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L’unico gay dichiarato del Qatar: «Ci cercano, ci torturano. E Beckham è complice»

Alla Zeit: “La gente non si rende conto di quanto sia violento e anti-queer il Qatar. Quando ho chiesto asilo agli Usa non mi credevano”

L’unico gay dichiarato del Qatar: «Ci cercano, ci torturano. E Beckham è complice»

La polemica sui gay e il Qatar sarà una costante da qui ai Mondiali. Un paio di giorni fa ha buttato benzina sul fuoco il Ministro per gli Affari Esteri del Regno Unito James Cleverly, secondo il quale i tifosi gay che andranno in Qatar per i Mondiali dovranno “essere rispettosi del Paese che li ospiterà”. Apriti cielo.

Il punto, assodato, è che essere omosessuali in Qatar resta un crimine a dispetto delle operazioni di pr dello Stato. Il settimanale tedesco Die Zeit ha intervistato la prima e unica persona queer del Qatar che ha fatto outing. L’ha fatto solo dopo aver ottenuto asilo politico negli Usa, e l’ha fatto alla BBC, nel maggio scorso. Si chiama Nas Mohamed, ha 35 anni, ed era un medico. Si identifica come una persona non binaria. Nel 2011 si è trasferito negli Stati Uniti, ha chiesto asilo nel 2015 e l’ha ottenuto nel 2017.

“Ho sperimentato com’è vivere sotto questo regime – racconta – Speravo di non essere mai trovato. A quel tempo conoscevo meno di dieci gay in Qatar. Sono ancora tutti in Qatar ad assistere al marketing per la Coppa del Mondo. Non riconosco nemmeno il Paese, tutto è graziosamente colorato. Questo non è il Paese in cui sono cresciuto. Non corrisponde a quello che ho vissuto. La gente non si rende conto di quanto sia violento e anti-queer il Qatar. Quando ho chiesto asilo negli Stati Uniti nel 2015, mi hanno chiesto: perché non abbiamo mai sentito parlare di persone perseguitate in Qatar? Mi è stato quasi negato l’asilo”.

“Ora li temo. Si sentono minacciati perché c’è una persona queer del Qatar che è disposta a parlare. Di solito siamo messi a tacere. Questa è stata una parte importante del viaggio: diventare visibile rapidamente prima di essere zittito. Fortunatamente, ora molti occhi sono puntati su di me. Quindi mi sento un po’ protetto. La mia famiglia non mi ha nemmeno chiamato dopo il coming out. Contattarmi è pericoloso. E sfortunatamente, è difficile far parlare i qatarini LGBT, hanno paura”.

“Lo stato del Qatar mette le persone in prigione e le tortura fisicamente e psicologicamente. Non vieni punito solo se vieni sorpreso per sbaglio. Fanno di tutto per trovarti. E poi ti fottono. Ti trattano come assassini. Questa è una bomba a orologeria. Perché le autorità stanno persino cercando di reclutare persone dalla nostra comunità. Se trovano una persona, la maltrattano e dicono: se non vuoi che ti succeda di nuovo, è più sicuro che lavori per noi. Questo crea sfiducia perché non sai chi lavora per lo Stato”.

Nas Mohamed racconta la sua vita in Qatar prima di trasferirsi negli USA: “Ero mentalmente combattuto. Il mio primo tatuaggio è un testo arabo, l’ho preso quando me ne sono andato. Esprime come mi sentivo in quel momento: “Ho soddisfatto gli altri con una vita che ha portato alla mia rovina. Ora è il momento che gli altri mi vedano rinato vittorioso”. Hai paura dei tuoi vicini, delle forze dell’ordine, persino della tua stessa famiglia. Non avevo mai sentito la parola “gay” in arabo. Mi piacevano gli uomini, solo che non sapevo come chiamarlo. Non ne ho mai parlato perché parliamo di sesso solo quando ci sposiamo. Nel 2010, durante un viaggio a Las Vegas, tutto mi è diventato chiaro. In un ambiente sessualmente intenso, mi sono reso conto di essere gay. Mi ci è voluto ancora più tempo per capire che sono una persona non binaria”.

“La mia vita, la mia comunità, viene distrutta dalla Fifa e da persone come David Beckham che danno il loro potere alle persone sbagliate. I David Beckham sono sempre esistiti e sempre esisteranno. Stanno facendo accordi con un regime che ha petrolio, denaro e connessioni globali. Ho detto a Beckham: basta firmare la mia petizione chiedendo alla Fifa di criticare il Qatar per il trattamento riservato alle persone queer. Ma ha rifiutato”.

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