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È più surreale Mourinho sulla vittoria non meritata o Spalletti sulla rosa del Napoli?

I post-partita fanno parte dello show. Ciascuno fa il proprio gioco. L’unica cosa che conta è il risultato, ed entrambi lo sanno benissimo

È più surreale Mourinho sulla vittoria non meritata o Spalletti sulla rosa del Napoli?
Db Roma 23/10/2022 - campionato di calcio serie A / Roma-Napoli / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Jose’ Mourinho-Luciano Spalletti

Cosa avrebbe dovuto dire Mourinho a fine partita? Andare in tv e dichiarare: «Baciamo a terra che è finita 1-0»? «Ne sono felicissimo, alla vigilia ero certo di perdere quattro o cinque a zero. Domani con la squadra si va tutti a Pietrelcina a ringraziare».

Ci sono aspetti – tanti – che fatichiamo a comprendere del nostro ambiente. Il Napoli è primo in classifica. Ha vinto undici partite di fila. Ha stracciato Liverpool e Ajax. Ha vinto in casa di Milan, Lazio e Roma. È primo nel girone di Champions. È primo in campionato. Eppure sembra che siamo sempre alla ricerca di una conferma che arrivi dall’esterno. Un’insicurezza cronica che poi ci spinge a difendere l’indifendibile come il torneo di tennis più disorganizzato del West.

Ma perché ci interessano tanto le parole di Mourinho? È così evidente – Alfonso Fasano lo ha spiegato con insuperabile chiarezza – che la Roma ieri sera non avrebbe potuto giocare in altro modo. Sarebbe stato folle accettare di giocare a viso aperto contro il Napoli. Saremmo andati incontro al primo caso della storia di incontro di calcio sospeso per manifesta inferiorità dell’avversario. Irrati avrebbe dovuto chiedere di mischiare le squadre: “Scusi mister, possiamo dare a Raspadori a loro? Sa, è in panchina, che ve ne fate. Possono prendersi pure Mario Rui? Non mi dica niente ma il pubblico ha pagato”.

Per evitare questa scena invero umiliante, Mourinho si è difeso. Sì, si è difeso. Non è ancora reato. Ha giocato col pullman diffuso. Un po’ su Osimhen, un po’ su Kvaratskhelia, un po’ su Lobotka (e infatti ha toccato appena 44 palloni). Si chiama sport. Si chiama tentativo di fermare l’avversario più forte. Tutto questo dovrebbe inorgoglirci. Così come Karsdorp che al minuto 12 aizza la folla. Noi eravamo e siamo l’avversario da battere. Siamo i più forti. Che cosa pretendiamo? Che si scappellino e ci dicano: prego, passate, vi facciamo vincere? Ci fu un tempo in cui a Napoli eravamo orgogliosi di aver costretto il Real Madrid a buttare la palla in fallo laterale. È la stessa cosa, solo che stavolta noi siamo il Real Madrid e gli altri sono i provinciali.

Lo vediamo da noi che il Napoli ha strameritato, che Meret non ha dovuto compiere alcun intervento. Ma Mourinho deve tenere alto il morale delle truppe. È pagato per allenare la Roma non per omaggiare la grandiosità del Napoli.

Napoli che ieri ha vinto a Roma senza Anguissa, senza Rrahmani, senza Raspadori (in panchina), senza Mario Rui (in panchina) con Lobotka che ha toccato appena 44 palloni e quindi di fatto non è stato nel cuore del gioco. L’ultima legge che imperava a Napoli era: senza Anguissa e Lobotka, il Napoli non esiste. Poi si va a Roma senza Anguissa e con Lobotka che tocca 44 palloni e si vince 1-0. Amen.

Ieri sera abbiamo elogiato Spalletti. Se l’è meritato. Strameritato. È andato avanti con le sue idee, col suo piano-partita. Osimhen è rimasto in campo perché lui la partita l’ha pensata così. Come fece con lo Spezia con Raspadori. Perché ha capito che ha una squadra fortissima e la sta facendo volare. Perché le parole se le porta via il vento ed è roba da vigilia quelle frasi sul “nostro gioco”. Il Napoli ieri ha giocato come fanno le grandi squadre. Ha letto i momenti della partita. Non si può giocare sempre allo stesso modo. È da ottusi. Non c’è altra parola. E Spalletti ci ha aperto il cuore ieri sera quando a Sky ha risposto all’invito di Caressa ad andare ospite del salotto Sky durante la pausa per il Mondiale. “Così ci spieghi il tuo calcio”, ha detto Caressa. E Spalletti ha replicato: “Il mio calcio? Il calcio è di tutti”. Ci siamo sentiti come Mario Brega quando la figlia gli chiese di andare a comprare le scarpe a via Veneto.

Eppure prima una piccola delusione Luciano ce l’aveva riservata. Aveva appena battuto la Roma senza Anguissa, senza Rrahmani (e tutti quelli che abbiamo già citato, non vogliamo annoiarvi) e poi ha buttato là la seguente dichiarazione: «Abbiamo ancora dei ruoli senza il doppio, numericamente è quella dello scorso anno. Quando fate queste differenze si prende in mano anche le altre, hanno tutti una rosa di 23-24 calciatori alla quale si può attingere. Vogliamo vedere quelle delle milanesi, della Juve e della stessa Roma? Se si vince la rosa è più completa però stasera in mezzo al campo avevamo bisogno di uno un po’ più di fisico».

No dai, davvero si sta lamentando della rosa? Tutto è perfettibile per carità. Nessuno vuole sminuire il lavoro di Spalletti (e nessuno lo sta facendo) ma la rosa ci pare di tutto rispetto. Poi serviva uno più grosso in mezzo al campo? Se è un’urgenza, si provveda a gennaio. A patto di non creare un altro caso “Grassi e Regini”. È ovvio che in panchina non ci sia un altro forte come Lobotka. Altrimenti non ci sarebbero titolari e riserve. In fondo Spalletti fa lo stesso gioco di Mourinho. Fa il suo lavoro. Si nasconde. Al contrario del portoghese, tiene basso il morale dell’ambiente. Perché sa che a Napoli se finisce secondo in campionato e nei quarti di Champions, viene crocifisso come lo scorso anno. Ha ragione, ha ragione da vendere (non sulla rosa ma sull’ambiente) ma nessuna dichiarazione mani avanti fermerà la follia che cova sotto le stazioni della metro in attesa che passino i treni (nuovi eh, s’intende).

E quindi forse anche noi dovremmo dare meno importanza alle parole degli allenatori che in fondo non sono capi di Stato (ne scrivemmo qui, basta dittatura dei loro ego). Il calcio è bugia. Vale per Mourinho come per Spalletti. E per tutti gli altri. L’unica cosa che conta è il tabellino. E la classifica. E Mourinho e Spalletti lo sanno benissimo. Il resto è show-business. È Odeon: tutto quanto fa spettacolo.

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