Piansi per quel gol ingiustamente annullato a Speggiorin nella semifinale di Coppa del Coppe del 77. L’avremmo vinta quella coppa
Sono nato il 20 aprile. Un giorno funesto per la coincidenza della storia che mi accomuna alla tragica venuta al mondo del Fuhrer.
Epperò c’è un compleanno che rimarrà costantemente nella mia mente di bambino cresciuto, nell’anno del Signore 1977.
Compivo 7 anni, la torta fatta in casa e l’attesa per quella sera che mangiava l’ansia del mio esserci.
Due settimane prima, non ricordo perché, avevo dovuto ascoltarla alla radio l’andata della semifinale della Coppa delle coppe, Napoli Anderlecht.
In religioso silenzio pensando a Rensenbrink. Fortuna volle che pal e fierr, proprio colui che doveva marcare il centravanti temuto, segnasse il gol della vittoria.
Ricordo senza bisogno di Wikipedia i quarti di finale dì ritorno, il due a zero contro i polacchi dello Slask Worclaw.
Era prestigiosa la coppa delle coppe, non certo la pantomima della conference League esibita come uno scalpo dai romanisti all’Olimpico.
Mio padre, cui devo la fortuna e la tragedia di amare il Napoli sopra ogni altra cosa, rammenta ancora che a sei anni doveva edulcorarmi le notizie perché quando perdevamo mi mettevo a piangere, sbattendo piedi e tirando calci.
Ci sono due nomi che non scorderò mai di quel 20 aprile. Matthewson, l’arbitro dell’incontro, e Speggiorin, un giocatore che non aveva grandi doti balistiche ma che quella sera maledetta aveva tirato fuori dal suo archivio una straordinaria azione.
L’Anderlecht era forte, assai. Più di noi sulla carta. L’1-0 dell’andata era troppo poco per avere fiducia eppure resistemmo, eroicamente. Uno a zero e tempi supplementari. Giocammo assai bene, lo ricordo, superando lo stereotipo della squadra italiana catenacciara. Ma la partita si sarebbe chiusa prima se il signor Matthewson non si fosse inventato un fuorigioco inesistente annullando il gol di Speggiorin. Quell’urlo strozzato come il quadro dì Munch rimarrà indelebile nel mio hardware personale. Dodici anni dopo, solo dodici anni, lo avrei liberato uscendo come un forsennato a gridare sul balcone di casa dopo che Renica aveva messo in rete il cross straordinario di Careca al 119 minuto contro la Juventus.
L’avremmo vinta quella coppa senza l’infamia subìta e non c’è ferita più grande e viva nel mio cuore dì quella battaglia falsata.
Non passa anno, come una nemesi insoddisfatta, che io non cerchi l’Anderlecht in un sorteggio europeo per chiudere un conto in sospeso.
Aspetto come Michael Corleone di consumare una vendetta insoluta. E penso ogni tanto a Matthewson, maledicendolo nelle mie preghiere.