Per timore di Kvara, Klopp ha tenuto a freno uno dei terzini più offensivi d’Europa. Fotografa la considerazione di cui gode il Napoli

Misurare la calma
Il Napoli è uscito da Anfield Road con una sconfitta non solo indolore, ma anche un po’ fasulla. Perché, come ha detto Spalletti nelle interviste del postpartita, il risultato sfavorevole è maturato solo nel momento in cui la sua squadra si è rilassata, cioè si è seduta su una situazione di punteggio comoda. E perché i due gol segnati dal Liverpool, entrambi su calcio d’angolo, sono stati le uniche due occasioni davvero pericolose concesse dagli azzurri alla squadra vice-campione d’Europa. Sono i numeri a dirlo: prima del minuto 85′, il Liverpool ha tirato solo per 2 volte verso la porta di Meret. Una con Thiago Alcántara nel primo tempo e con Salah all’80esimo.
Non che dall’altra parte del campo ci sia stato questo diluvio di big chance: il Napoli ha chiuso la gara con 10 tiri complessivi, di cui solo 2 finiti nello specchio difeso da Alisson. Ma il punto è proprio questo: la squadra di Spalletti doveva contenere e ha contenuto il Liverpool senza affannarsi e senza andare in affanno. Agli azzurri è bastato semplicemente essere sé stessi, con un po’ di accorgimenti tattici di cui parleremo tra poco, per limitare i Reds. Per stare bene in campo senza sprecare troppe energie e concludere un girone di Champions eccezionale con un primo posto meritato quanto netto.
La calma non si può misurare, ma i dati che abbiamo già snocciolato sono inconfutabili, incontrovertibili. E dicono che il Napoli 2022/23 è una squadra perfettamente in grado di imporre il proprio contesto e il proprio volere ad Anfield Road. Certo, su questa sensazione di controllo assoluto pesano anche le scelte di Klopp e il momento del Liverpool, e ne parleremo. Ma quel che resta, nei numeri e nella testa, è che il Napoli doveva compiere una missione e ce l’ha fatta senza particolari problemi. E questo segna una differenza enorme rispetto al passato.
Il Napoli che fa cambiare il Liverpool
La sensazione di forza e di calma trasmessa dal Napoli non è l’unica differenza rispetto al passato. L’abbiamo già anticipato, che il Liverpool ha approcciato questa partita con una formazione e un atteggiamento non convintissimo, per usare un eufemismo. Ma il punto è che Klopp, per fermare il Napoli, ha rimodellato una parte fondamentale, si può dire storica, della sua squadra: la posizione e la propensione offensiva di Trent Alexander-Arnold. Per i pochi che non lo conoscessero bene, spieghiamo la situazione: Alexander-Arnold è un laterale basso che però agisce sempre come un regista laterale, come un rifinitore. In questo senso, basti pensare che ha messo insieme 45 assist decisivi nelle ultime quattro stagioni di Premier League, con una quota media di passaggi chiave sempre superiore ai 2 per partita.
In alto, le posizioni media del Liverpool; sopra, tutti i palloni giocati da Alexander-Arnold, con direzione d’attacco da sinistra a destra
Come si percepisce chiaramente dai due campetti che vediamo sopra, quello delle posizioni medie e da quello relativo ai tocchi di palla di Alexander-Arnold, una delle armi offensive più efficaci del Liverpool è stata convertita in qualcosa di diverso. In un terzino accorto, che non ha quasi mai sconfinato sul fondo e che ha solo accompagnato, ma mai sostenuto davvero, l’azione dei Reds. I dati, in questo senso, non mentono: a fine gara, Alexander-Arnold ha servito soltanto un cross. Dalla trequarti, per altro.
Klopp ha fatto questa scelta conservativa dal lato di Kvaratskhelia. Non è un reato, ma non è stato un caso. Anzi, è stata un’idea quasi vincente: tenere Alexander-Arnold più basso ha infatti limitato un po’ l’esterno del Napoli, Ma solo fino a un certo punto, visto che il georgiano ha chiuso comunque la partita con 5 tiri tentati e 3 dribbling riusciti. Entrambi questi dati rappresentano dei record assoluti per la gara di ieri sera.
Ovviamente non si tratta di un trofeo o di una medaglia, il Napoli ha perso e quindi Klopp ha avuto ragione. Oltre al risultato, però, resta anche che il Liverpool ha cambiato atteggiamento per rispetto – qualcuno potrebbe usare anche il termine paura – di Kvara e della catena sinistra del Napoli. I Reds si sono autolimitati, cioè hanno sacrificato uno dei giocatori più creativi della loro rosa, per contenere un elemento e un meccanismo della squadra di Spalletti. Mentre il tecnico toscano, al netto delle scelte di turn over – parleremo anche di quelle, tra poco – non ha modificato più di tanto formazione, spaziature e atteggiamento tattico del suo Napoli. L’ha solo un po’ tarato su una partita di controllo. Sulla partita che serviva.
Rinforzare il Napoli
Questa riscrittura parziale del software tattico del Napoli si è manifestata fin dalle formazioni iniziali: Spalletti ha inserito Ostigard al posto di Juan Jesus, Olivera al posto di Mário Rui, Ndombélé al posto di Zielinski e Politano al posto di Lozano. Se escludiamo l’ultimo avvicendamento, che rispetta un’alternanza costante, sono tutte sostituzioni che hanno messo chili e centimetri nel motore del Napoli. È evidente, quindi, che Spalletti abbia deciso di rinforzare un po’ la sua squadra. A costo di perdere anche della qualità tecnica in fase di costruzione.
La distribuzione degli attacchi del Napoli: tre azioni su quattro della squadra di Spalletti, e anche di più, sono nate sulle corsie laterali.
Come si vede chiaramente in questo campetto statistico, per il Napoli è venuta fuori una gara giocata soprattutto sulle fasce, laddove il pressing del Liverpool faceva più fatica a essere portato da molti uomini. Il dato dei 92 palloni giocati da Olivera, primato assoluto tra tutti i giocatori in campo, è un’ulteriore certificazione di questa tendenza.
Il nuovo centrocampo a tre con Ndombélé e Anguissa ai fianchi di Lobotka ha funzionato in maniera soddisfacente: lo slovacco, come al solito, ha gestito bene l’uscita dal basso, con e senza palla, e ha anche dettato i tempi del pressing, guidando la squadra ad aggredire il campo o a stare raccolta dietro in base alle necessità. I suoi due scudieri hanno retto bene in fase passiva, anche perché in alcuni segmenti di gara Anguissa ha mostrato di nuovo una condizione fisica di buon livello e quindi è riuscito a ritrovare e a far valere la sua fisicità, la sua intelligenza; in fase di costruzione, invece, si sono divisi i compiti: Anguissa è rimasto tendenzialmente più basso, ad affiancare Lobotka, mentre Ndombélé è andato spesso a fare da guastatore offensivo.
In questa manovra di attacco posizionale, il Napoli si schiera in pratica con il 4-2-3-1, con Anguissa e Lobotka davanti alla difesa e Ndombélé sulla linea dei trequartisti
Il Napoli si è potuto permettere questa fluidità e questa normalità, nel suo approccio, perché è una squadra molto cresciuta e molto più consapevole rispetto alle stagioni precedenti. Ma anche perché le fasi di grande intensità del Liverpool sono state sporadiche e non così difficili da contenere. Klopp, come detto, ha tenuto basso Alexander-Arnold e poi ha pure schierato Firmino e non Darwin Núñez, Tsimikas e non Robertson (anche se lo scozzese non era al meglio), abbassando sensibilmente la forza offensiva e la tendenza della squadra a verticalizzare il gioco.
Insomma, il Napoli non si è fatto travolgere anche perché non ha affrontato nessuna valanga rossa. Anche Klopp, da grande tecnico qual è, ha annusato che la partita sarebbe andata in un certo modo e ha preferito non osare troppo. D’altronde viene da due sconfitte abbastanza gravi in Premier, contro le piccole Nottingham e Leeds, e nel prossimo weekend affronterà il Tottenham. In una condizione del genere, contro un Napoli così in forma e con il risultato già compromesso prima del calcio d’inizio, spingere sull’acceleratore sarebbe stato inutile. Per non dire dannoso.
Mathias Olivera
Abbiamo già accennato a Mathias Olivera, in particolare abbiamo detto dei suoi 92 palloni giocati. E del fatto che sia stato scelto al posto di Mário Rui per dare fisicità al Napoli in una zona di campo difensivamente delicata, perché occupata da Salah. Ecco, quest’ultimo punto va approfondito partendo da un dato: quello dei 7 contrasti tentati e vinti dal terzino uruguagio. È la quota più alta registrata ad Anfield, e basta andare un po’ oltre la cifra bruta per rendersi conto del contributo dell’ex Getafe. E dell’atteggiamento proattivo e ambizioso tenuto dal Napoli in fase difensiva:
In alto, tutti i palloni giocati da Mathias Olivera; sopra, invece, la mappa dei suoi contrasti. In entrambi i capetti, il Napoli attacca da destra verso sinistra, quindi è evidente che il terzino uruguaiano abbia toccato la sfera molte volte in zona offensiva e centrale, come ormai è sua abitudine, e che spesso sia venuto a prendere alto, in avanti, il suo avversario sulla corsia.
Difesa e pressing alti, capacità di muoversi in fascia come di venire dentro al campo, dialogo continuo con Kvaratskhelia e i centrocampisti. Questa è stata la partita eccellente di Olivera, terzino di qualità oscurato – sembra assurdo, ma è così – dalla narrazione sulla grande stagione di Mário Rui, uomo-assist e laterale basso di possesso e simbolo del Napoli. Non che tutte queste cose sul portoghese non siano vere, sta effettivamente giocando benissimo. Anche Olivera, però, si è preso la scena e l’ha dimostrato nel modo migliore possibile anche ad Anfield Road. In difesa, e l’abbiamo detto, e come accompagnatore perfetto di Kvicha Kvaratskhelia.
Lo stesso discorso si può fare anche per Leo Ostigard, implacabile nei duelli aerei – ne ha vinti 6 su altrettanti tentati, record assoluto in campo – e anche preciso e ambizioso in fase di costruzione: il norvegese ha accumulato 75 passaggi e ben 12 tentativi di lancio a media-lunga gittata, con una percentuale di precisione dell’81.3%. Quella relativa all’accuratezza non è una quota altissima, ma il fatto che il difensore centrale del Napoli pensi e agisca in questo modo, assecondando un’idea di calcio diretta e verticale, racconta un’altra differenza rispetto al passato. L’ennesima.
Conferme
Abbiamo parlato di Olivera e di Ostigard in maniera più approfondita perché si tratta di due giocatori che non appartengono al tronco dei titolari fissi del Napoli – quelli che Spalletti ama definire titolari del primo tempo. E quindi il loro inserimento sposta qualcosa nel gioco degli azzurri, significa qualcosa.
Questo non vuol dire che i calciatori con un minutaggio più alto non abbiano mostrato, anche a Liverpool, di essere all’altezza della situazione. Osimhen, per esempio, ha duellato per tutta la partita con Van Dijk, anche se praticamente non è stato mai azionato dai suoi compagni nel modo che preferisce; di Kvara abbiamo detto, ma va segnalata anche la tendenza ormai consolidata di Matteo Politano che riceve il pallone larghissimo e cerca il lancio di prima in verticale, a scavalcare la difesa e il centrocampo avversario. Buone conferme sono arrivate anche da Kim Min-jae, solido anche contro Salah e Firmino, dal solito Lobotka e da Di Lorenzo. Sono loro i veri calciatori insostituibili per la squadra di Spalletti.
Merita un discorso più approfondito Meret, indicato da molti come primo responsabile dei due gol subiti dal Napoli. Il pensiero di chi scrive è che il portiere azzurro sia stato bravo in occasione del tiro di Thiago Alcántara nel primo tempo. E addirittura bravissimo su Salah lanciato a rete ma in fuorigioco, sempre nel primo tempo. Per quanto riguarda i due gol, c’è da sottolineare – come ha fatto Francesco Esposito in questo pezzo – che i due colpi di testa decisivi sono arrivati da distanza ravvicinata. Per non dire minima. Difficile pensare a colpe decisive o anche solo significative di un portiere, in due situazioni del genere.
Conclusioni
Liverpool-Napoli non ha aggiunto molto al discorso puramente tattico sulla squadra di Spalletti. La grande notizia arrivata da Anfield, però, è proprio questa: il Napoli è rimasto sé stesso e così ha portato a casa un risultato utile. Non il migliore possibile, ma quello che serviva per mantenere il primo posto. E ha fatto tutto questo senza soffrire mai o praticamente mai, contenendo un avversario di qualità – anche se non tirato a lucido – con una perfetta gestione dei ritmi bassi. E dei momenti.
L’anima e l’identità che Spalletti ha dato alla sua squadra sono fortissime, e ormai permettono ai giocatori di affrontare qualsiasi avversario, e quindi qualsiasi tipo di partita, senza timori reverenziali. Con la consapevolezza dei propri pregi, tanti, e dei propri difetti. Che sono sempre meno e sempre meno impattanti, visto che giocare con questa personalità è il modo migliore, più giusto, per accumulare esperienza. Per progredire, per crescere.
L’ultima prova che resta al Napoli è la sfida con una big continentale che sia al massimo della forma – il Manchester City? il Real Madrid? il Bayern? il PSG? – e che quindi possa mettere sotto stress le certezze tecniche, tattiche, fisiche ed emotive costruite fin qui. Al netto di cataclismi al Bernabéu e a Torino, stasera, si comincerà a parlare di questo tipo di partite solo ai quarti di finale. Nel mentre, Mondiali a parte, il Napoli dovrà semplicemente continuare a fare ciò che sta facendo, ciò che ha fatto pure ad Anfield: giocare con personalità mentre esplora le enormi possibilità/potenzialità del suo organico. Da qui passano le ambizioni di una squadra che, come ha detto ieri il suo allenatore, «ha dimostrato di essere forte per davvero». A volte, sembra incredibile, sono le sconfitte a dirlo, molto più che le vittorie.