Napolista, non sporcare il grande Vito e la boxe con il calcio che è lo sport del portafogli. Qua stiamo ancora a sindacare sulle parole di Mourinho
I paragoni tra la boxe e il calcio per me sono sempre sbagliati, perché da un lato c’è gente che pur guadagnando tanto ci mette la faccia, in senso fisico, dall’altro al massimo un menisco o un bicipite, oltre a qualche tatuaggio. Ma leggere che la Roma di ieri sera sarebbe stata, al cospetto del Napoli-Marvin Hagler, un Vito Antuofermo che avrebbe cercato di strappagli un pari abbracciando il campione americano per quasi tutto il match (come ha fatto Max Gallo sul Napolista), non posso consentirlo. Mi ribello, a nome di tutti i bambini nottambuli che in quel lontano novembre del 1979 si collegarono con il Ceasers Palace di New York e all’alba si ritrovarono a saltare sul divano col papà mentre la mamma spuntava dallo sitpite della porta spaventata, annunciando il terremoto, che di lì a un anno sarebbe arrivato davvero.
Chi non ha mai sentito parlare di Vito Antuofermo perché quella notte dormiva o perché ha avuto un’infanzia triste e infelice perdendosi gli anni più belli della boxe mondiale – quando i grillini non esistevano ma uno valeva uno, nel senso che esisteva un solo titolo mondiale unificato tra due sigle e non i successivi sfilacciamenti in sigle e siglette che hanno portato gente, che io stesso avrei menato, a un semaforo a conquistare cinture mondiali – si trasferisca tranquillamente su altri siti del Napoli che da oggi ci regaleranno articoli di giubilo e di alè-oò da tifosi di calcio senza cultura sportiva o al massimo vittimistici attacchi (che non mancano neanche quando vinciamo) al povero Mourinho che ieri sera ha fatto quello che qualsiasi allenatore di esperienza, impotente, avrebbe fatto per provare a depistare la tifoseria. Come la pioggia di Mazzarri, ricordate? Mou ieri sera stava parlando ai suoi, mica a noi. Come Putin. Perché stupirsi?
Ma torniamo sul ring. La Roma di ieri sera non era un pugile scarso e pavido che provava ad arrivare a fine match legando l’avversario, come non fece quella notte quel Vito Antuofermo, emigrante italiano di origine pugliese, che arrivò a sfidare “The marvellous” a compimento di una carriera vera, costruita non sulla tecnica ma sulla battaglia. Quella notte contro Hagler difendeva il “suo” titolo mondiale contro il più talentuoso e cattivo dei pugili afroamericani e scelse di aspettarlo, contenendolo, fino alla decima ripresa, facendosi massacrare un sopracciglio fragile che un paio d’ore dopo fu suturato con una settantina di punti. Negli ultimi cinque round Vito, da Brooklyn, venne fuori con la forza di un trattore, avanzando sempre e legando al primo scambio mentre menava pugnetti ai fianchi. E Marvin i colpi iniziò a sentirli, la sua azione si fece vaga e confusa, la stanchezza e la frustrazione per quel pugile che gli veniva avanti, lo colpiva, lo legava e ricominciava ancora ancora e ancora, gli fece perdere la testa e la fiducia, mentre la rimonta, e il sorpasso – anche sul mio personalissimo cartellino che a dieci anni avevo imparato già imparato a fare – si consumò a due riprese dalla fine. Il verdetto fu di parità, un giudice si espresse per Hagler, un altro per Antuofermo, un terzo per il no contest, che gli valse il mantenimento del titolo mondiale nelle due sigle esistenti, unificate, Wba e Wbc.
“Per me, ogni match è una guerra. E in guerra se vuoi sopravvivere, devi avere coraggio. Soprattutto se quella guerra vuoi addirittura vincerla”, era uno delle frasi preferite di Vito. La Roma di ieri sera abbracciava, legava e provava a imbrigliare il Napoli ma dimostrava paura, non coraggio, e questo è il segnale più bello. Il Napoli è temuto come una grande squadra che vince prima ancora di scendere in campo. Siamo la Juve dei tempi d’oro, temuta, accusata di torti arbitrali, antipatica. La Roma di ieri sera avanzava per non essere colpita, ma non colpiva, esasperava lo sforzo fino ai propri limiti senza mai provare a superarli, combatteva con i guantoni per non farsi male, non per fare male, si lamentava per l’arbitraggio per non ammettere che non era mai scesa in campo.
“Amico, io sanguino dalla faccia ma non dal cuore”, diceva Antuofermo ai suoi avversari. Lasciamo stare il grande Vito e lasciamo stare anche i paragoni tra Hagler e il Napoli, portano male: Marvin è morto e la boxe non è il calcio, quello sanguina solo dal portafoglio.