La vittoria sul Torino è stata una dimostrazione di calcio liquido. Il tecnico ha una rosa ampia e una squadra che ha assimilato i suoi concetti
Calcio liquido e calcio sistemico
Quello colto contro il Torino, per il Napoli, è un successo carico di significati. Perché sancisce il sorpasso – un sorpasso non solo momentaneo, contingentato, ma anche storico e quindi politico – del calcio liquido su quello sistemico. Del presente/futuro sul passato e sulla sua ideologia, almeno per quanto riguarda la squadra azzurra e la sua percezione al di fuori di Napoli, del suo ambiente. Tutto parte dalle definizioni: quando parliamo di calcio liquido, intendiamo descrivere un approccio al gioco mutevole e quindi adattabile al contesto di ogni partita pur senza snaturare la proprio essenza, la propria anima, proprio come fa un liquido quando viene immesso in un recipiente; con la locuzione calcio sistemico, invece, si descrive una visione del gioco per cui una squadra scende in campo per giocare sempre allo stesso modo, indipendentemente dall’avversario di turno, dalle sue caratteristiche.
Napoli-Torino è stata la vittoria del calcio liquido su quello sistemico. Perché il Napoli ha saputo modellarsi e quindi ha modellato il proprio gioco in modo da sfruttare i bug di sistema del Torino; viceversa, la squadra di Juric ha rispettato e ha cercato di imporre la sua identità, non ha mai cambiato assetto o variato i principi di gioco. Anzi, l’esasperazione di alcuni concetti l’ha portata addirittura a commettere gli errori che, numeri alla mano, hanno determinato la sconfitta.
Attenzione, piccolo disclaimer: il fatto che il Napoli abbia vinto non sancisce la superiorità ontologica del calcio liquido su quello sistemico. Anzi: c’è da dire – e lo vedremo – che il Torino, per lunghi tratti della gara, ha vinto la sfida tattica contro gli azzurri. Il 3-1 finale, però, dice che il Napoli liquido è stato più forte del Toro sistemico. Che la qualità degli azzurri e le intuizioni di Spalletti per sfruttarla hanno avuto la meglio sull’insistenza degli uomini di Juric. Vediamo come e perché.
4-3-3 in purezza
Cominciamo dalle scelte dei due allenatori: Spalletti ha disposto la sua squadra con un 4-3-3/4-5-1 piuttosto rigido, in cui Zielinski – l’uomo che di solito determina il ribaltamento del triangolo di centrocampo – ha agito da mezzala pura. Basta guardare la mappa di tutti i suoi palloni giocati per rendersene conto:
Tutti i 31 palloni giocati da Zielinski, uscito a mezz’ora dalla fine
Dall’altra parte, Juric ha confermato il suo sistema 3-4-2-1, anche se in realtà il Toro si disponeva con una sorta di 3-2-4-1 in fase offensiva. Da qui, da questa disposizione, si capisce perché Spalletti abbia deciso di utilizzare il centrocampo a tre: l’idea del tecnico del Napoli, fin dai primi minuti, è stata quella di sfruttare a proprio vantaggio la tendenza strategica più evidente degli avversari di turno, ovvero la ricerca continua di accorciare il campo difensivo creando duelli uomo su uomo a tutto campo.
Le marcature a uomo del Toro, fin dalla primissima costruzione del Napoli con Meret
Con il 4-3-3 rigido di cui abbiamo appena parlato, in pratica, Spalletti ha determinato una costante parità/superiorità numerica in fase di costruzione: nel momento in cui il Napoli muoveva il pallone dal basso, la presenza di un uomo in più a centrocampo (il pivote Lobotka e i due intermedi Anguissa e Zielinski contro il doble pivote composto da Linetty e Lukic) costringeva i giocatori del Torino a delle rotazioni piuttosto complicate; i movimenti di tutti e tre gli attaccanti, bravi a comprimere e poi ad aprire gli spazi sia in verticale che in ampiezza, hanno creato enormi praterie in cui i compagni hanno potuto inserirsi.
Un’azione perfetta
Ecco cosa intendiamo: in questa azione il Napoli muove il pallone velocemente e con qualità, fino a quando Raspadori non accorcia verso il centrocampo liberandosi della marcatura a uomo di Buongiorno; quel movimento non ha mandato in tilt il sistema di coperture di Juric, solo che Singo commette un piccolo errore, è troppo lontano da Mário Rui e quindi viene anticipato dal terzino portoghese, di testa, dopo il lob di Raspadori. A quel punto, il Napoli ha manipolato bene l’assetto del Torino. E allora Kvaratskhelia è preciso nel servire Mário Rui coi tempi giusti dopo la sovrapposizione interna in una porzione di campo tutta da attaccare; cross e perfetto stacco di Anguissa, bravissimo a inserirsi in area nello spazio lasciato libero da Raspadori e a far valere le sue misure fisiche fuori scala.
È un gol da 4-3-3 in purezza, visto il modo in cui il centrocampista camerunese aggredisce l’area di rigore: da vera mezzala offensiva. È un gol costruito grazie al piano partita ideato da Spalletti: costruzione bassa sofisticata, ricerca dell’imbucata verticale e a quel punto le marcature sono saltate. E c’è campo da conquistare, da aggredire, per chi deve rifinire così come per chi deve concludere le azioni d’attacco.
Un’azione perfetta, di nuovo. Solo con un po’ di fortuna in più.
Come si vede chiaramente da questo video, il secondo gol del Napoli è una conferma: Spalletti aveva preparato la partita per giocarla proprio così. Con questi schemi, con queste armi tecnico-tattiche. È l’essenza stessa del calcio liquido: pensare ad alcuni meccanismi che possono far male a un certo avversario, lavorarci in allenamento e poi provarli in partita.
Anche in questo caso, infatti, il Napoli chiama il pressing del Toro con un’impostazione dal basso persino esasperata. Che, come in occasione del primo gol, coinvolge Raspadori dopo il suo movimento a fisarmonica; che si rivela fin troppo ambiziosa – anzi: più che rischiosa – nel momento in cui Meret forza un tocco in verticale su Di Lorenzo, e il pallone sbatte sulle gambe di Linetty e poi viene sporcato da Buongiorno, prima che Anguissa e Politano confezionino un sontuoso triangolo che libera il camerunese a tu per tu con Milinkovic-Savic, solo a circa sessanta metri d lui.
Il buco nella difesa del Toro è stato aperto da Buongiorno. O meglio: da Raspadori, che ha attirato Buongiorno nella sua metà campo, con l’intento di partecipare – ancora – alla costruzione bassa. E così Anguissa si è ritrovato a correre in campo aperto, visto che, come da copione, Rodríguez aveva seguito Politano per braccarlo altissimo e Djidji era rimasto accoppiato con Kvaratskhelia. Di nuovo, esattamente come in occasione del gol di Anguissa, il Napoli aveva sfruttato a suo vantaggio le marcature a uomo del Toro. Grazie alla tecnica dei suoi migliori giocatori.
Un buonissimo Torino
Quest’ultimo aspetto, quello relativo alla tecnica dei giocatori in campo, non può e non deve essere trascurato. Anzi, è il punto centrale intorno a cui ruota il racconto tattico di Napoli-Torino 3-1. Come detto in precedenza, questa analisi – così come tutti gli altri articoli giornalistici e/o saggi tecnico-tattici – non può determinare con certezza la superiorità assoluta del calcio liquido su quello sistemico, ma prova a evidenziare come le idee di Spalletti abbiano avuto la meglio su quelle di Juric a partire dalla qualità dei calciatori. Nel senso: il tecnico del Napoli aveva pensato a un modo per forzare le marcature del Torino, ma è stata la sensibilità tecnica di Raspadori e Mário Rui a determinare il primo gol; così come, in occasione del raddoppio, a fare la differenza sono stati il tocco sotto di Politano e l’esuberanza atletica di Anguissa.
Il Torino, da parte sua, non ha giocato male. Anzi, fin dai primissimi minuti di gioco ha dimostrato di avere le idee chiare e pure i giocatori giusti per attuarle. Abbiamo visto come sistema di Juric, che ha scelto i due trequartisti, soffriva la trasmissione veloce della palla da parte del Napoli in costruzione bassa, ma è vero pure che gli stessi Miranchuk e Vlasic erano sempre in grado di smarcarsi e ricevere il pallone tra le linee, alle spalle di Zielinski e Anguissa.
In alto, Miranchuk si trova dietro Zielinski e Lobotia; sopra, invece, è Vlasic che può ricevere il pallone alle spalle di Anguissa. A pochi istanti di distanza, due situazioni in cui i trequartisti del Toro si sono mossi benissimo tra le linee.
Il Torino, insomma, non deve essere ridotto a un’entità tecnico-tattica che pratica marcature a uomo a tutto campo. È una squadra dal gioco offensivo complesso e ricercato, che non a caso è venuta a contendere il possesso palla al Napoli nel suo stadio (dato grezzo finale del 51% in favore dei granata) e ha anche costruito un buon numero di azioni offensive. I numeri sono contro-intuitivi: il primo tempo dominato dal Napoli si è concluso con 10 conclusioni a 7 in favore del Toro; a fine gara, lo stesso dato dice 16-15, sempre in favore della squadra di Juric.
Il punto è che la tecnica, come detto, fa la differenza: i già citati Vlasic e Miranchuk, ma anche i vari Singo, Lazaro, Lukic, Linetty e Sanabria, senza contare il trio iper-aggressivo Djidji-Buongiorno-Rodríguez, sono i giocatori giusti messi nel posto giusto. Solo che hanno meno qualità rispetto a quelli del Napoli, e quindi hanno commesso errori o imprecisioni tecniche che hanno compromesso il risultato. In questo senso, il gol di Kvaratskhelia è un saggio brevissimo eppure completissimo: Djidji ha accorciato benissimo e ha anticipato Kvaratskhelia come fatto per gran parte della partita, ma il suo tocco è stato sballato; a quel punto Zielinski ha potuto lanciare il georgiano in campo aperto, e il suo marcatore in quell’azione, Lukic, non era in grado di correre al suo ritmo.
Cosa significa sbagliare un tocco
Come anticipato, in questa azione c’è tutto: la bontà del gioco – e dei giocatori – del Toro vanificata da un errore che sembra microscopico, ma in realtà determina un gol. E quindi il risultato di una partita. La stessa cosa è successa anche dall’altro lato del campo: i numeri hanno detto che la squadra di Juric ha saputo tener testa al Napoli per quanto riguarda la produzione offensiva in valore assoluto. Ma alla fine ai granata è mancata la qualità per convertire, per tradurre tutto questo in conclusioni davvero pericolose. Le statistiche sono significative anche da questo punto di vista: su 16 tiri complessivi del Toro, solo 3 sono finiti nello specchio della porta; per il Napoli, invece, sono stati 7.
Il merito di queste cifre va ascritto anche alla partita difensiva del Napoli. A quella che possiamo definire come la Fase-2 del calcio liquido di Spalletti. I tre gol costruiti nei primi 45 minuti sono stati il frutto di una grande intensità di gioco da parte degli azzurri, che poi si sono inevitabilmente ritratti, compattati. I dati sul baricentro medio, in questo senso, sono eloquenti:
I numeri parlano da soli
Insomma, il Napoli ha prima vinto la partita e poi si è messo a gestirla. In maniera intelligente per non dire sapiente. Con maturità, con consapevolezza. Senza sentire e senza manifestare la paura di lasciare il pallone agli avversari. Soffrendo davvero solo nell’ultimissima fase del primo tempo, quando è arrivato il gol di Sanabria.
Nella ripresa, i cambi – soprattutto quello tra Zielinski e Ndombélé – hanno permesso a Spalletti di consolidare la partita, anzi di congelarla, di contenere l’esuberanza fisica del Torino senza concedere molto. Dall’altra parte, gli ingressi di Radonjic, Adopo e Aina hanno riproposto lo stesso tema: il Torino ha continuato a macinare buone azioni tattiche spesso vanificate dalla tecnica non proprio scintillante dei suoi giocatori. Quando poi è arrivata una manovra costruita e conclusa bene, con Radonjic da fuori area, Meret è stato bravissimo a cancellare il gol del 3-2. Anche in questo caso la qualità ha preso il sopravvento.
Conclusioni
Dopo anni di equivoci temporali e quindi progettuali, il Napoli è finalmente la miglior squadra possibile in relazione alle sue risorse. Cioè alle caratteristiche e alle esigenze dei suoi giocatori migliori – in attesa del ritorno di Osimhen, che potrebbe rendere ancora più radicale l’identità della squadra di Spalletti. L’organico a disposizione consente a Spalletti di variare spartito e approccio in base alla partita, alle esigenze del momento, anche perché in fondo i capisaldi della squadra – Di Lorenzo, Kim Min-jae, Rrahmani, Lobotka, Anguissa, Kvaratskhelia – danno un’identità chiara al gioco. Sia in fase difensiva che offensiva.
Per tornare alle definizioni iniziali: quello del tecnico toscano è un calcio liquido solo fino a un certo punto, nella misura in cui Raspadori e/o Politano al posto di Osimhen, Simeone o Lozano determinano una maggior propensione al gioco diretto. Nella misura in cui Zielinski può agire come mezzala pura o come sottopunta. Nella misura in cui la fase difensiva può essere aggressiva, a sostegno di un possesso palla intensivo e sofisticato. E poi sa diventare meno ambiziosa, più bloccata. Ma non per questo meni efficace e concentrata.
Il Napoli ha un’anima ormai consolidata e poi si diverte a modellare sé stesso in base alle esigenze. Alle possibilità. All’avversario, perché no: una squadra dal profilo definito e persino definitivo come il Torino ha pregi e difetti chiari, evidenti. E chi ha gli strumenti per sfruttare questa condizione, intesi come conoscenza tattica e qualità tecniche in rosa, ha il dovere quasi morale di farlo. È uno studio, è un lavoro, ma può pagare i suoi dividendi. Tre gol in 37 minuti, in questo senso, sono tre indizi valgono ben più di una prova. Ci dicono che il Napoli e Spalletti sono sulla strada giusta, dal punto di vista tattico ma anche progettuale, culturale.