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Moratti: «In Serie A doveva vincere sempre la Juve. Una vergogna imbrogliare sui sentimenti della gente» 

Al CorSera: «Acquistammo il Cagliari di nascosto per non fare vendere Riva agli Agnelli. Vieri? Un bastian contrario, ma non un cattivo ragazzo»

Moratti: «In Serie A doveva vincere sempre la Juve. Una vergogna imbrogliare sui sentimenti della gente» 
Db Milano 30/05/2017 - premio 'Rosa Camuna' / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Massimo Moratti

Sul Corriere della Sera una lunga intervista a Massimo Moratti. Racconta di suo padre Angelo.

«Fantastico. Non ho mai ritrovato, in tutta la mia vita, un uomo al suo livello. E per tutta la mia vita ho tentato di imitarlo; pur sapendo che era inimitabile. Geniale, affascinante, spiritoso, simpatico, umanamente ricchissimo…».

Un uomo che però veniva dalla povertà.

«Il nonno aveva la farmacia di piazza Fontana a Milano, ma papà andò via di casa a 14 anni: sua mamma era morta, e non voleva vivere con la matrigna, dura come quella delle favole».

Nella Milano degli anni ’50 c’era un’unica cosa che non andava: Nordahl, il centravanti del Milan. Moratti racconta:

«Grande, grosso, inarrestabile. Ne avevo una paura fisica: lo vedevo a San Siro e me lo sognavo di notte. Nordahl fu l’uomo nero della mia infanzia».

Peggio il Milan o la Juve?

«La Juve, senza dubbio».

Moratti racconta come fece l’Inter a trovare Herrera.

«Ce lo segnalò un giornalista della Gazzetta dello Sport, mi pare proprio Franco Mentana, il papà di Enrico. Il Mago e Mourinho avevano molte cose in comune. Lavoravano e studiavano moltissimo. Sapevano di psicologia e di medicina. Quando arrivò José, il nostro medico disse: finalmente un allenatore che mi aiuta».

Brera racconta che Herrera si aiutava pure con certe pastigliette negli spogliatoi. Moratti spiega che il padre non lo avrebbe mai consentito.

«Brera scherzava. Mio padre non l’avrebbe mai permesso. E il Mago aveva molto rispetto per mio padre, quasi soggezione».

Sulla vendita dell’Inter:

«Mio padre comprò il Cagliari, quando seppe che stava per cedere Riva alla Juve. Il mattino dopo i dirigenti sardi informarono Agnelli che l’affare non si poteva più fare: il club aveva un nuovo proprietario. L’Avvocato non chiese neppure chi fosse. Aveva capito».

E il Cagliari vinse clamorosamente lo scudetto.

«Con Domenghini che l’Inter aveva ceduto per Boninsegna».

Cosa accadde il 5 maggio 2002, la sconfitta con la Lazio che vi costò lo scudetto?

«I giocatori credettero di aver avuto segnali dai colleghi della Lazio: non si sarebbero impegnati, per non favorire la Roma. Tutte balle. Ne ero convinto già prima del fischio d’inizio, e li avvisai: “Nessuno ci regalerà nulla”. Eppure entrarono in campo con una sicurezza eccessiva. E non sono mai riusciti a prendere in mano la partita. Mi sentivo così responsabile che mi dissi: non lascerò il calcio finché non avrò la rivincita».

Il centravanti era Bobo Vieri. Moratti ne parla:

«Un bastian contrario, sempre critico verso la dirigenza; ma non un cattivo ragazzo. All’Inter fece tutto quello che poteva fare; eppure non ha vinto nulla».

Poi arrivò Ibra.

«Simpaticissimo. Avevo l’abitudine di consultare i giocatori più importanti per la campagna acquisti, e con Zlatan avevamo un rito. Lui mi diceva: “Di Cambiasso l’anno prossimo potremmo anche fare a meno…”. Io ridevo. Poi andavo da Cambiasso, che mi diceva: “Di Ibra l’anno prossimo potremmo anche fare a meno…”».

Ibra e Cambiasso non si amavano.

«Ma in campo giocavano alla morte l’uno per l’altro».

Mazzola ha raccontato di aver lasciato l’Inter perché lei si consultava con Moggi.

«Non è andata così. È vero che Moggi voleva venire all’Inter, e io non gli ho mai detto esplicitamente che non lo volevo; ma non l’avrei mai preso perché la serie A era manipolata; e noi eravamo le vittime. Doveva vincere la Juve; e se proprio non vinceva la Juve toccava al Milan. Una vergogna: perché la più grande forma di disonestà è imbrogliare sui sentimenti della gente».

Alla Juve tolsero due scudetti, e uno lo assegnarono a lei. Lo rivendica?

«Assolutamente sì. So che gli juventini si arrabbiano; e questo mi induce a rivendicarlo con maggiore convinzione. Quello scudetto era il risarcimento minimo per i furti che abbiamo subìto. Ci spetterebbe molto di più».

Come scelse Mou?

«Ascoltando una sua intervista tv, tra una semifinale e l’altra della Champions 2004. Il suo Porto aveva pareggiato con il Deportivo La Coruna, il ritorno si annunciava molto difficile. E lui disse: “Ma quale Deportivo, io penso già alla finale”. La sua spavalderia mi piacque moltissimo».

E fu il triplete: campionato, Coppa Italia, Champions.

«Missione compiuta. Ero fiero che la stessa famiglia avesse rivinto la Coppa quasi mezzo secolo dopo. Per la prima volta mi sono sentito degno di mio padre; anche se lui resta inarrivabile. Ancora oggi mi capita di trovare persone che mi parlano di lui, che gli devono qualcosa».

Quanti soldi le è costata l’Inter in tutti questi anni?

«Questo non me lo potete chiedere. Non lo so, e non ve lo direi. Il calcio non è business; è passione. E le passioni non hanno prezzo».

Chi vincerà il campionato?

«Potrebbe davvero essere l’anno del Napoli. Anche il Milan fa paura. L’Inter ha una struttura forte; ma poi sul più bello si smarrisce».

Cosa pensa di Berlusconi?

«Lo considero un amico. Come imprenditore lo stimo molto».

E come politico?

«Non vorrei perdere la sua amicizia».

Come ha conosciuto sua moglie Milly?

«Alla Capannina. Era bellissima. La invitai a ballare. Era il 1966, aveva vent’anni ma ne dimostrava meno. Ci siamo sposati nel ’71, abbiamo sempre condiviso tutto. Tranne una cosa. Quando comprai l’Inter non le dissi nulla. Lei lo apprese dalla tv. Diedi ordine di bloccare gli ascensori: temevo salisse in sede per fermarmi. Poi andai a casa. Non trovai nessuno. Brindai con la cameriera».

 

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