L’associazione arbitri prova a difendersi dopo l’arresto per droga del procuratore capo: «non abbiamo poteri istruttori per gli associati»
Ha creato un prevedibile terremoto l’arresto di Rosario D’Onofrio procuratore capo dell’associazione italiana arbitri (Aia). In serata è arrivata una dichiarazione dell’Aia:
«Un vero e proprio tradimento che ha creato un serio danno d’immagine a tutta l’Aia che, è bene ricordarlo, non ha a disposizione poteri istruttori per esercitare un’opera di verifica e controllo di quanto dichiarato dagli associati».
Il Fatto quotidiano scrive che:
Oggi, 12 di novembre, in Comitato nazionale, il presidente dell’Aia, Alfredo Trentalange, ha annunciato le dimissioni del procuratore capo, presentate nelle ore immediatamente successive all’operazione, senza entrare nel merito delle motivazioni. D’Onofrio era diventato responsabile dell’ufficio che indaga su eventuali irregolarità degli arbitri durante la presidenza di Marcello Nicchi. L’Aia, si sottolinea in ambienti arbitrali, è parte lesa nella vicenda.
L’ex ufficiale dell’esercito, Rosario D’Onofrio, che secondo gli inquirenti durante il lockdown indossava la mimetica militare per potersi muovere liberamente e organizzare un traffico di stupefacenti, è il procuratore capo dell’Associazione italiana arbitri (Aia). D’Onofrio è solo una delle 42 persone – italiane, spagnole e albanesi – a carico delle quali la Guardia di Finanza di Milano ha eseguito misure cautelari nell’ambito di un’inchiesta della Dda milanese per traffico internazionale di droga.
Secondo le indagini, dal 2019 al 2021 sono state introdotte in Lombardia oltre sei tonnellate di marijuana e hashish trasportate e nascoste tra i bancali di frutta o verdura e addirittura in un carro funebre. Durante l’operazione è stata sequestrata quasi mezza tonnellata di droga, oltre a mille ricariche per sigarette elettroniche a base di cannabinoidi.