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La Fia vieta i messaggi politici a meno che non siano “concordati”

La Fia come la Fifa. Dietro la scusa della neutralità e dell’universalità entrambe attuano una politica di censura

La Fia vieta i messaggi politici a meno che non siano “concordati”
Il casco Lgbt che Vettel indossò già in Ferrari al Gp di Turchia

La Fia come la Fifa. La Federazione Internazionale dell’Automobile vieta ai piloti di veicolare, sotto qualsiasi forma, messaggi di tipo politico o personale. Sembra che la F1 abbia imparato la lezione impartita da Infantino ai Mondiali con la fascia One Love.

La norma entrerà in vigore dal 2023 e vieta espressamente, come scrive la Gazzetta dello Sport, “di esporre o diffondere dichiarazioni o commenti con valenza politica in violazione del principio di neutralità“.

E continua: “La nuova infrazione è inclusa nell’articolo 12.2.1 e stabilisce la sanzione per chi si renderà responsabile per “diffusione e esibizione di dichiarazioni o commenti politici, religiosi e personali — si aggiunge — in particolare in violazione del principio generale di neutralità promosso dalla Fia ai sensi del suo statuto”.  Un portavoce ha specificato che si è trattato di un aggiornamento dello statuto in linea con la neutralità politica dello sport come principio etico fondamentale universale del Movimento Olimpico, sancito nel Codice Etico del Comitato Olimpico Internazionale (Cio), insieme al principio di universalità“.

Verrebbe da chiedersi se dietro la scusa della neutralità non si nasconda la volontà di evitare turbamenti di qualsiasi tipo con sponsor o paesi ospitanti i gran premi, siano questi colpevoli di malefatte o di violare diritti.

E quindi non si vedranno più le magliette o i caschi di Hamilton contro le violenze della polizia americana o le scarpette arcobaleno di Vettel in sostegno della comunità Lgbtq+.

La Gazzetta continua citando il regolamento:

L’unica eccezione che avranno in loro favore i piloti, per manifestare contro un evento di carattere politico, riguarderà temi che “sono stati preventivamente approvati per iscritto per le competizioni internazionali — è ancora scritto — o dagli organi competenti per le competizioni nazionali nell’ambito delle loro giurisdizioni”.

Sembra quantomeno ipocrita la scelta della Fia che quindi si accoda alla Fifa. Basti pensare a tutti quegli atleti dell’Nba e alle polemiche dopo l’uccisione di George Floyd. O, volendo andare ancora più indietro, agli albori, il gesto di Jesse Owens oggi sarebbe come minimo multato. Concordare un messaggio politico significa solo salvaguardare gli interessi di pochi e non rispettare il principiò di neutralità. Il destino degli sportivi è quello di diventare sempre di più degli ignavi.

Il Telegraph riporta anche le dichiarazioni del presidente Fia, Mohammed ben Sulayem, sulla questione. E’ nato negli Emirati Arabi:

«Niki Lauda e Alain Prost si preoccupavano solo di guidare. Ora, Vettel guida una bicicletta arcobaleno, Lewis è appassionato di diritti umani e Norris si occupa di salute mentale. Tutti hanno il diritto di pensare (ma non di parlare, ndr). Per me, si tratta di decidere se dovremmo imporre le nostre convinzioni in qualcosa sullo sport tutto il tempo. Vengo da una cultura araba. Sono internazionale e musulmano. Non impongo le mie convinzioni ad altre persone. Non c’è modo. Mai».

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