La Repubblica intervista Miriam Patrese istruttrice di ritmica: «Gli allenatori sanno che i giudici premiano la magrezza e allora si adeguano»

«In Italia si copia il modello russo della ginnastica, un regime del terrore. Si studiano i video per vincere»
La Repubblica intervista l’istruttrice di ginnastica ritmica Miriam Patrese. Dopo undici anni da agonista nella Ardor Padova, ora insegna a Roma ed è anche giudice di gara. Il tema è, naturalmente, lo scandalo della ginnastica con le denunce di abusi e violenze psicologiche da parte delle atlete. Dice di non essere affatto sorpresa da quanto sta emergendo.
«Purtroppo no, perché so quello che accade in tante palestre, ancora oggi. Anche ai miei tempi c’erano le pesate di gruppo. Accadeva alle ragazzine e alle meno piccole, sistematicamente. Serviva per ammonire, perché nessuno si potesse nascondere. Succedeva in tutte le realtà, dai livelli più bassi ai più alti».
La questione del peso è determinante perché i giudici di gara premiano la magrezza.
«Tutti sanno che i giudici tendono a premiare la magrezza. Se non sei filiforme e magrissima vieni frenata. Fai un esercizio da oro, ma arrivi quarta se non hai tutti i centimetri a posto, se non hai sembianze da bambina».
Gli allenatori lo sanno.
«Loro si chiedono se sia giusto investire su una ginnasta se sanno che in gara verrà penalizzata. E s’inizia con i commenti sull’aspetto fisico».
Perché siamo arrivati a questo?
«Il corpo insegnanti e allenatori di ritmica in Italia è composto per la maggior parte da donne non più giovani. E le giurie per lo più da giudici di vecchia scuola, formate sul famoso modello russo, una sorta di regime del terrore. In Italia l’abbiamo studiato molto bene. So che i video degli allenamenti delle russe vengono osservati attentamente, ci
sono delle vere e proprie sedute. Copiamo. E abbiamo imparato a vincere. Ma a quali costi?».
Qual è il confine tra disciplina e imposizione?
«La disciplina è necessaria, ma a un certo punto diventa imposizione e poi violenza. C’è differenza tra un allenatore autorevole e uno autoritario. I tempi sono cambiati, non posso più rapportarmi a un adolescente di oggi come vent’anni fa. Se rendi la vita di una ragazza impossibile, è giusto che si ribelli. Bisogna cambiare registro, nel mio
piccolo provo a farlo».
Un’altra ginnastica ritmica è dunque possibile?
«Sì, se diventa più inclusiva. Vorrei che anche le eccezioni venissero accettate. Se un calciatore è troppo basso, non viene escluso, troverà il suo posto in campo, il suo ruolo. Deve cambiare il codice di punteggio e cambierà la mentalità. In Italia è ormai un sistema, non basta parlare di mele marce, come fanno Coni e Federginnastica. Bisogna allargare la base, rendere la ginnastica aperta a tutti, che sia un luogo bello in cui stare».