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Davide Ancelotti: «La mia fame viene dal sospetto di essere considerato un figlio di»

Ad As: «Mio padre ha una profonda umiltà. È sempre stato considerato un brav’uomo, ma ha inventato il 4-3-2-1. Ha molta conoscenza del calcio».

Davide Ancelotti: «La mia fame viene dal sospetto di essere considerato un figlio di»

Davide Ancelotti si lascia andare in una lunga intervista ad As dove tocca diversi temi, tra questi, anche il rapporto con il padre Carlo. Queste le parole di Davide Ancelotti:

«Ricordo già il primo anno da allenatore di mio padre alla Reggiana. Avevo sei anni. Sono andato con lui alla Città dello Sport, che in realtà era solo un campo e degli spogliatoi. Mi è sempre piaciuto andare a vedere gli allenamenti con lui. Poi ho dei ricordi al Parma. C’erano grandi calciatori: Buffon, Crespo, Thuram, Cannavaro… E diciamo che era un periodo in cui, per età o perché i giocatori non erano delle star come adesso, spesso andavamo a casa a cena».

Davide Ancelotti racconta che si è formato sempre al fianco del padre:

«Lavorare con mio padre genera molte aspettative, e questo mi dà molta motivazione. Non posso dire di avere la stessa fame di chi viene dal basso, perché ho la fortuna di venire da una famiglia in cui non mi è mancato nulla. Potrebbero dire: ‘questo sta bene, non ha fame’. Ebbene, la fame di trionfo la ritrovo in altre cose, nella necessità di dover dimostrare, nel soddisfare le aspettative, nei sospetti generati dall’essere figlio dell’allenatore. Tutto questo per me diventa motivazione».

Nell’intervista c’è spazio anche per analizzare il rapporto padre-figlio in campo:

«Mio padre è una persona dal carattere calmo, molto capace di controllare le proprie emozioni. Questo lo rende un grande leader per la sua squadra. Non si arrabbia mai ed è capace di dare responsabilità agli altri, il che non è facile anche se ascolta tutti e decide sempre per sé. Non vuole uno staff tecnico di persone che dicono solo di sì. C’è una sfida costante tra lui e me, e questo mi piace. A volte litighiamo, ma penso che sia un bene. Lui, come padre, non ha mai alzato la voce con me. Non ricordo mai che mi abbia rimproverato. Abbiamo un carattere simile, cerchiamo di evitare i conflitti, siamo molto calmi. La tensione che si genera è solo quella che nasce da un dibattito calcistico che poi si conclude con la decisione che prende lui, perché la responsabilità è sua».

Parla del suo rapporto con i giocatori

«Cerco sempre di essere me stesso con i giocatori. Mi considero una persona abbastanza chiusa, calma, che non vuole apparire di nessun tipo… Non è facile. Io, per esempio, non vado mai nello spogliatoio dei giocatori tutti i giorni. Non mi piace. È un luogo in cui i giocatori parlano. Mio padre viene a volte. Ma lo evito perché non voglio essere visto come quello che passa ad ascoltare».

Ancelotti racconta la sua idea di calcio

«Credo che il calcio non smetta mai di evolversi. Mio padre mi ha insegnato che questo è uno sport per calciatori, e se vuoi essere un buon allenatore devi adattarti a quello che hai. Hai il dovere di costruire un gioco che faccia rendere al meglio i tuoi giocatori.  Mio padre ha una profonda umiltà, ma ha inventato il 4-3-2-1. Non è solo un allenatore, è una persona che ha contribuito molto a questo sport a livello tattico. È sempre stato considerato un brav’uomo. È una delle sue qualità, ma ha molta conoscenza del calcio, ha la capacità di giocare in tanti modi con le sue squadre, e questa è una grande virtù».

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