I giornali hanno esaurito gli aggettivi e aggiornano quotidianamente i numeri dei record. Ha messo in ombra persino Re Sole Guardiola
Guardiamo i numeri di Erling Haaland come John Forbes Nash, in “A beautiful mind”. Tipo così:
E così li mettono in infografica tutti i quotidiani sportivi del mondo da un po’ di giorni. Fatto una volta tocca solo aggiornare il monte gol. E una goccia cinese, anzi tre gocce alla volta. “Devo essere onesto? Non ho mai visto niente di simile in vita mia”, ha detto Jack Grealish, che da giocatore più pagato d’Inghilterra si mette un passo di lato, deferente. E’ tutto un Haaland qua un Haaland là. Non c’è scampo. Ha saturato il pallone segnando tanto, persino troppo. E’ in aggettivazione costante, per i giornali ad un certo punto è un problema: è cacofonico. Non fai in tempo a celebrare la mattanza del derby di Manchester, che quello va in Champions e ricomincia. Il portiere del Copenaghen Kamil Grabara, poveretto, ha sussurrato: “Non è umano”. Il New York Times lo aveva già messo nero su bianco: “è un cyborg”. Qualcuno ha azzardato anche il “segreto per fermarlo”: stargli il più lontano possibile. Si sa, i giornalisti sono sempre un po’ cialtroni.
Lui ride. Un metro e 94 per 94 chili. Biondo con la coda. Inscalfibile. Jonathan Wilson lo scriveva sul Guardian già nel 2020: “Nessuno al mondo gioca con una tale mancanza di rispetto verso la difficoltà”.
Ha sempre segnato almeno un gol nelle ultime nove partite ufficiali. 19 gol in 12 partite. 28 gol in 22 presenze in Champions League. 14 gol in 8 partite di Premier fanno una media di 1,75 a partita. I record di 32 gol di Salah nel 2017-18 e i 34 di Cole e Shearer, continuasse così, li brucerebbe fra 12 partite. Nessun giocatore nella storia del campionato inglese aveva segnato tre triplette in tre partite casalinghe consecutive. Fossero elezioni, le proiezioni darebbero Haaland in una forbice di 66-67 gol a fine stagione. Nemmeno col Rosatellum lo fermi uno così: si prenderebbe anche i resti. Haaland non è proporzionale, è uninominale secco. E’ uno sbarramento vivente, alla norvegese.
Il deliquio dei commenti è fisiologico. Basta aprire uno qualunque dei vari Telegraph, Guardian, L’Equipe, La Süddeutsche Zeitung, la Faz. Per il Daily Mail è “unstoppable“, hanno finito la fantasia. Gary Neville alla BBC ha detto che è “semplicemente ingiocabile“, e dagli stessi schermi Peter Schmeichel – uno che di attaccanti davanti se ne è trovati – ha detto che Cristiano Ronaldo, Filippo Inzaghi, potevano sparire e, all’improvviso colpivano. Ma quando vedi Haaland, vedi che lui segna gol sia come Zlatan sia come Ronaldo, mette insieme tutti i tipi di bomber”. Un mostro, un Frankenstein.
Il Telegraph ne fa anche un fatto generazionale: è la prima superstar della Gen Z, almeno quando Ronaldo e Messi lo erano dei Millennial. Il fattore – ormai nemmeno più determinante – è che il miglior attaccante del mondo gioca nella squadra migliore del mondo, allenata dal migliore allenatore del mondo. Sono tutte definizioni che non tengono conto del Real Madrid passato (la Champions di qualche mese fa), presente (Ancelotti) e futuro (Mbappé), ma il contesto è quello. E Haaland è riuscito a svettare comunque. Ad imporsi prepotente. Ha tolto luce persino a Guardiola, il Re Sole del pallone moderno.
Barney Ronay sul Guardian ha scritto che con lui il City “hanno portato il suo gioco a un livello completamente nuovo”. Gioca “un calcio digitale contro avversari col modem. Da un lato una squadra di calcio mortale, comune, quotidiana, banale, dove le cose impigliano negli ingranaggi. Dall’altra, una miscela di pura immaginazione e di risorse illimitate”.
Uno così – valga come finale usa e getta di una favola in aggiornamento costante – non andrà al Mondiale. Il prossimo passo di Haaland sarà la convocazione universale: la Fifa troverà il modo di portarselo in Qatar. S’inventeranno la wild card per la Norvegia.