A Sportweek: «Alcuni allenatori delle giovanili pensano a se stessi come tecnici di Serie A. Fanno gli stessi allenamenti di Guardiola, Conte e Ancelotti».
Sportweek ospita un approfondimento sulla scarsa prolificità dei settori giovanili in Italia: producono molto poco in termini di quantità e qualità dei giocatori. Il settimanale della Gazzetta dello Sport ne chiede conto ad alcuni addetti ai lavori, come Maurizio Viscidi, coordinatore tecnico delle Nazionali giovanili.
Viscidi spiega:
«In Italia la tipologia dei giocatori di talento, in grado cioè di fare la differenza, si sta un po’ perdendo, e non certo perché non ne nascono. I motivi sono altri. Uno: per sviluppare il talento bisognerebbe lavorare in maniera diversa da come si sta facendo. Due: il lavoro deve congiungersi con la pratica. È solo allora che nasce il campione. E purtroppo i nostri giovani fanno poca pratica, e quella poca li appiattisce. Imparano un calcio collettivo, fatto di molti passaggi e di lavoro di reparto; un calcio dove manca tutta la parte individuale. Ovvero, la capacità di “saltare” l’avversario e di difendere singolarmente. Insomma, la capacità di essere protagonisti, invece che ingabbiati in mille movimenti e schemi».
Viscidi parla di un «problema metodologico» per il calcio italiano.
«Gli allenamenti durano in media un’ora e venti, poco in assoluto e in rapporto a tennis, nuoto, ginnastica artistica, e hanno fatto venir meno il lavoro tecnico, a partire dall’uno contro uno, che è stato cancellato. Non c’è niente di meglio di quello, invece, per migliorare l’autostima, perché convince di essere bravi».
Perché siamo arrivati a questo? Viscidi spiega:
«Il poco numero di ore sul campo è un problema sociale e di mentalità. Sociale, perché è cambiato il modo di vivere dei giovani, ma non è che solo da noi hanno smartphone e Playstation; la differenza è che in Spagna o Francia i ragazzini giocano ancora in strada, il luogo ideale per sviluppare creatività e fantasia. In Italia non si gioca più nei cortili o nelle parrocchie, ed è una perdita enorme che non riusciremo a ripianare se non convinceremo gli allenatori delle giovanili a riproporre quel tipo di calcio. Invece, alcuni pensano a se stessi come tecnici di Serie A e fanno gli stessi allenamenti di Guardiola, Conte e Ancelotti, senza pensare che hanno giocatori da sviluppare e non squadre da costruire. Vedo allenatori di Under 15 e Under 16 che fanno tattica in base alle caratteristiche dell’avversario. Ma stiamo scherzando?».
E la mentalità?
«Cominciamo col non portare i Primavera in prima squadra solo per fare gli sparring partner in allenamento. Poi, la politica deve fare in modo che per i club il settore giovanile sia un investimento e non un costo. Molti presidenti mi dicono: faccio il settore giovanile perché devo, ma a me economicamente conviene andare a prendere in Sudamerica o Africa il giocatore fatto e finito. E smettiamo di giudicare un allenatore di A solo dai punti in classifica: quando, come in altri Paesi, verrà valutato anche per i giovani che ha lanciato in prima squadra, le cose cambieranno. In meglio».