La frasi sul georgiano riportano al principio cardine del tecnico: la sacralità della squadra. Ma non tutti siamo uguali, l’individualismo va tutelato
Così parlò Luciano Spalletti. Raramente una risposta in conferenza stampa riesce a condensare in maniera così efficace la filosofia di un allenatore.
A Kvara glieli date più voi i consigli, è forte è forte è forte è forte, lui arriva a due metri dal portiere e tira in porta anche se c’è quello libero davanti. Perché? Perché sei forte, fa gol, è bravo altro che lui. Non è così, bisogna sapere scegliere quando si arriva lì se il compagno è messo meglio. Il gol di Ndombélé chi lo ha fatto? Lo ha fatto Anguissa, gli viene dato ad Anguissa i meriti del gol di Ndombélé. Poi è chiaro che anche stasera ha dato 2-3 impennate alla squadra, perché è andato a puntare e se non gli facevano fallo arrivava fino in porta. È un giocatore fortissimo però deve saper alternare, deve fare fase difensiva, stasera Politano ha fatto 2-3 rincorse di 70 metri per rimettere a posto la cosa da un punto di vista numerico. (…)
Sono tutti particolari che servono a diventare una squadra forte. Non vince un calciatore solo, per voi vince un calciatore solo. Per noi che si sta di qua non vince, dentro la squadra lo sanno. Se Kim non vince tutti duelli aerei insieme a Rrahmani e Lobotka e Frank non rendono la palla giocabile, Kvaratskhelia tocca due palloni in una partita. È importante anche il lavoro che fanno gli altri. È chiaro che lui, quelli che hanno questa estrema qualità, questa estrema tecnica, questo estro, son quelli che fanno la differenza perché bisogna andare là e bisogna saltare l’avversario, bisogna creare la follia, la sana follia che vuole il calcio però poi sono importanti tutti, non è che ci prende in braccio e ci porta vincere una partita così da solo ecco.
Il virgolettato è un po’ lungo ma la risposta di ieri sera rende perfettamente l’idea che da sempre Spalletti ha del gruppo. Della sacralità del gruppo. Sono concetti che lui ha ribadito tante volte nel corso della sua carriera. È – questo – il principio che fu alla base della ormai storica contesa con Francesco Totti e con l’opinione pubblica che gliene chiedeva conto. Sui social, su Youtube, si trovano tanti frammenti sovrapponibili a quello di ieri sera a Glasgow. Ricordiamo l’elogio di Salah per uno scatto di cinquanta metri per andare a fermare una ripartenza avversaria a punteggio acquisito per la Roma. C’è un altro video in cui lui dice (parlando di un giocatore): “se mi dà un centimetro, gli do un centimetro, se mi dà un metro gli do un metro, se mi dà una metà campo io gli restituisco metà campo”. Gli esempi sono infiniti.
Luciano Spalletti è l’autentico collettivista. Alla Lobanovski. Lavora sui calciatori, perché lavora tanto sui calciatori, è a loro completa disposizione. E lo fa nell’ottica della crescita del gruppo. È la squadra la divinità da adorare. In questo il tecnico di Certaldo è distante dal presunto collettivismo di Maurizio Sarri. Quella era più una messinscena, una rappresentazione forzata. Perché poi per Sarri c’era eccome differenza tra giocatore e giocatore. C’era Higuain e c’era il resto. C’era Hamsik e c’era il resto. C’erano undici titolari e c’era il resto. Spalletti invece avverte fisicamente questa responsabilità di portare tutti allo stesso livello di appartenenza dell’entità superiore che è la squadra. È affascinante il modo in cui ne parla.
È il pensiero che ogni volta lo fa apparire come l’allenatore che è “contro” il calciatore più rappresentativo (non a caso a Napoli è spesso Kvaratskhelia l’oggetto delle sue osservazioni). Un’immagine che lo accompagna da sempre. Lui probabilmente direbbe che si esprime esclusivamente a tutela della scolaresca di cui ha la responsabilità. Il vecchio adagio secondo cui il vero insegnante si vede con i ragazzi che hanno difficoltà, un loro passo in avanti è la soddisfazione più grande per chi ha scelto di educare. Un autentico professore di sinistra. E si vede. Esagerando, potremmo citare don Milani e la sua Scuola di Barbiana.
Spalletti coccola i suoi allievi, lo ha fatto anche ieri sera in diretta con Raspadori. E i frutti del suo lavoro sono sotto gli occhi di tutti. È molto attento ad avere sempre una parola per chi quella parola se l’è meritata. Ha ragione, è il succo della frase “Se Kim non vince tutti duelli aerei insieme a Rrahmani e Lobotka e Frank non rendono la palla giocabile, Kvaratskhelia tocca due palloni in una partita”. Il che è vero, però a volte suona stonato. Eccessivo. O forse troppo da idealisti. Contro natura.
Senza dimenticare che questa visione – come tutte – ha una controindicazione. La visione collettivistica ha un suo fascino, la storia è lì a testimoniarlo. Ma anche dei suoi bug, se così vogliamo eufemisticamente definirli. All’interno di una collettività ci sono gli individui. E ciascun individuo è diverso da un altro. Anche dal punto di vista squisitamente della bravura e della tecnica. Ci sono i più bravi e i meno bravi: è la natura, è la vita. Essere più bravi non vuol dire ovviamente che quel determinato colpo possa riuscirti ogni volta. Né che tu debba espiare una colpa per il tuo talento.
Così come non è detto che la gestione di un giovane calciatore molto forte – perché Kvaratskhelia è un calciatore molto forte, come ha dichiarato lo stesso Spalletti – debba passare obbligatoriamente per l’antico verbo “raddrizzare”, per l’educazione siberiana (come ha scritto Fabrizio d’Esposito). Innanzitutto in alcuni casi può non esserci nulla da raddrizzare, e il georgiano ci sembra rientrare in questa tipologia. In altri, “raddrizzare” potrebbe voler dire snaturare, perdere qualcosa. Come scrivemmo a proposito del desiderio di alcuni commentatori di rendere meno istintivo Osimhen. I calciatori, così come gli uomini, non sono fotocopie. E forse bisognerebbe anche riflettere sul significato di essere giovane per un atleta. Kvara ha 21 anni, a febbraio 22. È giovane in Italia. Altrove è semplicemente la normalità.
Concludendo, Spalletti ha a disposizione una grande squadra e sta svolgendo un grande lavoro. Come lo scorso anno e come spesso nella sua carriera. È un esempio di abnegazione e di dedizione, oltre che un signor tecnico. Il nostro invito è a non ripercorrere pedissequamente la strada lastricata dai propri principi. Una minima deviazione potrebbe aprire universi sconfinati. La diversità è un arricchimento.