Intervista al Guardian: «Sono diventato ricco col calcio, sono nato povero. Che errore lasciare l’Inter. Il Bradford ci portò in ritiro in una scuola militare: retrocedemmo»

Benny Carbone. Il Guardian dedica una lunga intervista a Benny Carbone che nel lontano 94-95 fu il numero 10 del Napoli. Poi andò all’Inter e di lì in Inghilterra. Oggi dice che lasciare l’Inter per lo Sheffield Wednesday fu il più grande errore della sua vita. Ma dice anche altro. Poi ha allenato Ternana, Crotone, Venezia. Ha collaborato con De Biasi nella Nazionale dell’Azerbaigian. In Inghilterra ha giocato con Sheffield, Aston Villa, Bradford, Middlesbrough, Derby County.
“Roy Hodgson era il mio allenatore all’Inter. Mi faceva giocare tutte le partite, ma non ero felice perché non ero nel mio ruolo. Giocavo sulla fascia. Per questo decisi di lasciare l’Inter. Fu un grosso errore”.
“Ho giocato con il numero 10 sulla schiena per la squadra per cui tifava la mia famiglia, una delle migliori in Europa, forse nel mondo. Avevo 24 anni con un contratto di quattro anni. Sei mesi dopo, Hodgson se ne andò e arrivò Simoni. Con lui Ronaldo. Avrei dovuto aspettare. Quando me ne sono andato, ho perso la possibilità di andare in Nazionale. Prima di me c’erano Roberto Baggio e Gianfranco Zola. Dopo di me Totti e Del Piero. Avrei dovuto continuare a a giocare per una grande squadra se avessi voluto avere una chance.”
Ricorda i suoi inizi a Sheffield. Le difficoltà. Poi l’arrivo di Di Canio.
“L’ho aiutato come altri hanno fatto con me. Stava in un hotel e ho detto “Sei soo? Vieni a dormire a casa mia”. Eravamo come fratelli.”
Lasciò lo Sheffield per l’Aston Villa.
“Litigai con il nuovo allenatore Danny Wilson. Non ho mai voluto lasciare Sheffield. Ancora oggi i tifosi mi riconoscano. Sono tornato per una partita di beneficenza, dopo oltre 20 anni mi sono scusato con Danny Wilson. Ero molto giovane. La mia testa era diversa. Ho sbagliato.”
Sarebbe dovuto andare alla Fiorentina, non se ne fece niente. Finì al Bradford.
“Il Bradford mi voleva molto. Il presidente venne a Milano per farmi firmare il contratto. Questo fu importante per me, mi fece sentire desiderato. Quando è iniziato il pre-campionato siamo saliti tutti su un autobus per sei, sette ore e quando ci siamo fermati non ho visto nessun campo da calcio. Ero confuso. “Che ci facciamo qui?” Ho chiesto. Era un campo militare, e siamo rimasti lì per 15-20 giorni. Era come la detenzione! Dovevamo pulire le nostre stanze, come l’esercito, con ispezioni quotidiane e fare la guardia alla porta. Poi marciavamo, strisciavamo sull’acqua, proprio come i militari. Alla fine, ne ho avuto abbastanza e ho chiesto: ‘Dov’è il pallone?! Per favore, datemi un pallone.” Jim Jefferies [l’allora allenatore del Bradford] voleva provare una nuova esperienza. Secondo me è stato il motivo per cui siamo retrocessi”.
Aveva ancora due anni di contratto al Bradford ma il club non aveva soldi.
«Il presidente mi chiamò e mi spiegò che se avessero continuato a pagare il mio stipendio, il club sarebbe fallito. Ho chiamato il mio agente e ho lasciato il club. Volevo salvarli. Il Bradford mi doveva 2,4 milioni di sterline ma ho rinunciato ai soldi e alla casa che il club aveva comprato per me.»
«Alcuni mi definirebbero stupido, ma siamo uomini prima che giocatori. Non voglio che altre persone si rovinino la vita per colpa mia. Per cosa? Vengo dalla strada. Sono diventato ricco, ma non sono mai cambiato. Nessuno può dire il contrario. Ho perso mio padre quando avevo quattro anni. Mia madre ha cresciuto sei ragazzi da sola, vendendo olio d’oliva. Dopo 12 ore di lavoro, faceva un secondo lavoro, e poi tornava a casa e cucinare per noi. Siamo stati così fortunati come giocatori ad avere il miglior lavoro del mondo. Ma il lavoro non può cambiare chi sei. Resto un essere umano.”
Sogna una panchina in Inghilterra.