Il New York Times è andato a vedersi la partita assieme ai migranti sfruttati, confinati a tifare in “un triste parcheggio recintato” in periferia
La cosa bella del marasma di polemiche sui diritti calpestati dei lavoratori migranti che hanno costruito le infrastrutture del Mondiale in Qatar è che non sono una montagna di polvere aspirata via. Se ne stanno lì, in bella vista, anche adesso che il Mondiale è cominciato. Basta distogliere un attimo lo sguardo dalle partite, come fa il New York Times con due pezzi. In uno dei due Tariq Panja racconta la piccola protesta di “oltre 200 lavoratori migranti assunti per lavorare alle bancarelle ufficiali durante la partita di apertura della Coppa del Mondo: dicono di essere stati lasciati senza cibo, acqua e servizi igienici per sette ore, al sole, mentre aspettavano di cominciare a lavorare. E in Qatar al sole fa caldino.
Li hanno lasciati “in piedi davanti allo stadio Al Bayt cercando disperatamente di contattare il datore di lavoro senza successo”. Li hanno convocati lì per le 10 del mattino, nove ore prima dell’inizio programmato della partita. Il gruppo, composto principalmente da uomini provenienti dall’India, ha affermato di aver firmato contratti per lavorare ai Mondiali che garantivano un pasto al giorno e poco meno di 1.000 dollari per 55 giorni. E’ toccata la stessa sorte a un gruppo di 20 donne filippine, assunte per vendere le sciarpe fuori allo stadio.
Intanto John Branch è andato a vedersi la partita inaugurale assieme agli ormai famigerati “lavoratori migranti” praticamente schiavizzati in questi ultimi anni. “Confinati a migliaia in un parcheggio recintato ad Asian Town, tra un centro commerciale e uno stadio di cricket”. Il repoter del Nyt lo definisce “uno spaccato di lavoratori migranti, per lo più uomini in una serata libera, affollati per vedere il Qatar aprire i Mondiali, tifando per un Paese che non sempre li riconosce. Hanno puntato le telecamere del telefono su un gigantesco schermo video per registrare la cerimonia di apertura, sapendo di aver avuto un ruolo nello spettacolo”.
Alcuni tifano per il Qatar, e dicono che ormai vivono lì, si sentono un po’ cittadini del Qatar. E d’altra parte il Nyt ricorda che “il Qatar è una terra di migranti, per lo più lavoratori poveri provenienti da luoghi lontani che hanno costruito un paese e un’economia per i ricchi. Ci sono circa 300.000 cittadini del Qatar in un paese di circa tre milioni, il che significa che da qualche parte quasi il 90% della popolazione proviene da qualche altra parte. La maggior parte dei migranti proviene dall’Asia meridionale (in particolare Nepal e India) e dall’Africa, e ci sono poche possibilità di cittadinanza per gli stranieri”.
“E’ anche significativo che fossero qui, lontani dal vero centro dell’azione, dai turisti e dai qatarioti, nascosti nell’ombra di un parcheggio”. Perché è così che vivono normalmente: “per lo più scaraventati nella periferia sabbiosa di Doha, in isole polverose divise in gran parte per razza e nazionalità. Centinaia di migliaia di loro vivono nelle tristi strade vicino a Asian Town, in enormi complessi residenziali chiamati cupamente Area Industriale”.