È proprio della grande squadra scegliere quando e cosa perdere, e il Napoli ieri lo ha fatto. Anche se nel finale qualcosa è andato storto
Il Napoli ha perso a Liverpool e meritatamente. Rispettiamo il corretto verdetto del campo.
Merito infatti hanno i Reds che in più degli Azzurri hanno messo a segno due gol regolari – qui un breve inciso su quale ricaduta sul morale di entrambe le squadre si sarebbe manifestata se non fosse esistito il Var in una partita del genere.
In rispettoso dissenso con i pagellisti napolisti, non credo esista sconfitta al mondo che possa mostrarsi a mo’ di medaglia sul petto: si perde e basta, bene ribadirlo prima che qualcuno si ringalluzzisca e chiami le orripilanti uscite a teste alte. In un contesto più largo, tuttavia, è proprio della grande squadra scegliere quando e cosa perdere – è una capacità richiesta a chi vuole arrivare lontano l’avere una strategia che includa le sconfitte necessarie per aiutare a dosare consequenzialmente le proprie risorse.
Il Napoli, all’Anfield, questa forza strategica l’ha posta in essere. Subire gol nei primi 5 o 10 minuti avrebbe significato spalancare le porte al sacco totale e, fortunatamente, Spalletti l’ha chiarito addirittura in sala stampa, da consumato attore del calcio, respingendo le striscianti parole di Klopp. Il Liverpool, da par suo, non aveva in animo di giocare all’arma bianca – questa intelligenza è tra i motivi per cui sono finalisti di Champions – ma ha testato a fondo il Napoli, sin da subito, per capire quale fossero le sue intenzioni e quali le proprie effettive opportunità di fare il colpo grosso. La novità assoluta, nonché inedita negli ultimi decenni, è che il Napoli ha accettato la sfida e mostrato all’avversario i denti per lasciare intendere di poter fare all-in, in caso fosse stato necessario. La novità ancora maggiore è che la squadra di Klopp l’ha capito immediatamente ed è stata al gioco, facendo rientrare per la prima volta l’undici di Spalletti tra le squadre che sanno partecipare a questo lessico di deterrenza, proprio delle grandi squadre. Da sottolineare, a tal proposito, la parata di Meret sul tiro di Salah: il macigno psicologico che un intervento del genere provoca su di un attaccante è notevole, fuorigioco o meno che sia.
Poi qualcosa è andato storto, inutile negarlo – se si prendono due gol in tredici minuti, di cui uno al minuto novantotto, qualcosa ha girato inevitabilmente male e ascoltare le sirene del successo comunque può essere un esercizio pericoloso, di quelli che Spalletti ha correttamente classificato tra quanto genera inutile e dannosa pressione al Napoli mascherandosi da lode convinta. Non hanno funzionato a dovere le sostituzioni, almeno in termini di forza nervosa fresca, sebbene la squadra abbia intelligentemente mollato nella coda estrema della gara, annullando qualunque impatto sulla classifica.
L’equilibrio rimane il metodo che aiuta a progredire. La squadra partenopea esce da questo stancante calcolo delle vittorie consecutive e lo fa nel momento più opportuno e indolore possibile. Certamente sia allenatore che spogliatoio sanno bene che pareggio, sconfitta di uno e di due goal sono risultati tutti diversi tra loro e ciascuno racconta una storia diversa. Altrettanto certamente tutti sanno che ciò che resta è la prossima avversaria che il Napoli incontrerà, pescata dalla seconda fascia.
L’importante è saper perdere quando fa meno male. Sapendo che, per chi vuole vincere, non esiste sconfitta completamente indolore.