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Morgan: «Il suicidio di mio padre mi ha fatto diventare un filosofo. Mi chiedevo: perché?»

A La Verità: «Se chi ti segna e ti precede implode attraverso un atto come il suicidio, tutto il sistema entra in discussione».

Morgan: «Il suicidio di mio padre mi ha fatto diventare un filosofo. Mi chiedevo: perché?»
Db Milano 18/04/2019 - photocall trasmissione Tv 'The Voice' / foto Daniele Buffa/Image nella foto: Morgan

Su La Verità un’intervista a Marco Castoldi, in arte Morgan. Parla del rapporto con suo padre, morto suicida.

«Aveva difficoltà economiche che non voleva rivelare alla famiglia per non ammettere che non ce l’aveva fatta. Era pieno di debiti e non ha più retto questa maschera. Che però, con me, aveva già tolto. Io suonavo nei piano bar per guadagnarmi qualche lira e così gli davo del denaro che fingeva di aver guadagnato lui. Avevamo questa complicità segreta. Finché una notte mi ha infilato un centomila in un tubo dei negativi delle foto: “Ti restituisco quello che posso. Così non potrai dire che non ti ho reso quello che mi hai dato”. Il giorno dopo si è tolto la vita».

Morgan all’epoca aveva 15 anni. Cosa fa un ragazzo di quell’età quando il padre si ammazza?

«Diventa un filosofo, perché nella sua testa cresce la domanda che si fanno i filosofi: perché, che senso ha tutto? I filosofi domandano, i teologi ascoltano. La mia filosofia, le mie domande, nascono nello scontro con il padre, che è l’istituzione, la regola, la giustizia, la patria. Se chi ti segna e ti precede implode attraverso un atto come il suicidio, tutto il sistema entra in discussione».

E quindi?

«Ho iniziato a coltivare la conoscenza insieme al bisogno di mantenere la famiglia. Ho fatto di necessità virtù, ho cercato di guadagnarmi il pane con il mio talento. Già a sei anni avevo iniziato ad abbozzare delle canzoni, quasi prima di imparare a scrivere. Al liceo andavo nei locali e tornavo al mattino per andare a dormire sul banco. Poi ho cominciato a coinvolgere i miei amici e a costruire le band, gli mettevo in mano gli strumenti: tu suoni la chitarra, tu la batteria… siamo una band. Al liceo mi hanno bocciato, ma ho venduto per strada i primi finti album, cassette amatoriali. Una è finita in mano a un produttore e a 16 anni ho avuto il primo contratto con una major discografica».

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