A Sette: «Non mi è mai bastato saper cucinare, volevo farlo al massimo. E per questo devi impegnarti duramente. Non ci sono mezze misure, mai una distrazione».

Sette, settimanale culturale del Corriere della Sera, intervista lo chef Antonino Cannavacciuolo. A novembre ha vinto la terza stella Michelin per il suo ristorante Villa Crespi, in Piemonte.
«Diciamo che è stato davvero l’anno in cui ho avuto la conferma che i 25 anni spesi a fare questo mestiere hanno un senso».
Cannavacciuolo parla di suo padre, dice di essere cresciuto senza di lui. Era un cuoco.
«Sa, io ho vissuto senza mio padre. Dico sul serio. Lui aveva la scuola al mattino. E poi il lavoro al ristorante, parliamo di lavori davvero difficili e usuranti. Lavori per i quali non si riesce a fare una vita normale. Ecco perché lui non voleva assolutamente che io facessi il cuoco. Sognava che avessi un’esistenza diversa. E invece io sentivo che quella era la mia strada. La mia passione vera. Quando glielo spiegai, parlandogli col cuore aperto, mi disse solo: se vuoi fare questo lavoro fallo, ma devi essere sicuro che sei spinto da una passione vera. Altrimenti soffrirai tanto».
Ma la passione di Cannavacciuolo era troppo forte.
«Non mi sono mai fermato nemmeno un attimo, da allora. È stato un lungo, lunghissimo percorso, nel quale però non ho mai smesso di costruire e di mettermi alla prova. Perché la verità è che questo non è un lavoro ma è la mia vita. Anzi, non so più dove comincia l’uno e dove finisce l’altra. E poi devo ammettere che in questi anni mi sento profondamente maturato».
Parla di Masterchef.
«Molti pensavano che Masterchef mi avrebbe danneggiato. Il luogo comune era: ah, adesso si è messo a fare televisione. Smetterà di lavorare. Smetterà di stare in cucina… E invece io non ho mai abbandonato il mio lavoro. E vuole sapere anche un’altra cosa? Masterchef mi ha dato tantissimo. Anche gli stessi ospiti. Sono proprio fatto in un modo per cui cerco di prendere sempre il massimo da quello che avviene nella mia vita. E nulla mi passa accanto per caso».
Si aspettava la terza stella? Cannavacciuolo risponde:
«Niente arriva per caso. Sia chiaro. Io lavoro duramente da anni per questo obiettivo. E con questo obiettivo. Il mio primo ristorante tristellato è stato Don Alfonso ed era il 1996. E da allora ne ho girati davvero tanti. Certo non per divertirmi, ma per imparare. Per conoscere. Per progredire. Perché non mi bastava saper cucinare. Io volevo farlo al massimo della capacità. E per riuscire in qualcosa del genere devi impegnarti duramente. Non ci sono mezze misure, scuse o scorciatoie. Mai una distrazione. Mai, direi, una vacanza in senso stretto. Anche quando vado fuori per divertimento so che poi mi porto sempre dietro il mio lavoro. E poi, questo lo dico soprattutto ai più giovani, secondo me la differenza la fa il cercare sempre di migliorare e migliorarsi».
Un sogno nel cassetto, magari non legato al suo lavoro?
«Ah no, io nasco cuoco e morirò cuoco. Non vedo nulla se non il mio lavoro. Tanto che a volte mi dico che sono fissato. Che vivo tutto questo quasi come una malattia… Non conosco davvero distrazioni».