Il portierone polacco eroe di Wembley. Clough gli diede del pagliaccio: «In Polonia ci si allenava poco, il cibo era razionato. Si guadagnava all’estero»
Jan Tomaszewski verrà ricordato dagli appassionati di calcio come l’“uomo che ha fermato l’Inghilterra”. Due settimane fa l’ex portiere polacco ha compiuto 75 anni: «Non m’importa di festeggiare con Tizio e Caio. Vorrei soltanto che i più giovani ascoltassero di più. Questo sarebbe il regalo più bello».
Tomaszewski ha fatto parte di quella leggendaria squadra capace di prendersi il bronzo ai Mondiali del 1974 dopo aver battuto un Brasile già orfano di Pelè in Germania Ovest. Durante quella manifestazione l’estremo difensore parò due rigori, roulette dei penalty esclusa. Un record uguagliato poi dall’americano Brad Friedel ai Mondiali in Corea del Sud e Giappone nel 2002, e in tempi più recenti, dal connazionale di Tomaszewski, Wojciech “Wojtek” Szczesny, in Qatar.
Più si parla con il vulcanicissimo Tomaszewski, più sorprende quella sua capacità di sfoggiare umiltà, senza per questo suonare come un finto modesto: «Non esistono i meriti del portiere. Esistono solo i demeriti di chi ha calciato un rigore. Questo discorso vale ancora di più nel calcio di oggi. Dal dischetto il pallone viaggia verso la porta 50 chilometri orari più veloce rispetto a quello che si utilizzava ai miei tempi. Ho avuto la fortuna di trovarmi per ben due volte al posto e al momento giusto. A Wembley non c’ero soltanto io. Eravamo in dodici. L’undici in campo più l’allenatore Kazimierz Górski».
Si accende quando si parla delle imprese del portiere della Juventus in Qatar. «Wojtek è un tipo tosto. Ho sperato con tutto il cuore che potesse battere questo record che condividiamo parando tre rigori durante la stessa edizione dei mondiali. Sono amareggiato ma non sorpreso visto come sono andate le cose. Purtroppo con un gioco del genere non si poteva sperare di andare avanti. Michniewicz ha deciso di piazzare il pullman sempre e comunque davanti alla nostra porta. Solo nella partita con la Francia si è visto qualcosina».
Tomaszewski è un fiume in piena. «Lewandowski, Zieliński, Szczesny, quando la rivedremo una generazione di calciatori così forti? Quasi tutti i giocatori della nostra nazionale militano in campionati di un certo livello e sono abituati a giocare a tutto campo nei loro club. Noi abbiamo fatto harakiri restando schiacciati nella nostra metà campo indipendentemente dall’avversario che avevamo di fronte». Quando parla dei talenti calcistici polacchi di oggi il veterano di Wembley fa anche il nome di Bartosz Bereszyński passato da poco in prestito al Napoli dalla Sampdoria durante questa finestra di mercato. Sul ginepraio che avrebbe portato al mancato rinnovo di Michniewicz dopo i mondiali preferisce soprassedere non senza però risparmiare qualche altra stoccata all’ex commissario tecnico della Polonia: «L’ho detto e lo voglio ripetere anche all’estero: il giorno in cui Michniewicz è diventato il ct della nazionale è stata una pagina nera. Chi va ricoprire un incarico di tale importanza deve essere immacolato. Michniewicz era uno degli indagati durante la calciopoli degli anni Duemila in Polonia quando allenava il Lech Poznań. Eppure non ha mai reso pubblico il contenuto della sua deposizione alla Procura di Breslavia. Non capisco cosa abbia da nascondere. Il modo in cui ha fatto giocare i nostri in Qatar poi parla da solo. Non sono affatto sorpreso che la Federcalcio polacca abbia deciso di non continuare con lui».
Mentre impazza il toto-allenatore per la panchina della nazionale, Tomaszewski sembra avere le idee chiare: «Non sono qui per fare nomi. Un allenatore straniero di media caratura con esperienza internazionale, affiancato da un vice polacco che conosca l’ambiente e che possa prenderne il posto dopo qualche anno: non riesco ad immaginare un profilo migliore».
Ma tornimo agli anni Settanta quando c’era Tomaszewski a difendere i pali della sua nazionale. Ai mondiali bisognava prima arrivarci. Il 17 ottobre 1973 alla Polonia sarebbe basto un pareggio per qualificarsi. L’Inghilterra allenata da un Alf Ramsey sul viale del tramonto era invece costretta a vincere. La partita si concluse con il risultato di 1-1 con Tomaszewski capace di parare tutto o quasi durante l’assedio dei padroni di casa. Quel giorno per la gioia di Górski e dei suoi uomini il buongiorno non si vide dal mattino. Al terzo minuto di gioco Tomaszewski si aggiusta la palla con le mani nella sua area per rilanciarla con i piedi ma non si accorge dell’accorrente Clarke. Nello scontro con l’attaccante del Leeds United per riprendersi il pallone, il portiere polacco si frattura un dito della mano: «Non ho mai pensato di mollare in quel momento. Quell’incidente in apertura mi ha dato la scossa. Alcuni miei compagni ritengono che abbia subito una vera e propria trasformazione sul campo dopo l’impatto con Clark finendo così per salvare la nostra squadra in molte occasioni».
Sei mesi più tardi Ramsey, l’unico ct capace di regalare al suo paese un titolo mondiale, avrebbe ricevuto il benservito dalla Federcalcio inglese. Intanto il processo di “mitizzazione” del portierone pigliatutto nato a Breslavia nel 1948 era già cominciato in patria. Sì, perché nonostante il cattolicesimo di fondo degli abitanti del Paese sulla Vistola, ai tempi della Repubblica Popolare di Polonia − saldamente in orbita sovietica ma laica soltanto sulla carta − non si santificava o beatificava. Tutt’al più si potevano ricevere delle onorificenze sportive da parte delle autorità. Nei paesi del blocco di Varsavia ai tempi del “calciomercato dei militari” non esisteva lo sport professionistico. Soltanto a fine carriera veniva concesso ad alcune stelle il lasciapassare per guadagnare un po’ in valuta occidentale in un campionato estero. «Allora nel campionato polacco, anche nella massima serie, capitava di allenarsi due o tre volte a settimana e soltanto a ridosso di una partita. È incredibile come con queste premesse la Polonia sia riuscita ad arrivare due volte terza ai mondiali. All’estero venivo pagato a prestazione in dollari ogni settimana. Questo permetteva di mantenere la concentrazione alta ed essere sempre motivato».
A Wembley scelse di rimanere in campo dopo la botta alla mano diventando un eroe in patria. Brian Clough uno dei tanti a scalpitare in Inghilterra per prendere il posto di Ramsey gli avrebbe dato del pagliaccio nel post partita in un salotto televisivo: «Erano molti gli allenatori inglesi a volersi mettere in mostra dopo la sconfitta contro di noi. Clough era uno di loro. Ci siamo rivisti qualche anno dopo durante una premiazione della Federcalcio inglese che assegnava il titolo di miglior portiere in Premier. Ci siamo detti allora che lo sport deve unire. Il resto deve restare acqua passata».
A Wembley scelse di restare in campo ma in altri match importanti non esitò a farsi sostituire. Accadde in occasione dei Giochi di Montreal del 1976 nella finale tra Polonia e Germania Est, giocata su un terreno di gioco devastato il giorno precedente da una competizione ippica, e poi persa 3-1 dalla nazionale allenata da Górski: «Dopo 14 minuti eravamo già sotto di due reti. Non me la sono sentita di continuare. Non per vigliaccheria. Bisogna trovare il coraggio di fare un passo indietro quando ci si accorge di non poter dare il massimo anche da un punto di vista mentale. È una cosa impensabile nel calcio di adesso. Un Lewandowski e un Messi non si farebbero mai sostituire in una situazione del genere».
A Varsavia e dintorni in quegli anni ci si metteva in fila per la farina, e soltanto a volte per la carne, con in tasca una carta annonaria del razionamento: «Anche la dieta dei “calciatori della domenica” lasciava a desiderare. Ma agli sportivi chiamati a rappresentare il proprio paese all’estero le autorità non facevano mancare nulla a tavola». Tomaszewski ha giocato qualche stagione ad Anversa nel Beerschot prima del trasferimento all’Hercules Alicante. «Ero in Spagna con mia moglie e la mia prima figlia quando è stata dichiarata la legge marziale in Polonia nel dicembre del 1981. Ho scoperto quello che era successo da un giornalista del posto. Per diversi mesi non ho avuto notizie di parenti e amici. Sono successe cose terribili in quel periodo. La repressione della giunta militare del generale Jaruzelski ha fatto diverse vittime. Eppure forse in questo modo siamo riusciti a evitare il peggio scongiurando il rischio di ritrovarci con i carrarmati sovietici sotto casa come era accaduto in Ungheria e Cecoslovacchia», ricorda l’ex portiere.
Alcuni dei cimeli accumulati nel corso degli anni Tomaszewski li ha donati a una delle sue figlie, Małgorzata, diventata una giornalista di punta della televisione pubblica polacca (Tvp), vicina al governo della destra populista di Diritto e giustizia (Pis). Lo stesso Tomaszewski nel decennio scorso avrebbe tentato l’avventura in politica dapprima nelle file del Pis, e successivamente, in quelle di Piattaforma civica (Po), formazione liberale dell’ex presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. È vero, a volte politici si diventa, si prenda il caso di Pelè. La parabola politica di Tomaszewski è durata cinque anni ma intanto col passare degli anni è diventato un commentatore di successo nel suo paese e dal pensiero quasi sempre originale. I trofei rimasti li ha esposti, insieme alla sua collezione di bottiglie di alcolici provenienti da tutto il mondo e rigorosamente chiuse, in una stanza separata del suo appartamento a Lódź, la sua città adottiva, dove ormai vive da solo. Tomaszewski fa in continuazione il nome di Górski: «E stato il miglior nel nostro paese. Prima di lui gli allenatori polacchi non pensavano che i calciatori potessero gestirsi da soli. Le nostre mogli erano in albergo con noi durante i mondiali. Górski ci lasciava bere anche un paio di birre dopo un match. Ma se sgarravi una volta con lui era finita». Nonostante la sua personalità esplosiva, Tomaszewski è sempre stato morigerato nei modi. Corsa e bicicletta tutti i giorni. Il vino lo beve una volta al giorno e diluito con l’acqua come gli antichi greci: «A volte mi concedo un cucchiaino di acquavite per digerire meglio, tutto qua». Che sia anche questo uno dei segreti che lo ha reso col tempo un polemista lucido e acuto di fatti sportivi?