Intervista a L’Equipe: «Non rispettammo gli avversari. Diego non si è mai lamentato e ne ha subiti di falli. Nel libro racconto cosa c’è dietro il successo»
Franco Baresi concede un’ampia intervista a L’Equipe. Due pagine dedicare all’ex libero del Milan e della Nazionale, grande protagonisti dell’epopea rossonera berlusconiana.
Ovviamente parla anche di Maradona (ma non solo).
La palma del giocatore più forte mai affrontato va a Diego Maradona?
(Entusiasta.) Un giocatore unico per la sua personalità, il suo modo di giocare, l’essere un leader nello spogliatoio. Come ha dimostrato con il Napoli e con l’Argentina, ha dato tutto per la sua squadra, la sua anima. Amato dai suoi compagni di squadra, ma anche dai suoi avversari. Non si è mai lamentato dei falli ricevuti, e ne ha subiti!
Torna anche sulla sera di Marsiglia quando il Milan abbandonò il campo per un guasto temporaneo ai riflettori. Il club venne poi squalificato un anno dalle coppe europee.
Nella tua autobiografia, dici di rimpiangere di aver lasciato il prato del Velodrome durante la sfida col Marsiglia dopo che un riflettore andò in tilt.
Baresi: Ripensando a quell’episodio, dici a te stesso: “Non siamo stati in grado di accettare la sconfitta che stava maturando. Non abbiamo rispettato l’OM.” Avevamo perso l’abitudine alla sconfitta. Con l’incidente dei proiettori, ci eravamo aggrappati all’idea che la partita sarebbe stata rigiocata. Possiamo sempre trovare scuse, le tensioni della partita, la confusione in campo. Ma abbiamo dimenticato la cosa principale, il rispetto per l’avversario.
Come è cambiato il ruolo del difensore?
Oggi, ai difensori è richiesta una maggiore partecipazione nella costruzione del gioco. Ma le qualità intrinseche per la difesa non sono cambiate: padroneggiare i fondamentali, essere attenti alla marcatura, saper leggere le situazioni. Il gioco è più offensivo di quando ho iniziato e un difensore deve essere efficace sia in difesa sia in attacco.
Quali sono state le tue motivazioni per scrivere questa autobiografia?
Baresi: Ho pensato a questo libro come un messaggio a questi giovani che si stanno avvicinando alla professione di calciatore. Per dire loro quanto sia importante armarsi mentalmente. Descrivi loro cosa c’è dietro i successi, gli eventi, positivi o negativi, di una carriera. Spiega da dove vengo, cosa mi ha permesso di maturare, di progredire, senza pressione o tensione. Vale a dire, parlare di quelle persone che un bambino ha la felicità di incontrare e che si dimostrano fondamentali nella costruzione di storie personali. Volevo rendere loro omaggio. Con il successo, possiamo dimenticare da dove veniamo. Il bambino di Travagliato (suo paese natale vicino a Brescia, a est di Milano) diventato capitano del Milan non lo ha dimenticato!
Nella mia mente, tutto inizia dalla finale del 94. E il famoso calcio di rigore, il primo ad assegnare la Coppa. Ma, al di là dell’epilogo favorevole ai brasiliani, ho voluto rispondere a una domanda: come è stato possibile giocare in questa finale ventiquattro giorni dopo una frattura al menisco del ginocchio destro durante la seconda partita del gruppo (1-0 contro la Norvegia il 23 giugno) e l’operazione successiva, esibendo una prestazione che considero una delle migliori della mia carriera? E ciò che è nascosto (sforzi, sacrifici, ecc.) dietro questo ritorno. Parlando di questo ragazzo che guarda davanti alla sua tv la finale del 1970 tra Brasile e Italia (4-1), e che si ritrova, nel 1994, a giocarne un’altra contro questi stessi brasiliani.