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«Gli arbitri attirano tanto odio non perché hanno torto, ma perché fanno bene il proprio lavoro»

La Faz intervista il filosofo tedesco Arnd Pollman. Gli arbitri, per lui, svolgono una funzione esemplare nella società: garantiscono il rispetto delle regole 

«Gli arbitri attirano tanto odio non perché hanno torto, ma perché fanno bene il proprio lavoro»
Db Bologna 30/01/2021 - campionato di calcio serie A / Bologna-Milan / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: arbitri guardalinee

Come mai gli arbitri sono spesso i più odiati protagonisti del calcio? La Faz lo ha chiesto al filosofo Arnd Pollman, dell’Università Alice Salomon di Berlino. Secondo lui i direttori di gara non sono tanto criticati perché hanno torto ma proprio per il motivo contrario: perché fanno bene il loro lavoro. Pollman ha dedicato al tema un saggio dal titolo: “L’arbitro come mediatore di valori e oggetto di odio”.

In esso, Pollman scrive che a caratterizzare il ruolo dell’arbitro è innanzitutto che, come il Leviatano di Thomas Hobbes, il direttore di gara si pone in campo come un assoluto autocrate e non deve rendere conto ad alcuna autorità superiore.

“I giocatori devono sottomettersi a lui incondizionatamente, ma volontariamente se la palla deve rotolare”.

Non solo.

“In secondo luogo, l’arbitro è caratterizzato da una forma di infallibilità che anche il Papa può solo sognare. Perché nel calcio, come in tanti altri sport, l’arbitro ha il potere, che non sembra provenire da questo mondo, di adattare ciò che è a ciò che dovrebbe essere. Quella che fischia non è solo una legge che va osservata, ma ha carattere di fatto che va assolutamente riconosciuto”.

Pollman dichiara:

«Se decide che una palla ha oltrepassato la linea di porta, allora in un certo senso è andata così, non importa quanto contestabile possa essere la decisione agli occhi degli altri».

L’arbitro, poi, deve essere imparziale, condizione ovviamente difficile da soddisfare, perché significa mettere da parte le proprie preferenze e i propri interessi, cosa che le persone comuni non riescono quasi mai a fare. Per Pollmann il risentimento contro gli arbitri viene in gran parte da questo fronte.

La Faz spiega:

“l’imparzialità in quanto tale attira il sospetto: chi non è con noi deve essere contro di noi”.

Pollmann crede che il fatto che gli arbitri commettano errori non sia un deplorevole deficit che dovrebbe essere accettato, ma una parte essenziale di un gioco che trae il suo fascino dalla sua imprevedibilità.

«La cosa divertente del calcio è che c’è una persona che decide da sola e questo può dare una nuova direzione al gioco. Un vero appassionato di calcio vuole che la sua squadra vinca e, a volte, questo include la speranza che l’arbitro annulli il gol di un avversario o un fallo di un giocatore della propria squadra».

Ciò che rende divertente il calcio, anzi lo sport agonistico in generale, è che c’è sempre una porzione di imprevedibilità. Se il gioco fosse regolamentato in modo così rigoroso da rendere prevedibile il suo esito, perderebbe il suo fascino, poiché nessun perdente sarebbe in grado di battere i grandi favoriti. In questo senso Pollmann cita il grande filosofo Sepp Herberger :

«’La gente va allo stadio perché non sa come andrà a finire’ e questo significa anche che gli arbitri prendono decisioni sbagliate, proprio come passaggi sbagliati o rigori sbagliati per centimetri».

La lezione dello sport è che, come nella vita, non sai come andrà a finire, c’è sempre qualcosa che può andare storto, nonostante i tuoi sforzi. Ecco perché Pollmann descrive il calcio come un

«campo di allenamento dove possiamo imparare giocosamente ad affrontare i casi imponderabili della vita».

Allo stesso tempo, Pollmann ritiene che gli arbitri – e lo sport – esercitano una funzione esemplare per la società: grazie agli arbitri si impara che, nonostante tutte le differenze e gli interessi contrastanti, la convivenza amichevole è possibile attraverso le regole, del cui rispetto i direttori di gara sono responsabili e che chi merita la vittoria vince, un’esperienza particolarmente importante per le persone che soffrono di ingiustizia.

 

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