Kvara, Kim e gli altri nulla sanno delle battaglie identitarie. Giocano leggeri e si divertono. Il Napoli è finalmente solo una squadra di calcio
(per gentile concessione del Corriere del Mezzogiorno)
Non ci piace vincere facile, quindi non staremo qui a maramaldeggiare sulle panchine di Koulibaly, sulle prestazioni da 35enne di Mertens, su Fabian ridotto a comparsa, sulla vita calcistica canadese di Insigne. Per l’ennesima volta i fatti hanno dimostrato che nella contesa Calcio Napoli versus piazza strillazzera, il risultato è stato da ko tecnico o lancio della spugna. Del resto è difficile ipotizzare che potesse andare diversamente visto che da un lato c’era la competenza gestionale, calcistica, la professionalità (termine che provoca l’orticaria a Nanni Moretti), insomma le abilità del proprio lavoro; dall’altro la faciloneria, l’amore per il grottesco, il populismo tanto al chilo. E, Di Maio docet, non sono tempi felici per i populisti.
Archiviata la masochistica e ridicola estate dell’A16 (ma altre ne verranno, il bubbone è lungi dall’essere stato estirpato), Napoli si è risvegliata con una squadra delle meraviglie, costruita in maniera perfetta. Un esempio di come debba essere condotta un’azienda calcistica: rafforzarsi e risparmiare allo stesso tempo, profonda conoscenza di mercati ignoti al grande pubblico. Dove Giuntoli e il suo staff hanno scovato, tra gli altri, il georgiano Kvaratskhelia, il sudcoreano Kim, il norvegese Ostigard. In un colpo solo il Napoli ha creato una squadra più forte dello scorso anno (ormai non ne dubita più nessuno, domenica sera persino il salotto di Sky si è profuso in dieci minuti di complimenti), ha messo a posto il bilancio, ha posto le basi per una stabilità futura tecnica ed economica. E, aggiungiamo, ha rotto i ponti col passato. In tutti i sensi. Sia da un punto di vista ambientale stretto, il proverbiale spogliatoio, dove si erano ormai consolidate gerarchie che non riflettevano più quelle calcistiche. Sia da un punto di vista ambientale più ampio. Ed è l’aspetto per certi versi più interessante.
Il Napoli di Kim, Kvaratskhelia, ma anche di Raspadori, Anguissa, Meret, Lobotka, è tornato a essere “semplicemente” una squadra di calcio. Con l’addio dei senatori, è come se fosse stato reciso quel rapporto morboso con la città. Rapporto che incastrava il Napoli nel ruolo di ambasciatore e rappresentante di una città che da sempre si sente in guerra con nemici immaginari (che poi sono tutti coloro i quali non la considerano al centro del mondo).
Il Napoli si è al tempo stesso emancipato e alleggerito. Per usare un termine che da noi è rivoluzionario: si è laicizzato. Sabato scorso, al termine di Napoli-Torino, a Dazn hanno intervistato Kim e gli hanno chiesto (domanda originale) se avesse imparato qualche parola in napoletano. Tutti si aspettavano qualche parolaccia, oppure frato mio o robe del genere. E invece col suo candore Kim ha detto: “Ciao a tutti, forza Napoli sempre”. Meraviglioso. Impossibile non amarlo. Tant’è vero che poi Ciro Ferrara da studio bonariamente l’ha rimproverato: “doveva dire ‘a cazzimma”.
Kim probabilmente non sa che cosa sia la cazzimma. E non lo saprà nemmeno Kvara. E il Napoli va forte anche per questo. È un gruppo di calciatori bravi, molto bravi, che fanno bene il proprio lavoro, che si divertono a giocare. Di calciatori che hanno scelto Napoli, hanno fortemente voluto Napoli, ma lo hanno fatto perché il Napoli è un club importante, un traguardo o una fondamentale tappa di passaggio per entrare nel calcio di primissima fascia. Non per sentirsi parte di una grottesca e donchisciottesca battaglia identitaria.
La loro non appartenenza a Napoli è il valore aggiunto di questa squadra. Loro non difendono la città. La attraversano ma non la vivono. Non la conoscono, così come non conoscono la lingua. Fanno divertire i tifosi del Napoli. Che, ricordiamolo, non devono obbligatoriamente essere napoletani. Si può tifare Napoli ed essere bambini veneziani, berlinesi, parigini. E tifare Napoli perché innamorati del modo di giocare di Kvaratskhelia, Kim e altri. Si può giocare e tifare Napoli senza sapere che cosa significhi cazzimma. Tu chiamala, se vuoi, rivoluzione laica.
(tratto dal Corriere del Mezzogiorno del 4 ottobre 2022)