Muove i pezzi e cambia strategia senza stravolgere l’essenza della squadra. Ieri ha stravinto con la mossa verticale di Raspa e Zielinski. E senza Osimhen
Niente di speciale, in fondo
Ajax-Napoli 1-6 è stata una partita molto semplice da spiegare, dal punto di vista tattico. Perché la squadra di Spalletti, in fondo, non ha dovuto preparare – e quindi essere – niente di speciale, o di diverso dal solito, per poter dominare e battere l’Ajax. È bastato che gli azzurri giocassero al meglio delle proprie possibilità per riprendersi dallo shock dello svantaggio iniziale, per schiacciare gli avversari e per contenerli fino a quando sono stati in partita, ovvero il momento in cui Raspadori ha messo dentro il gol dell’1-4, pochi secondi dopo l’inizio della ripresa.
Insomma, se per battere il Torino era servito esasperare alcuni meccanismi tattici, alla Johan Cruijff Arena il Napoli ha dovuto semplicemente essere se stesso per vincere. E per giocare una partita leggendaria. I demeriti sono anche dell’Ajax, questo va detto. La squadra di Alfred Schreuder è l’avversario geneticamente perfetto per quella di Spalletti, che ama tenere bassi i ritmi usando il possesso arretrato per poi verticalizzare velocemente, sfruttando così gli spazi lasciati alle spalle del primo pressing. Specie gli spazi che si determinano a causa del disordine degli avversari. Per capire cosa intendiamo, basta guardare l’azione che ha portato al corner da cui è scaturito il gol di Di Lorenzo:
Tornare indietro per costruire dal basso, per invitare l’Ajax al pressing. E, poi, per penetrare tra le linee.
Ecco, il Napoli è questo. Ha fatto questo per tutta la partita, manipolando la struttura difensiva e mandando costantemente a vuoto il pressing dell’Ajax. Innanzitutto grazie alle scelte iniziali di Spalletti, che tre giorni dopo aver utilizzato il 4-3-3 puro per battere il Torino è tornato a un modulo più fluido. A un sistema tendente al 4-2-3-1 se non addirittura al 4-2-4. Come al solito, l’uomo-cuneo tra le due disposizioni è stato Piotr Zielinski, talvolta mezzala e altre volte sottopunta. Come detto, però, spesso il polacco è stato accompagnato da un’altra (mezza) punta abile a tenere legati i reparti. Si tratta, ovviamente, di Giacomo Raspadori.
Verticalizzare tra le linee
Nel calcio contemporaneo, differentemente da quanto avveniva in passato, tutte le scelte tattiche e/o di formazione influenzano il gioco di una squadra intera. Quindi, di conseguenza, ogni modifica determina un cambiamento delle attribuzioni per i giocatori che vanno in campo. Per questo la scelta di schierare Raspadori – e non Simeone – e quella di muovere Zielinski a pendolo tra centrocampo e attacco determina e racconta l’idea iniziale di Spalletti. Il suo piano-gara per battere l’Ajax. Il Napoli, in pratica, ha cercato costantemente di verticalizzare sulla figura, cioè di servire Raspadori o Zielinski tra le linee, per superare la pressione altissima dell’Ajax; a quel punto, i due riferimenti avanzati del Napoli avevano il compito di aprire il gioco sulle fasce – soprattutto Raspadori – oppure di girarsi e puntare la porta.
I numeri confermano questa sensazione: il Napoli ha tenuto di più il pallone (dato grezzo del 54% all’intervallo e del 56% a fine gara) eppure ha tentato solamente 29 lanci lunghi; l’Ajax, invece, ha cercato per 58 volte un passaggio ad ampia gittata. È come se Spalletti avesse compresso e ristretto il campo, così da sfruttare la maggior qualità tecnica dei suoi uomini e muovere il sistema difensivo degli avversari muovendo il pallone. Tutto questo si vede chiaramente dal campetto posizionale con tutti i palloni giocati dall’ex Sassuolo e da alcuni frame:
In alto, tutti i palloni giocati da Raspadori; in mezzo e sopra, due momenti in cui il Napoli si è disposto in campo con un vero e proprio 4-2-4, con Raspadori e Zielinski sulla stessa linea.
Rispetto a quanto avveniva ai tempi di Sarri, giusto per fare un paragone, c’è una netta differenza: allora il Napoli faceva possesso intensivo per risalire armonicamente il campo con molti uomini; oggi gli scambi e l’impostazione dal basso servono per “chiamare” il pressing avversario e preparare il terreno per una verticalizzazione immediata.
Un meccanismo che va bene per Osimhen e Simeone, attaccanti che aggrediscono la profondità. E ovviamente per esterni come Kvaratskhelia e Lozano – non a caso, il georgiano e il messicano hanno chiuso la gara con 6 e 4 dribbling tentati, rispettivamente. Ma si tratta di una strategia che può esaltare anche le doti di Raspadori. L’ex Sassuolo è infatti una punta atipica che sa accorciare il campo e legare i reparti tra loro. Che ragiona e pensa come un regista offensivo quando riceve il pallone sui piedi. E che poi, come se non bastasse, è bravissimo quando deve andare a concludere dopo aver seguito l’azione.
Insomma, come detto già in altre occasioni nell’ambito di questa rubrica, Spalletti ha tantissime soluzioni tra cui scegliere. Parte da un’identità chiara e sempre più percettibile – gestione del ritmo attraverso la gestione della palla, capacità di alzare l’intensità in pochi istanti attraverso la ricerca della verticalità – e poi ci ricama sopra. Contro il Torino abbiamo visto il 4-3-3 rigido, ieri abbiamo visto il doppio centravanti basso in fase di impostazione. Più altre cose – nuove e significative – di cui parleremo ora.
Mathias Olivera e l’arte della sovrapposizione interna
È indubbio che Mário Rui sia stato uno dei migliori calciatori del Napoli in questo inizio di stagione. Contro Rangers e Ajax, però, Spalletti ci ha mostrato un altro modo di fare – e quindi essere – il terzino sinistro: il modo di Mathias Olivera. Che è stato un perfetto supplente del portoghese, considerando gli 82 palloni giocati – record tra tutti i giocatori in campo – e il bellissimo pallone messo sulla testa di Raspadori nell’azione del primo gol del Napoli. Ma ha interpretato il ruolo in maniera differente. Cioè, sovrapponendosi costantemente all’interno, mentre Kvaratskhelia restava largo a garantire un appoggio in ampiezza ai suoi compagni.
In alto, tutti i palloni giocati da Olivera; sopra, uno dei (tanti) momenti della partita in cui Olivera è entrato dentro il campo mentre Kvara è rimasto largo.
La sovrapposizione interna è un meccanismo molto utile nel calcio di oggi. Soprattutto per un terzino: costringe l’esterno offensivo avversario a lunghe corse senza il riferimento e l’aiuto della linea laterale, e crea corridoi alternativi di passaggio. Come si vede chiaramente nelle immagini qui in alto, Olivera ha battuto spesso il mezzo spazio di centrosinistra. Dall’altra parte del campo, le tendenze differenti di Di Lorenzo e Lozano hanno diversificato il sistema d’attacco. Il Napoli, infatti, ha costruito solamente il 28% delle sue azioni sulla destra; sulla fascia mancina, invece, è nato addirittura il 46% delle manovre orchestrate dagli uomini di Spalletti. Quasi una su due.
Riaggressione alta
Quasi come a voler compensare la tendenza a gestire il pallone per non esasperare troppo il ritmo e l’intensità del proprio gioco, ad Amsterdam il Napoli ha spesso aggredito gli avversari in modo feroce sulla costruzione bassa. Negli occhi è ovviamente rimasto il gol dell’1-4 segnato da Raspadori in avvio di ripresa, ma in realtà il Napoli aveva già dato un saggio di queste sue qualità nel primo tempo. E sempre con Franck Zambo-Anguissa, una specie di geometra del campo con un corpo d’acciaio e una calamita per cuoio installata nei piedi.
Pressing fatto bene
Al netto di come sia andata a finire questa azione, del fatto che l’Ajax abbia perso il pallone a causa di un passaggio a dir poco sbilenco di Pasveer e di uno stop maldestro di Timber, gli aspetti che vanno evidenziati riguardano il posizionamento e l’aggressività dei giocatori del Napoli: nel momento in cui l’Ajax perde il pallone, ci sono sei uomini in maglia grigia nella metà campo avversaria; cinque di questi sono addirittura al di là della linea immaginaria della trequarti campo. A chiamare e spingere in alto questo pressing è evidentemente Stanislav Lobotka, che in qualche modo aveva già annusato il possibile errore in costruzione. Il resto è fatto dallo strapotere fisico e dall’intelligenza spaventosa di Anguissa.
Ci sono state moltissime altre occasioni in cui i giocatori del Napoli hanno aggredito i difensori dell’Ajax con la stessa foga, ma anche con la stessa precisione e la stessa puntualità tattica. Ed è difficile non pensare che questo atteggiamento sia stato un altro accorgimento pensato e attuato da Spalletti per sfruttare le caratteristiche dell’Ajax a suo vantaggio. Sono i numeri a dirlo: ieri il portiere Pasveer ha giocato il pallone per 65 volte, una cifra solo leggermente inferiore a quella fatta registrare ad Anfield contro il Liverpool (74). I numeri dicono pure che, grazie al suo atteggiamento e ai suoi meccanismi di aggressione e riaggressione alta, il Napoli ha reso la vita difficile all’estremo difensore dell’Ajax: i suoi passaggi riusciti sono stati solo il 44%; ad Anfield lo stesso dato si attestò sul 50%.
In difesa
Finora abbiamo visto come ha fatto il Napoli a inibire fin da subito il gioco dell’Ajax. L’ultimo aspetto che resta da approfondire riguarda la fase difensiva di secondo livello, vale a dire i principi e i meccanismi utilizzati da Spalletti in quelle – poche – azioni in cui l’Ajax è riuscito a superare il primo pressing degli avversari.
L’idea di Spalletti è stata di chiudere i corridoi centrali e di spingere letteralmente l’Ajax sulle fasce. Soprattutto quella sinistra. dove la squadra di Schreuder ha costruito – ha dovuto costruire – il 42% delle sue azioni. Anche questa non è stata una scelta casuale: a destra, infatti, l’Ajax schiera il suo giocatore più creativo, vale a dire Dusan Tadic. Proprio a sinistra è nata la rete del vantaggio di Kudus, ma basta rivedere l’azione per comprendere che la situazione di parità numerica in quella zona si è determinata a seguito di una copertura piuttosto approssimativa di Lozano, per altro su un pallone lento scodellato dall’altra fascia.
Cosa comporta una lettura sbagliata
Per il resto, il Napoli ha assorbito in maniera persino comoda il gioco dell’Ajax. Lo dicono i numeri: la squadra olandese ha messo insieme 5 tiri nel primo tempo, tutti prima del minuto 22, e altri 3 nella ripresa. L’espulsione di Tadic ha chiuso la partita con largo anticipo, eppure tutti quelli tentati nel secondo tempo sono stati scoccati da fuori area oppure sugli sviluppi di calcio piazzato.
Insomma, al Napoli sarebbe bastato un minimo di concentrazione in più per evitare di subire anche il primo gol. Certo, poi c’è da interrogarsi sulla reale dimensione dell’Ajax: la squadra di Schreuder è parsa inutilmente ambiziosa in fase di costruzione, visto che sembrava mancare della qualità necessaria per praticare un certo tipo di calcio, e fin troppo arrendevole una volta incassati i gol che hanno incanalato la partita in modo definitivo. La passività difensiva manifestata in occasione del triangolo Kvara-Raspadori-Kvara un attimo prima della rete dell’1-5, in questo senso, è emblematica.
È vero che Spalletti ha indovinato – ancora, per l’ennesima volta – tutte le mosse iniziali e gli spostamenti per poter vincere la sfida tattica. Ma è vero pure che gli uomini di Schreuder sono sembrati privi degli strumenti tattici, ma anche tecnici, per poter reagire. Su questa percezione di debolezza pesa sicuramente l’ennesima campagna di mercato fatta di plusvalenze e tentativi di sostituzione che in realtà sono scommesse, ma è evidente che ieri sera è scesa in campo una squadra molto inferiore rispetto al Napoli. A questo Napoli.
Conclusioni
Probabilmente è questo il punto centrale: per valore assoluto della rosa, per qualità e varietà del gioco, gran parte delle squadre sembrano – o sono – inferiori a questo Napoli. In Serie A, ma anche in Champions League. La complessità e la maturità tattica già raggiunta dagli uomini di Spalletti nel nuovo assetto – con Meret, Kim Min-jae e Kvaratskhelia, ma anche con Raspadori, Olivera e Ndombélé – offrono sempre degli appigli agli stessi giocatori, anche quando la partita si mette male. Non è un caso che il Napoli abbia già conquistato tre vittorie esterne partendo da situazioni di svantaggio (Verona, Lazio e Ajax), e che pure a San Siro siano arrivati i tre punti dopo il pareggio del Milan.
Quelle certezze – potremmo farle ricadere sotto l’ombrello del termine identità – permettono a Spalletti di esplorare le possibilità che gli offre il suo organico. Di farlo con relativa tranquillità. Di muovere dei pezzi e cambiare strategia senza stravolgere l’essenza della squadra. La sua anima. Per capire cosa intendiamo, basta tornare indietro di un anno e ricordare come venne accolta e affrontata l’assenza di Osimhen: Spalletti dovette cambiare tutto il suo Napoli, alimentando il fuoco sempre vivo degli equivoci tra calcio di possesso e gioco verticale. Quest’anno quegli equivoci non esistono più. Anzi, pure gli elementi discordanti sembrano combinarsi bene. Sembrano parlare una lingua comune.
Il merito della società è evidente, per quanto è stato fatto sul calciomercato. Ma ancora più evidente è il merito dell’allenatore, di Spalletti. Che si è reso conto di avere una squadra vasta, una rosa da sfruttare in profondità e in ampiezza, e lo sta facendo in modo intelligente. Senza precludersi esperimenti e inserimenti di giocatori nuovi – dopo Raspadori e Olivera, ora potrebbe toccare a Ndombélé. Senza guardare solamente in una direzione, che di solito è il modo più semplice per capire dove sono i limiti. Questo Napoli, oggi come oggi, ancora deve individuare dove sono i suoi.