in Serie A ha una percentuale di passaggi corti riusciti del 94,6%, mentre per quelli lunghi la quota è del 78,1%; in Champions entrambe le rilevazioni si abbassano sensibilmente (l’accuratezza dei passaggi corti cala fino all’81%, quella dei lanci lunghi fino al 62%), ma restano soddisfacenti. Soprattutto se teniamo conto che la prima partita è stata giocata contro il Liverpool.

In alto, tutti i tocchi di Kim Min-jae nella partita contro il Liverpool; sopra, invece, tutti i suoi palloni giocati contro il Lecce. In entrambi i campetti il Napoli attacca da sinistra verso destra, e si può notare la differenza di quantità e di posizione dei tocchi del centrale sudcoreano.

Proprio da questi ultimi numeri si intuisce che Kim Min-jae potrebbe – anzi: deve – ancora crescere in fase di costruzione. Anche perché, come detto, ha ciò che gli serve per farlo. Mentre Koulibaly ha sempre preferito seguire e utilizzare alcune linee di passaggio, sempre le stesse, e a un certo punto della carriera è diventato un primo regista di raffinata qualità, il sudcoreano è mentalmente predisposto a non specializzarsi. A servire i compagni tra le linee e sulla figura, ma anche nello spazio e in verticale. Paradossalmente, il fatto che sia potenzialmente più completo, e tecnicamente meno dotato, lo costringerà a un percorso più difficile rispetto a quello del suo predecessore. In fondo, pensandoci bene, è più difficile arredare e quindi riempire una casa grande che una piccola.

Kim Min-jae e il Napoli

Lo switch Kim Min-jae-Koulibaly, esattamente come quello Kvaratskhelia-Insigne, non ha solo un significato a lungo termine. Anzi: è una scelta che ha avuto un impatto immediato sul Napoli-squadra. Sul modo in cui Spalletti mette in campo i suoi calciatori, sul modo in cui li fa interagire tra loro dal punto di vista tattico e tecnico. Come detto tra le righe di questo articolo, il Napoli ha lasciato andare un difensore dominante ed elegantissimo, ma fatalmente legato a un certo modo di interpretare il gioco, e l’ha sostituito con un calciatore probabilmente meno forte in valore assoluto, almeno per ora, ma comunque dominante. Solo in modo diverso. O meglio: in molti modi diversi. Quello che serviva al Napoli per ultimare la transizione e chiudere ogni ponte con il passato.

Nel calcio di oggi, un gioco strategico in cui ogni scelta strategica e/o di formazione ricade a cascata su tutto il contesto-squadra e anche sulla rosa, cambiare un difensore centrale è una cambiamento significativo. Quando il giocatore da sostituire è Kalidou Koulibaly, poi, la cosa si ingigantisce. Il Napoli si è fatto trovare pronto, non solo per la qualità pura, altissima, di Kim Min-jae. Ma perché il suo inserimento è stato fatto in funzione di un progetto, di una mutazione che si imponeva anche dal punto di vista tattico.

Per dirla brutalmente: nel Napoli di Spalletti e quindi di Kvaratskhelia, Osimhen, Lobotka e Anguissa, in attesa che diventi anche di Raspadori e forse anche di Ndombélé, Koulibaly ci sarebbe stato benissimo. Figuriamoci. Ma forse Kim Min-jae ci sta ancora meglio, per via di tutte le differenze – piccole o grandi – di cui abbiamo parlato finora. Anzi, il fatto che il sudcoreano si sia rivelato così forte fin da subito ha accelerato un processo che era stato percepito come una scommessa e invece si sta rivelando per quello che è: l’investimento di un grande club su idee nuove e sulle proprie professionalità. Dopo anni di stasi. Dopo anni di non-scelte.

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