Tra strane allusioni e dichiarazioni vaghe, il numero uno del calcio italiano non risponde sul falso in bilancio e il crollo di Agnelli

Il testo non trasmette il messaggio. I toni, la sorpresa, il lampo di istintiva indignazione che coglie Gabriele Gravina quando gli chiedono se le vittorie della Juventus in questi anni non possano considerarsi “irregolari”. Ma la voce del Presidente della Figc, quella sì. Gravina alza un immediato argine alle illazioni: “E’ vox vostra, dei giornalisti, non vox populi”. Perchè a lui “non piace l’idea di sanzionare alcune realtà, nel caso specifico la Juventus, prima che ci sia un processo. Ci sono delle indagini, ci sono delle acquisizioni di atti, la nostra procura è allertata, ma non conosciamo l’esito e lasciamo andare avanti la magistratura ordinaria”.
Il sottotesto (sotto, ma mica tanto) è piuttosto un altro:
“Se vogliamo andare sul linciaggio di piazza non è un problema, ma stiamo calmi perché temo che quel tema possa riguardare anche altri soggetti”.
Con la sintassi sempre attenta, composta, di Gravina, suona quasi come un avvertimento. Ai soliti ignoti del messaggio trasversale, quelli con le orecchie per intendere. Chi sono gli “altri soggetti”? A quali altre società in particolare Gravina si riferisce? Il “linciaggio”, peraltro, sarebbe il disvelamento giornalistico di un’inchiesta che è su tutti i giornali del mondo.
Rincorso da queste domande, il Presidente della Federcalcio è stato costretto – dopo – a cercare di mettere una toppa: “Non era è riferito all’indagine in corso sulla Juventus, ma ad una reazione esasperata che in Italia, in generale, rende colpevole chi ancora non è stato condannato”. Il garantismo è una missione, per Gravina.
Infatti sa perfettamente che il ricorso alle plusvalenze fittizie sostiene il sistema dei bilanci del calcio italiano da anni, non solo quello della Juventus. E a domanda diretta risponde ancora una volta che no, “non mi preoccupano le plusvalenze. A me preoccupano i 4 miliardi e 700 milioni di indebitamento di sistema”. Le plusvalenze vanno disinnescate, scagionate.
E’ un mantra che va avanti da quando l’inchiesta Prisma è finita su tutti i giornali. Gravina ha sempre difeso d’ufficio la condotta della Juventus come di qualunque altra società sfiorata dal sospetto, per il semplice motivo – tecnico – che “è complicato stabilire su base oggettiva il valore di una transazione di calciomercato”. Concetto ribadito dalla giustizia sportiva in un paio di gradi di giudizio. Ma anche un trucco semantico perfetto per bonificare il passato e andare avanti senza bruciare troppi pozzi.
C’è un ovvio nesso causale tra il ricorso ai presunti artifici contabili dei club italiani e quel mare di debiti che Gravina dice di temere. Per cui il Presidente Federale non può che tirarsi fuori dall’impaccio con una dichiarazione di standby: “Aspettiamo cosa emerge dal processo e poi facciamo una riflessione sul sistema, ma ora non colpevolizziamo e sanzioniamo i soggetti prima delle indagini”.
Le “riflessioni” – specie quelle che si “impongono” da sole – sono un must della grammatica politica italiana, di cui Gravina è un esponente di razza. Un altro è la suscettibilità di parte, quando l’attacco arriva dall’esterno. Così Gravina ha risposto, piccatissimo, alla richiesta di immediate sanzioni sportive contro la Juve fatta ufficialmente dalla Liga di Tebas: “Alcuni attacchi gratuiti da parte di chi dovrebbe guardare in casa sua sono fuori luogo”. L’Italia è il (non) luogo a procedere.