“La vera misura dell’attivismo sta in ciò a cui sei disposto a rinunciare. Gli inglesi si sono fatti rimettere in riga con un niente”
Ora gli inglesi si dicono “frustrati”. Li hanno minacciati di “ammonire” i capitani e loro, alcune tra le federazioni nazionali più antiche e importanti del mondo, hanno alzato le mani come se avessero una pistola puntata alla tempia. “No, per carità, il cartellino giallo no”. Una figuraccia con pochi pari nella storia del già devastato impegno morale del pallone, che il Guardian – con un editoriale di Jonathan Liew – rinfaccia all’Inghilterra, come siamo certi la stampa italiana avrebbe fatto con la Nazionale (certo, sì, come no… ce li ricordiamo i prodi azzurri agli Europei genuflessi a metà contro “i nazisti” di Chiellini).
Il Guardian ovviamente affonda. Scrive che “se ogni uomo ha un limite” ieri l’Inghilterra ha scoperto quello dei suo nazionali. Si sono arresi davanti alla minaccia di un’ammonizione non riuscendo a difendere peraltro un simbolo – la fascia arcobaleno – già così vuoto di senso di suo da rendere ancora più ridicola la faccenda.
“Addio bracciale OneLove. Non ti abbiamo mai conosciuto davvero. Di certo non sapevamo a cosa servivi. Diritti LGBTQ+, pensiamo. Forse anche un po’ di antirazzismo? Una qualche uguaglianza di genere, alcuni diritti dei disabili e forse anche un po’ di lavoratori migranti”. L’intenzione ufficiale era quella di “promuovere l’inclusione e inviare un messaggio contro la discriminazione di qualsiasi tipo”. “Una dichiarazione d’intenti di tale magnifica vaghezza – scrive Liew – che è impossibile immaginare un solo argomento convincente contro di essa. Non potevi avere niente da ridire contro il bracciale OneLove perché in realtà non esisteva. È stato essenzialmente progettato come un vaso vuoto, un pezzo di marchio senza peso, l’equivalente in tessuto dell’emoji della scrollata di spalle. Non era niente“.
Eppure ce l’hanno fatta. “Non appena è stata lanciata la minaccia di sanzioni sportive – no, per favore, non le sanzioni sportive! – l’Inghilterra e i suoi compagni d’armi internazionali si sono semplicemente allineati“.
“Un bracciale che era già una forma di resa veniva ora ripiegato in una resa ancora più ampia”. Davanti ad un’imposizione della Fifa che non è altro che “una nuda mossa di potere del Qatar dell’ultimo minuto, un’affermazione di controllo e proprietà, insubordinati che vengono rimessi in linea con un bastone insanguinato”.
Il Guardian fa il confronto con i giocatori dell’Iran zitti mentre suonava l’inno per protesta contro un regime che picchia e uccide chi protesta per le strade. E loro “lo fanno sapendo che le sanzioni sportive sono l’ultima delle loro preoccupazioni”. Perché “la vera misura dell’attivismo sta in ciò a cui sei disposto a rinunciare”.
“Muhammad Ali ha protestato contro la guerra del Vietnam anche se sapeva che sarebbe stato arrestato, privato dei suoi titoli mondiali, derubato dei suoi anni migliori. I giocatori iraniani hanno rischiato la disoccupazione, l’umiliazione, la reclusione, le minacce contro le loro famiglie da parte di un depravato regime autocratico. L’Inghilterra ha dimostrato di non essere disposta nemmeno a rischiare il cartellino giallo“.
“Ci sono due Mondiali in Qatar questo mese”, conclude Liew. Quello del divertimento posticcio imposto dalla Fifa e dal Qatar e quello del “frastuono così forte che non puoi più sentire le urla di coloro che hanno sofferto per far sì che ciò accadesse”. “L’Inghilterra ha deciso di voler giocare solo in uno dei due”.