ilNapolista

Lapo Elkann: «Gianni Agnelli ha difeso il tricolore ovunque. Mio fratello John ha salvato la Fiat»

Intervista ad Oggi: «Se non fosse stato per mio nonno, la Ferrari sarebbe finita a Henry Ford e Alfa Romeo, Autobianchi e Lancia avrebbero avuto proprietà straniere».

Lapo Elkann: «Gianni Agnelli ha difeso il tricolore ovunque. Mio fratello John ha salvato la Fiat»
Db Milano 07/11/2017 - Garage Italia inaugurazione / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Lapo Elkann

A vent’ anni dalla morte di Gianni Agnelli, in una lunga intervista al settimanale Oggi Lapo Elkann ricorda chi fosse l’Avvocato. Il secondogenito di Margherita Agnelli e Alain Elkann, racconta suo nonno come politico e imprenditore.

«È stato un magnifico ambasciatore del nostro Paese nel mondo. Ha difeso il tricolore ovunque da tutti gli attacchi. Ha fatto molto per questo Paese, specie nei momenti più drammatici delle crisi economiche, spendendo i suoi rapporti, la sua autorevolezza, il suo prestigio. Pensi solo a quanto si impegnò per le Olimpiadi a Torino. È uno dei pochi industriali che, anche negli anni duri del terrorismo, non ha mai pensato, come hanno fatto altri, di lasciare l’Italia. Io ero con lui negli Stati Uniti quando cercava di curare il cancro. Decise di morire nella sua Torino, vicino alla sua fabbrica. Voleva tornare nel luogo che più amava. Sai, la cosa che più mi colpiva di mio nonno era la capacità di connessione con le persone. Che fossero un industriale o un sindacalista, un pilota della Ferrari o un operaio di Maranello, un finanziere o un giornalista. Un re è inavvicinabile, lui invece era curioso della vita e del pensiero degli altri».

Che cosa era la modernità per lui? Lapo Elkann risponde:

«Era, in primo luogo, curiosità. Non aveva i paraocchi, sapeva leggere la società e guardava all’innovazione come modo per accelerare il progresso. Gianni Agnelli non voleva bloccare il cambiamento, di nessun tipo. La storia della sua impresa è indissolubilmente legata alle evoluzioni tecnologiche e alla loro ricaduta sulla vita delle persone. Il futuro lo riguardava, anche quando sapeva che non lo avrebbe vissuto. Aveva visione. Aveva lo sguardo alto, non contava i suoi passi a testa bassa».

Sulla Fiat:

«Per lui era tutto. Non guidava macchine che non fossero Fiat. La sua auto era una Croma con una riga blu e nera, i colori che gli erano stati tramandati da suo nonno. Io lo riaccompagnai con l’aereo da New York, nell’ultimo viaggio, quello fatto per morire in Italia. Gli fui vicino in quei momenti e quello che mi rattrista, da nipote, è che se ne sia andato quando la crisi della sua azienda era davvero grave. E questo, ovviamente, lo amareggiava molto».

Elkann parla di come è cambiata la Fiat.

«All’epoca di mio nonno eravamo forti in Europa e in Brasile, oggi Stellantis ha una proiezione mondiale. Ma è avvenuto perché Gianni Agnelli ha sempre protetto l’azienda nazionale, non solo la Fiat. Se non fosse stato per lui, la Ferrari sarebbe finita a Henry Ford e Alfa Romeo, Autobianchi e Lancia avrebbero avuto proprietà straniere. Lo si creda o no, mio nonno amava la sua patria e la difendeva da chiunque. Per questo ancora oggi, dopo vent’anni, mi provoca dolore ripensare alla sua sofferenza degli ultimi giorni. Lui aveva ereditato l’azienda dalla sua famiglia, l’aveva fatta crescere e proiettata su scala internazionale ma in quel tempo, l’ultimo della sua vita, il destino della Fiat era in pericolo. Credo che oggi sarebbe contento di vedere che quella storia continua. E bene. Merito di mio fratello John, il cui lavoro voglio elogiare. Ha decuplicato il valore del nostro gruppo lavorando con saggezza ed equilibrio. La storia della Fiat continua con lui e grazie a lui».

Lapo parla di Edoardo Agnelli, il figlio dell’Avvocato suicidatosi nel 2000. Ne parla come del suo zio preferito.

«Era una persona pura. Che conviveva con la sofferenza. Ricordo tanti momenti belli e anche quelli più tragici. Come la sua morte. Edoardo aveva problemi con le sostanze, come li ho avuti io. Nel suo tempo era qualcosa che andava nascosto, una vergogna. Oggi nel mondo anglosassone tante persone di successo non fanno mistero di curarsi dalle diverse forme di dipendenza: droga, alcol, cibo, gioco. Io ho avuto la possibilità di combattere i demoni che avevo dentro e di uscirne fuori. Edoardo non ha potuto, 25 anni fa il disagio non aveva cittadinanza. Era da nascondere. Edoardo ha avuto molte dita puntate contro, molte sentenze emesse a vanvera. Ma quante persone oggi sono uscite dalla dipendenza, hanno ruoli importanti e conducono vite rispettate? A Edoardo questo allora non fu concesso. E penso, è solo una mia opinione, che io per primo e tutta la nostra famiglia avremmo dovuto fare di più, stargli più vicino».

Sulla Ferrari:

«Lui stravedeva per le macchine Ferrari. Amava tutte le cose belle della vita. Non basta essere ricchi per apprezzare il bello. Il gusto non si compra. Il suo pilota preferito era quello che vinceva. Credo abbia per questo molto amato Michael Schumacher. Poi gli piaceva Gilles Villeneuve, il suo modo di guidare. E Ayrton Senna, che se non fosse morto in modo così tragico, l’anno dopo sarebbe venuto in Ferrari. Amava il talento e il coraggio e li riconosceva anche negli avversari. Era un vero uomo di sport».

Infine, Elkann racconta cos’era per l’Avvocato la Juventus.

«Per mio nonno la Juve era molto. Era la dimensione ludica della sua vita? Non solo. Lui ha amato Platini, Sivori, Del Piero, Vialli, Zidane e, tra i tecnici, Lippi e Trapattoni. Ma il suo legame di sangue con la maglia bianconera nasce più lontano. La Juventus fu fondata da suo padre, che morì giovane in un incidente con l’idroplano che lo decapitò. Gianni Agnelli apprese la notizia dai megafoni con i quali, allora, gli strilloni gridavano i titoli dei giornali che vendevano. Qui vorrei dire una cosa. Molti pensano che mio nonno si sia solo goduto la vita, che la sua esistenza sia stata una cavalcata trionfale e spensierata. Non è così. Ha fatto la guerra, ha visto morire giovani sua madre e suo padre, ha quasi perso una gamba in un incidente, gli è morto un figlio. Forse il suo amore per la vita nasceva proprio dalla precoce e ripetuta frequentazione con la morte».

ilnapolista © riproduzione riservata