ilNapolista

L’Italia fa giocare gli ultras ai soldatini in autostrada, qualcuno li considera “cultura”

È un gioco di ruolo, lo Stato li fa sfogare. Loro giocano, scrivono striscioni da terza elementare e c’è pure chi ne subisce la fascinazione intellettuale

L’Italia fa giocare gli ultras ai soldatini in autostrada, qualcuno li considera “cultura”

Nell’Italia degli anni 60, la Polizia li avrebbe arrestati tutti. Uno ad uno. Erano tempi, quelli, in cui in una delle prime scene di “Sapore di mare” i carabinieri di Forte dei Marmi portano via una donna in topless per oltraggio al pubblico pudore. «Son mica una delinquente – obietta lei – gli è la moda in tutto il mondo». La turista inglese interpretata da Karina Huff chiede a Christian De Sica perché arrestino una donna stesa al sole. La risposta è citazione del presente futuro: «Perché questo è un Paese di scemi».

L’Italia del 2023 è un posto che lascia sfogare i suoi cattivi ragazzi in autostrada. Gli concede 15 minuti di libertà sull’A1, nella domenica del rientro dalle vacanze di Natale. I famigerati “ultras” si fanno l’agguato in carreggiata, perché le forze dell’ordine se li aspettavano all’autogrill. Un quarto d’ora di mazzate, poi tutti in carovana, scortati allo stadio. Ora basta, dai, fate i bravi. Li fanno giocare ai soldatini. Li contengono in un recinto più o meno circoscritto, come al laser-tag. Tra di loro, nelle segretissime chat che puntualmente i giornali “svelano”, quasi si fanno i vicendevoli complimenti per l’astuzia della tattica, la preparazione della sassaiola, il coraggio nel non indietreggiare nonostante l’inferiorità numerica. Il web è zeppo di clip, di canali di messaggistica crittografata. Si darebbero il cinque, i ceffoni hanno quel valore metaforico lì a volte. Tutto il resto, per molta parte, è sovrastruttura concettuale. La chiamano, con un certo sprezzo del pericolo, “cultura”.

Lo dice un luminare del campo: Sébastien Louis, uno storico-sociologo ex ultrà del Marsiglia che ha scritto un libro considerato una “bibbia” del settore: “Ultras. Gli altri protagonisti del calcio”. Louis scrive che la violenza “è una specie di gioco, di rito di cui gli ultras si nutrono volentieri. La maggiore parte di questa violenza è simbolica”.

Questa parziale inoffensività, o almeno la percezione di essa, è alla base della strategia del controllo della devianza. La Digos frena, non reprime. La polizia irregimenta. Si aspettavano gli scontri di ieri, in quell’autogrill. Poi, magari, colpiscono in flagranza differita. Ogni tanto ci scappa il morto, ma è statisticamente irrilevante sul lungo periodo. E l’indignazione, anche quella, è un rito che sfuma veloce. Sono cinquanta anni che si va avanti così. C’è un equilibrio, tutto sommato.

Louis racconta anche che la violenza delle curve nasce in Italia negli anni 70: “La prima generazione di curvaioli crescerà in un Italia sull’orlo dalla guerra civile, tra bombe e scontri tra fazione opposto. Un contesto che genera una cultura molto forte negli stadi. Va sempre ricordato che la cultura ultras è una sottocultura giovanile, e dobbiamo allora considerare il ruolo sociale della violenza, che in tantissime società rappresenta una specie di rito di passaggio per diventare adulti. Poi c’è la fascinazione per la violenza e il fatto che può attirare alcuni giovani maschi”.

Oggi, soprattutto dopo le costrizioni della pandemia, è un problema in tutta Europa. Ovunque produce danni, feriti, cicatrici. Ma al contempo è un problema di gestione quasi montessoriana di questo teppismo molto orgoglioso di se stesso. Che ha una sua grammatica, che straparla di “valori”, di “codici”. E che è incredibilmente trasversale da sempre: non sono solo criminali gli ultras, hanno una sponda intellettuale, borghese. C’è un’intellighenzia che ne subisce la fascinazione. Altro che “ribellione”. Basta leggere, senza scomodare il passato, le cronache di oggi: resiste, anche davanti allo scalpore d’una battaglia in tangenziale, una sorta di sottinteso pudore nell’affondare i giudizi. Perché gli ultras sono “un movimento” che prevede anche questo scarto anomalo. Vanno accettati, pretendono che lo siano. Comunicano sempre, comunicano un sacco, spesso producendo una sequela di comunicati sbilenchi, immaturi, persino teneri. Sembra un enorme e anche un po’ ridicolo gioco di ruolo. 

Louis parla persino di “teppismo 2.0”, in questa corsa a dare definizioni “alte” a gente che si picchia con le aste delle bandiere in corsia di sorpasso.

«Da un lato, una metamorfosi del teppismo dall’Europa dell’Est che ha cambiato i codici, con nuovi metodi di combattimento e una visibilità importante data da Internet. D’altra parte, alcune entità di estrema destra, posizione storicamente dominante di questo movimento, hanno compreso l’interesse e il potenziale di questi gruppi relativamente piccoli ma più attivi politicamente. Sempre più teppisti sono pronti a lanciare un pugno per difendere le idee più reazionarie».

Più che altro, nel 2023, l’innesco ideologico è ormai superato. La tendenza al riconoscimento di una nobiltà “sottoculturale” a queste piccole accozzaglie di umanità varia – criminali veri e disagiati che siano – è un tic che dovremmo curare. Lo Stato lo fa già, in pratica. La prossima volta basterebbe avvertire gli automobilisti in transito per tempo, su Isoradio: A1 bloccata per programmata rissa ultrà, uscita consigliata Badia Al Pino Est.

ilnapolista © riproduzione riservata