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Il Napoli fluido di Spalletti ha travolto la Lazio rigida di Sarri

In alcuni momenti il Napoli ha costruito gioco con il 3-1-5-1. Tredici tiri in ventisei minuti sono l’impietosa fotografia del dominio

Il Napoli fluido di Spalletti ha travolto la Lazio rigida di Sarri
As Roma 03/09/2022 - campionato di calcio serie A / Lazio-Napoli / foto Antonello Sammarco/Image Sport nella foto: esultanza gol Khvicha Kvaratskhelia

Una vittoria totale

Il successo del Napoli a Roma, in casa della Lazio, si può definire con aggettivi impegnativi: netto, meritato, assoluto. Anzi, possiamo osare ancora di più: quella della squadra di Spalletti è stata una vittoria totale. Si legge innanzitutto dai numeri, persino quelli più grezzi: gli azzurri hanno messo insieme 19 conclusioni contro 8 della Lazio; il dato delle azioni d’attacco manovrate dice addirittura 15-5, con un incredibile rapporto di tre a uno; persino il dato relativo possesso è di stampo bulgaro, infatti gli uomini di Spalletti hanno tenuto il pallone per il 61% del tempo di gioco. Contro una squadra di Sarri, un allenatore storicamente affezionato all’idea per cui gestire la palla significa dominare la partita. 

L’analisi tattica di Lazio-Napoli 1-2 deve necessariamente partire da questi dati e poi deve dipanarsi su altri aspetti, su ciò che è successo in campo. Laddove si sono affrontate una squadra più forte, il Napoli, che da un certo punto in poi ha iniziato a giocare con un’intensità e una qualità non controllabili, e una squadra più debole che non è riuscita a opporsi all’onda d’urto generata dai suoi avversari. Nonostante possedesse la qualità individuale e gli strumenti strategici per provare a resistere.

Ragionando per paradossi, è come se il gol immediato di Zaccagni avesse fatto un favore al Napoli: ha costretto la squadra di Spalletti a prendere in mano il possesso palla, e a farlo ad alta intensità, visto che il risultato era diventato negativo dopo pochi secondi di gara. Il riassetto degli azzurri è durato più o meno fino alla mezz’ora di gioco, quando il conto dei tiri verso la porta di Provedel faceva segnare il numero 1. Da lì in poi, gli azzurri si sono scagliati come un uragano sulla Lazio e hanno messo insieme 14 conclusioni fino al minuto 61′. Quello del gol di Kvaratskhelia. In pratica, il Napoli ha tentato una volta ogni due minuti effettivi di gioco.

Rigidità contro fluidità

Ma come è nato e in cosa si è manifestato questo dominio? Da quali scelte si è originata questa prova di forza – tecnica, tattica, fisica – così netta da parte del Napoli? Partiamo dalle formazioni iniziali, dalle scelte di formazioni operate da Sarri e Spalletti. Entrambi hanno scelto il 4-3-3/4-5-1, solo che i loro giocatori interpretavano questo schema in maniera diversa.

La Lazio è parsa rigida nelle posizioni e nelle idee, vale a dire la ricerca della superiorità posizionale facendo passare il pallone soprattutto da destra, laddove Sarri è solito schierare i giocatori di maggiore qualità della sua rosa: il laterale difensivo Lazzari, la mezzala Milinkovic-Savic e l’esterno offensivo Felipe Anderson. Non a caso, viene da dire, i dati rilevati da Whoscored evidenziano come la squadra biancoceleste abbia costruito addirittura il 46% delle sue azioni su quella fascia. Non a caso, viene da aggiungere, il gol di Zaccagni nasce proprio sulla destra, con un’imbucata che trova Milinkovic-Savic, un’apertura su Felipe Anderson non seguito da Kvaratskhelia, e poi fino al cross basso a ribaltare il campo. 

Il Napoli, da parte sua, ha riproposto effettivamente il meccanismo di costruzione con Lobotka pivote e Anguissa-Zielinski mezzali. Ma spesso, come si percepisce nei campetti sotto, il triangolo di centrocampo si rovesciava, e allora lo schieramento degli azzurri in fase offensiva era più vicino al 4-2-3-1 che al 4-3-3. Come al solito, l’uomo-cuneo tra i due sistemi è stato Piotr Zielinski. Che, non a caso, andava spesso ad affiancare Osimhen nel primo pressing sulla costruzione bassa della Lazio, determinando così un 4-4-2 in fase passiva per la squadra di Spalletti.

In alto, tutti i palloni giocati da Luis Alberto, mezzala sinistra della Lazio; sopra, invece, tutti i palloni giocati da Zielinski, mezzala sinistra del Napoli. Al netto delle caratteristiche dei due giocatori, la differenza salta subito all’occhio.

In alto, una costruzione bassa della Lazio nei primissimi secondi di gioco: il Napoli difende fin da subito con il 4-4-2; sopra, invece, un momento in cui il Napoli imposta l’azione da dietro con Lobotka e Anguissa sulla stessa linea, mentre Zielinski è in posizione di sottopunta. 

Lo scontro tra rigidità e fluidità è una vera e propria guerra di religione calcistica. In tale, le vittorie sono inevitabilmente momentanee, legate all’esito delle partite. Quindi alla forza e alla condizione dei giocatori in campo. E allora il Napoli ha iniziato a prevalere sulla Lazio nel momento in cui i suoi migliori elementi – più forti di quelli della Lazio, soprattutto nei ruoli-chiave – si sono accesi, hanno alzato l’intensità del loro gioco e allora la fluidità di cui sopra è diventata ingestibile per gli uomini di Sarri. Come nel caso dell’azione che ha portato Kvaratskhelia a cogliere il palo con un tiro fortissimo da fuori area: 

Salida lavolpiana di Lobotka in mezzo ai due centrali, apertura sulla fascia e poi appoggio nel mezzo spazio per Kvaratskhelia. Il resto è arte calcistica. 

In questa manovra, il Napoli imposta da dietro con movimenti e posizionamenti da 4-3-3, con Zielinski e Anguissa mezzali. In questo modo, la squadra di Spalletti chiama il pressing avversario – Cataldi sale per braccare Lobotka, Milinkovic-Savic e Luis Alberto seguono i loro dirimpettai – e libera proprio lo spazio tra difesa e centrocampo, quello in cui Kvaratskhelia si inventa una meravigliosa veronica. Subito dopo, come detto, arriva un tiro di una violenza inaudita, che quasi spacca il palo alla destra di Provedel. 

Dal punto di vista tattico, quest’azione dice tantissimo. Tutto parte dalla fluidità di cui abbiamo parlato finora, dal fatto che, con questo atteggiamento, il Napoli ha provato – e in questo caso è riuscito – a manipolare e deformare il sistema difensivo della Lazio in modo da crearsi lo spazio per un’azione pericolosa. E poi c’è la tecnica, cioè la qualità che si manifesta ad alta intensità di corsa e di pensiero: Lobotka apre su Kim Min-jae, poi il coreano allunga velocemente su Mário Rui, che garantisce ampiezza sulla sinistra; Kvaratskhelia, nel frattempo, è già andato a occupare la porzione di campo lasciata libera dai movimenti dei suoi compagni. Le sue doti fuori dal comune si accendono, si manifestano, e per poco non portano al gol. Sul calcio d’angolo successivo, Kim Min-jae troverà il gol del pareggio. 

La ripresa: sulla stessa falsariga

All’inizio della ripresa, se possibile, il Napoli ha aumentato ancora di più la sua spinta propulsiva. Ha alzato ulteriormente il baricentro, ha schiacciato la Lazio nella sua trequarti campo recuperando sempre il pallone in zone avanzate di campo. Ma anche offrendo un gioco vario, non intellegibile, un mix tra calcio di possesso e calcio verticale che ha mandato completamente fuori giri la squadra di Sarri.

Qualche dato a supporto: nei primi 15 minuti della ripresa, a fronte di un possesso palla superiore al 70%, il Napoli ha messo insieme 9 conclusioni verso la porta di Provedel; tutte queste azioni offensive sono state costruite con i lanci lunghi (14) e poi con intelligenti scambi ravvicinati, muovendo il pallone per muovere la difesa di Sarri (57 passaggi indirizzati verso il centrocampo) e poi esplorando costantemente la verticalità (36 passaggi diretti verso l’ultimo terzo di campo), con i dribbling  (gli uomini di Spalletti hanno superato 5 volte il loro avversario diretto) e, come detto, con il pressing altissimo sulla costruzione arretrata della Lazio, come si vede in questa sequenza di occasioni a cavallo tra il minuto 48 e il minuto 49: 

Sono pochi minuti di calcio, ma sono davvero interessanti da vedere: il Napoli difende altissimo, gioca in maniera varia e velocissima. Così schiaccia la Lazio in maniera addirittura imbarazzante.

A quel punto, per non farsi travolgere, Sarri è corso ai ripari con il cambio Vecino-Luis Alberto: l’idea del tecnico della Lazio, evidentemente, era quella di limitare in qualche modo il gioco tra le linee di Zielinski inserendo un centrocampista più fisico. Per tutta risposta, Spalletti ha esasperato la ricerca del gioco tra le linee con una disposizione sfalsata: in alcuni momenti il Napoli ha costruito gioco addirittura con il 3-1-5-1, un sistema che permetteva agli azzurri di occupare tutti i corridoi interni ed esterni e di schiacciare fisicamente la Lazio nella sua area. Ecco una testimonianza fotografica di questo nuovo schema futurista:

Anguissa imposta come braccetto di destra di una difesa a tre completata da Rrahmani – fuori inquadratura – e Kim Min-Jae; Lobotka è il pivote davanti ai tre difensori; su piano sfalsati, da destra a sinistra del fronte d’attacco, ci sono Politano, Di Lorenzo, Zielinski, Kvaratskhelia e Mário Rui, con Osimhen riferimento avanzato. 

Insomma, il Napoli ha iniziato il secondo tempo sulla stessa falsariga su cui aveva chiuso la prima frazione di gioco. Anzi, ha alzato ancora di più l’intensità e la qualità del suo gioco. La Lazio, praticamente inerme, è riuscita a mettere insieme solo un paio di buone costruzioni da dietro. Su una di queste, è venuto fuori il tiro di Vecino dall’interno dell’area di rigore. L’unica vera palla gol creata dalla squadra di Sarri nell’intervallo tra il minuto 21 e il minuto 71. Con l’inerzia tecnico-tattica della gara tutta dalla sua parte, il Napoli non ha dovuto fare altro che insistere, per trovare il gol. Un vantaggio che, a quel punto, era più che meritato: era sacrosanto.

Attaccare per difendersi

Il cambio di risultato, però, non ha indotto Spalletti a coprirsi. Anzi: sette minuti dopo la botta tremenda – un’altra botta tremenda – di Kvaratskhelia che ha piegato le mani di Provedel, il tecnico del Napoli ha virato in maniera diretta verso il 4-2-3-1 puro. Con le seguenti sostituzioni: Elmas e Raspadori per Zielinski e Kvaratskhelia. Inizialmente l’ex Sassuolo ha preso il posto del georgiano sull’out sinistro, con Elmas sottopunta, ma con il passare dei minuti i due giocatori si sono scambiati più volte la posizione. In questo modo, Spalletti ha continuato a difendere con il doble pivote, ma soprattutto ha insistito nella ricerca del gioco tra le linee, nel tentativo di disorientare il sistema difensivo della Lazio. 

Elmas sta per ricevere il pallone da Lobotka, incastonato esattamente tra la linea difensiva e il centrocampo della Lazio: classica azione da 4-2-3-1 puro

Spalletti, insomma, ha deciso di attaccare – o meglio: di continuare ad attaccare – per difendersi. Di non compattarsi troppo all’indietro, e quindi di non dare sfogo al gioco della Lazio. Anzi, pur in una situazione di punteggio diversa, il Napoli è riuscito a tenere il possesso palla in parità: dal momento dei cambi fino al termine della gara, il dato grezzo degli azzurri è stato dek 51%. In quel frangente, Lobotka e Anguissa – che hanno tenuto il pallone per il 6,7% e per il 5,5% del tempo di gioco, rispettivamente – hanno impresso sulla gara il loro magistero, hanno imposto il marchio inconfondibile della loro classe e della loro fisicità. Così il Napoli è uscito praticamente indenne: appena 3 tiri per la Lazio di Sarri, uno su punizione e 2 da fuori area, entrambi tentati da Pedro. 

Osimhen

È evidente che quello visto a Roma sia il miglior Napoli possibile. È un discorso di forma fisica e automatismi tattici, di sinergie che permettono agli azzurri di aprire spazi in cui i singoli possono fare la differenza. A cominciare da Kvaratskhelia, fino ad arrivare anche a Osimhen. L’attaccante nigeriano non ha trovato il gol, ma è stato preziosissimo con i suoi movimenti a portar via i difensori avversari e con i suoi arretramenti per venire a giocare il pallone e aprire spazi ai compagni. Come si vede anche dal campetto con tutti i suoi tocchi di palla, Osimhen si è ritrovato a giocare più volte il pallone nell’area di rigore della Lazio, una condizione che gli era mancata contro il Lecce:

Tutti i palloni giocati da Victor Osimhen: questa volta anche nell’area di rigore avversaria

È un altro dato-segnale a supporto della tesi per cui il miglior Napoli, almeno in questo momento, sia proprio quello visto ieri sera all’Olimpico. Su questo telaio, è evidente, Spalletti dovrà inserire via via i suoi nuovi giocatori. Ed è vero anche che non tutte le formazioni avversarie giocheranno come la Lazio, una squadra che nonostante sia stata in balia del Napoli ha sempre provato a giocare il pallone e a difendere in maniera ambiziosa. Anzi, se vogliamo il problema della squadra di Sarri è stato proprio questo: non ha saputo adattare il suo calcio alla forza – nettamente – superiore del Napoli, ed è stata travolta.

Conclusioni

In realtà, anche a Roma ci sono stati dei segnali positivi riguardo la gestione del turn over: al di là del buonissimo impatto di Politano, subentrato al posto dell’infortunato Lozano, gli ingressi di Raspadori ed Elmas e la virata netta verso il 4-2-3-1 non hanno creato scompensi. Anzi, come detto il Napoli si è giovato di questo cambiamento, è così che è riuscito a cristallizzare il suo dominio negli ultimi minuti di gara. È un’ottima notizia per Spalletti, che da qui alla sosta per i Mondiali dovrà preparare e affrontare una quantità incredibile di partite. Anzi, forse è la miglior notizia della serata. Visto che il Napoli-1, quello inevitabilmente titolare in questo momento della stagione, non ha fatto altro che ribadire la sua forza, la sua qualità. Persino la sua capacità di giocare un calcio multiforme, efficace, bello da vedere.

Insomma, non c’erano dubbi sulle qualità di questa squadra. E a Roma ne abbiamo avuto l’ennesima conferma. Per questo, almeno in questo spazio sul Napolista, insistiamo così tanto sulla creazione delle alternative; per questo dopo Napoli-Lecce abbiamo scritto che Spalletti dovrà continuare a sperimentare cose nuove, a costruire una squadra di riserva che non sia davvero di riserva, piuttosto possa scendere in campo quando necessario ed essere all’altezza di quella titolare. Solo in questo modo il Napoli potrà fare ciò che può, ciò che deve. E cioè: essere competitivo fino in fondo per il campionato, fare una buona Champions League, valorizzare il suo organico. Non sarà facile, certo. Ma non provarci, con queste qualità e queste possibilità, sarebbe davvero una stupidaggine. 

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