L’ex portiere Boranga a Open: «Spesso le società erano le prime a spingere affinché venisse dato “qualcosina” agli atleti. Le rose erano ridotte, servivano tutti».

Open intervista l’ex portiere della Serie A Lamberto Boranga (ha giocato anche con la Fiorentina). Interviene anche lui sul tema del doping nel calcio. Dopo la carriera da calciatore Boranga è diventato specialista in cardiologia, medicina dello sport e medicina interna.
«Ai nostri tempi si prendevano in continuazione pasticchine e pasticcone. Era normale che il medico le prescrivesse: molte aumentavano la concentrazione durante la partita, la voglia di giocare, la spinta per correre. Tutto questo a un portiere come me specialmente faceva benissimo. Ma non sto parlando ancora di anabolizzanti, era il periodo poco prima».
Boranga racconta quali pasticche si prendevano di più.
«Il Micoren era tra i più usati. Si tratta di un analettico respiratorio, in grado appunto di aumentare l’atto respiratorio: se normalmente si prendono tre litri d’aria a respiro, con il Micoren si riesce a prenderne un po’ di più, aumentando così la resistenza. Ma il vero problema è quanto si sceglieva di acquisirne: alcuni giocatori prendevano anche 10 pasticche tutte insieme. Sta lì il punto. Se fai una terapia con l’aspirina e ne prendi un grammo, non subisci conseguenze, non avrai emorragie gastriche e cose simili, se ne prendi dieci sarà invece molto probabile. Di Micoren c’erano anche le gocce, se ne mettevano 10 sulla zolletta di zucchero. Il problema anche lì e che molti calciatori ne prendevano oltre 20 e 30. Quando giocavo a Brescia ho visto compagni che ne prendevano una valanga. Un utilizzo smodato che può avere effetti nocivi anche dal punto di vista epatico e del pancreas».
Boranga continua:
«Alla base c’era l’incapacità del medico di tenere sotto controllo la situazione. Poi erano gli stessi calciatori che una volta percepiti gli effetti positivi di dosaggi standard sceglievano di prendere quantità del tutto arbitrarie e non certo al ribasso. Il medico viene nello spogliatoio, ti dice “questo ti fa bene”, tu sei spesso ignorante, non hai un approccio di verifica anche delle controindicazioni e quindi assumi fin quanto pensi ti faccia bene. Ma in molti casi c’è da dire che erano i preparatori atletici il reale problema».
Erano loro a spingere sui sovradosaggi?
«Si ergevano a medici, aggirandosi nelle squadre quasi come santoni: «Questo fa bene, prendine un po’ di più». Quando negli anni ’80 sono arrivati gli anabolizzanti è stato peggio. Ho assistito a diverse positività. Ai tempi era l’atletica la regina degli anabolizzanti, i medici della disciplina, insieme anche a quelli del ciclismo, portarono poi il meccanismo anche nel calcio. I preparatori atletici ne hanno approfittato più di tutti».
E le società in tutto questo?
«Spesso erano le prime a spingere affinché venisse dato “qualcosina” agli atleti. “Questi ragazzi li vedo un po’ spenti, diamogli qualcosa“, era una delle frasi più tipiche. Un ragionamento banale direi ma purtroppo alla base della distribuzione dei farmaci».
A proposito di farmaci, ricorda solo il Micoren?
«Lo stesso meccanismo riguardava anche la creatina: se è accertato che 3 grammi al giorno migliorano l’attività muscolare, 20 grammi cominciano a fare lo stesso effetto di un anabolizzante. Poi negli anni ’80, più o meno anche negli anni stessi di Vialli, arrivarono i corticosteroidi, molto usati: un gruppo di ormoni steroidei sintetizzati nella corteccia del surrene, diventati doping soltanto tempo dopo. Sono farmaci che attivano anche la parte del fegato e del pancreas. Il cortisone è un antinfiammatorio potente, che si somministra in maniera intra- articolare senza grossi effetti nocivi. Ma se si somministra intra-muscolo, come spesso succedeva, entra in circolo in maniera molto più pervasiva. Senza dimenticare il problema delle quantità».
Lei che rapporto aveva con i farmaci?
«Il Micoren è stato dato anche a me, c’erano poi soluzioni di cortisone e aspirina in vena che ti rimettevano al mondo, e poi usavo prendere anche una pasticchina di una sostanza simile all’anfetamina chimica. La base chimica credo fosse pemolina. La prendevo perché dovevo stare concentrato. Quando l’hanno considerata doping ho smesso di prenderla».
Non ha mai avuto paura per gli usi dei farmaci che ha fatto?
«Sono arrivato a 80 anni. E i dosaggi da prescrizione a cui mi sono attenuto non mi hanno dato mai motivo di temere. Certo se fossi stato sconsiderato nei dosaggi forse qualche rischio, soprattutto nel dopo carriera, lo avrei corso».
C’erano giocatori più sottoposti di altri agli “aiutini”?
«Le rose erano ristrette, quindi si faceva fatica a sostituire un giocatore fondamentale: si doveva portare in campo in tutte le maniere. Una problematica che ricordo di aver subito anch’io in prima persona».