È la novità che segna un passaggio storico, in passato la Juventus veniva a giocare forte della propria superiorità. Che oggi non c’è più
Le scelte di Allegri
Il Napoli ha battuto la Juventus in maniera netta, meritata. E allora si può dire che Spalletti abbia vinto il duello tattico contro Massimiliano Allegri. Questo è un modo per dirlo, per raccontare Napoli-Juventus 5-1 e anche per citare Vincent Vega, uno dei personaggi più geniali e più assurdi partoriti dalla mente di Quentin Tarantino. Un altro modo per dirlo, avviandoci nell’analisi tattica della partita, è che Massimiliano Allegri si è fatto male da solo. Ha fatto delle scelte strane, forse troppo ambiziose, e così ha finito per allargare il divario già esistente tra Napoli e Juventus.
Un divario che non riguarda solo la classifica, ma anche il valore della rosa. Perché questo va detto chiaramente: probabilmente non ci sono dieci punti di distanza tra Napoli e Juventus, ma il gruppo a disposizione di Spalletti è più ampio e tecnicamente più valido rispetto a quello di Allegri. Insomma: il Napoli è primo e ha battuto la Juventus perché è più forte della squadra bianconera, innanzitutto.
Però, come detto, Allegri ci ha messo del suo. Ha scelto una formazione e un atteggiamento tattico che non hanno pagato. E che, soprattutto, non hanno reso giustizia a quanto fatto di buono finora in questa stagione. Perché otto vittorie consecutive, per altro senza subire gol, non si accumulano per caso. E invece l’assetto che le aveva determinate è stato abbandonato, modificato. Con due mosse: l’inserimento di Chiesa nell’undici titolare e il cambio di modulo all’inizio del secondo tempo.
Ma andiamo con ordine. E quindi partiamo dall’inizio, ovvero dalle scelte di formazione. La quadra trovata dalla Juventus si basava su un 3-5-2 puro, con McKennie e Kostic esterni a tutta fascia e scivolamento nel sistema 5-3-2 in fase di non possesso. Certo, in questo modulo Kostic gioca mediamente più alto rispetto al suo omologo di destra, ma il concetto di base era quello. L’inserimento di Chiesa ha mischiato le carte in tavola:
Nel frame in alto, si vede chiaramente sopra come la Juventus si schieri con il 4.4-2 con il Napoli in possesso di palla. I campetti in mezzo, che riportano le posizioni medie della prima frazione in fase passiva, mostrano come questo scivolamento nel 4-4-2 difensivo sia stata una tendenza reale in tutto il primo tempo, da parte dei bianconeri. Infine, sopra, le posizioni medie in fase di possesso, sempre riferite al primo tempo: la Juventus ha sovraccaricato moltissimo il lato destro, disponendosi in maniera asimmetrica.
Diventando asimmetrica verso destra, è come se la Juventus si fosse snaturata. L’obiettivo di Allegri, evidentemente, era cambiare qualcosa. Probabilmente il tecnico bianconero avrebbe voluto sfruttare le ripartenze in campo aperto di Chiesa, la sua capacità di dialogare nello stretto con Di María – geneticamente portato ad aprirsi sulla destra per giocare a piede invertito – e anche il mismatch fisico con Mário Rui. Ma questo tipo di approccio richiede intensità, nel possesso palla e/o nella riaggressione alta. E invece la Juventus ha iniziato la gara giocando allo stesso modo di sempre: difesa per blocchi con baricentro basso (posto a 46 metri nel primo tempo), possesso palla lasciato agli avversari (percentuale grezza del 65% per la squadra di Spalletti nel primo tempo) e ritmi bassi in fase di costruzione.
Il Napoli
Spalletti, dal canto suo, ha scelto invece la continuità. Nessuno stravolgimento, solita musica. Si vede anche dai campetti che ci sono in alto. Il Napoli si è schierato con il 4-3-3/4-5-1 d’ordinanza, con Mário Rui e Politano usciti vincitori dagli unici ballottaggi possibili, quelli con Olivera e Lozano. Anche dal punto di vista dei principi di gioco, zero novità: costruzione articolata, ricerca alternata dell’ampiezza e della verticalità, difesa alta e continui tentativi di riaggressione. Proprio da questi ultimi concetti nasce il gol del vantaggio di Osimhen:
In alto, il momento in cui inizia l’azione che porterà al gol di Osimhen. Sopra, invece, l’intera sequenza video.
Si vede chiaramente nello screen e poi nel video: il Napoli tiene il baricentro alto ed esaspera l’uomo contro uomo per inibire la costruzione avversaria, così Szczesny è costretto al rilancio. Va a destra, dalla parte in cui ci sono più compagni da servire, visto che Chiesa è in posizione avanzata. Dopo i duelli aerei, con un break Lobotka si prende il pallone e il campo, costringendo così McKennie a seguirlo, a sostituirsi a Chiesa – che rientra pigramente – come quinto di difesa. A questo punto, la Juve fa fatica a effettuare la rotazione difensiva, il pallone arriva dall’altra parte, laddove Zielinski, Di Lorenzo e Politano possono costruire un cross libero. La sfera viene deviata ma passa, e così si determinano il tiro di Kvaratskhelia, la deviazione di Szczesny, il colpo di testa a porta vuota di Victor Osimhen.
La miglior Juve possibile, e poi Victor Osimhen
È in questo momento della partita, dopo questo gol – e dopo il raddoppio, ma ne parleremo – che la Juventus ha mostrato come avrebbe potuto (dovuto?) giocarsi il duello tattico con il Napoli, tenendo Chiesa in campo. La squadra di Allegri, infatti, ha alzato la propria intensità fisica – nel pressing, nei contrasti, nel posizionamento in campo – e così ha costretto il Napoli a sbagliare qualche appoggio di troppo, a schiacciarsi un po’ nella sua metà campo. Non a caso, viene da dire, è in questo segmento che arrivano la traversa di Di María e il colpo di testa in terzo tempo di Milik.
Poi, però, la partita viene azzannata da Victor Osimhen. La Juventus, infatti, fa la cosa giusta – quella che vi abbiamo raccontato nel paragrafo precedente – ma allo stesso tempo finisce per scoprirsi. Per lasciare al Napoli – o meglio: al suo terrificante centravanti – la soluzione di gioco più comoda e anche più redditizia: il lancio in profondità dietro la linea difensiva.
Da una rimessa laterale a sinistra, nascono due azioni dall’altra parte.
Si vede chiaramente in questa azione: la Juve è ancora bassa, in attesa, ma su un pallone in ampiezza azzarda un’uscita in pressing. È così che si libera lo spazio alla sinistra di Bremer, laddove Politano mette il pallone alla ricerca di Osimhen. Il difensore brasiliano è goffo e impreciso nell’intervento, ma la realtà è che Osimhen lo ha costretto costantemente a seguirlo in lungo e in largo. E questa volta la dicitura in lungo e in largo non è un modo di dire: è una pura verità geografica.
Tutti i palloni giocati da Osimhen, che è andato a prnderseli ovunque
Nel campetto sopra, è tutto molto evidente: Osimhen, come fa sempre, ha costretto il suo marcatore diretto a sfiancarsi per cercare di tenerlo. Bremer ci era già riuscito in passato, ricordiamo una grande prestazione del centrale brasiliano al Maradona con la maglia del Torino, proprio in marcatura sull’attaccante nigeriano. Ma riuscire a contenere un tornado senza distrarsi mai è impossibile. Figuriamoci quando i tuoi compagni, in questo caso tutti i giocatori della Juventus, tengono – per scelta tattica – un atteggiamento non aggressivo, diciamo pure passivo, in fase di non possesso. Quando la cosa cambia per un attimo, come nel tentativo di pressing subito prima del gol di Kvaratskhelia, vengono fuori la stanchezza, l’inefficacia del modello, anche i mismatch tecnici e fisici. Nel caso di specie, quello tra Osimhen e Bremer è stato davvero ampio.
La ripresa
Il gol di Di María, fortunato ma non casuale, si concretizza proprio perché la Juventus continua a mettere la partita sul piano fisico. Lo ha detto anche Spalletti nell’intervista del postpartita: per questioni antropometriche e tecniche, il Napoli soffre un certo tipi di duelli. E allora deve battere strade alternative. Allegri e la Juventus, invece, fanno l’esatto contrario. E ricominciano la partita, dopo l’intervallo, con nuove spaziature e nuove posizioni: 4-4-2 puro, anche in fase di possesso; Milik e Di María in attacco, Chiesa esterno sinistro di centrocampo, Kostic terzino, Danilo e McKennie sull’asse di destra e doble pivote composto da Locatelli e Rabiot.
La Juventus costruisce con la difesa a a quattro, con Kostic largo a sinistra (fuori inquadratura) e Paredes (sostituto di Locatelli) che si abbassa per aiutare i centrali e Szczesny.
È qui, in questi nuovi spazi determinati dallo schieramento della Juve, che il Napoli inizia letteralmente a banchettare. A far viaggiare il pallone con una fluidità e una velocità disarmanti. Certo, l’infortunio a Locatelli e il caos intorno alla sua sostituzione hanno pregiudicato fin dal principio il progetto tattico di Allegri, ma al Napoli è bastato il solito lancio lungo verso Osimhen per creare un’occasione importante. Anche perché la nuova disposizione della squadra bianconera ha determinato un cambio delle marcature: non più uno contro uno tra il centravanti nigeriano e Bremer, ma uno scambio continuo con l’altro centrale, Alex Sandro. Che in realtà non è un centrale, e come vediamo sotto, non è che possa o riesca a tenere molto bene Osimhen. Sul calcio d’angolo successivo a questa azione, arriverà il gol di Rrahmani.
La Juventus pressa malissimo, Osimhen si prende tutto il campo che può e brucia, letteralmente, Alex Sandro
A questo punto, la partita tattica non è più esistita. Anche perché Allegri ha insistito col 4-4-2, ha tolto Locatelli (e Milik) per inserire Paredes (e Kean) e il Napoli si è ritrovato in superiorità numerica in tutte le zone del campo. Al punto che il quarto gol nasce da una pressione profondissima di Mário Rui su Bremer, centrale difensivo avversario che aveva soffiato il pallone a Kvaratskhelia dopo un duello uno contro uno, occhi negli occhi.
Sembra tutto molto semplice
Ecco, in questo segmento di partita c’è tutta la sconfitta tattica di Allegri, c’è una diapositiva del suo harakiri. Perché la Juventus porta pure molti uomini al di là della metà campo avversaria, ma lo fa in modo disordinato, slabbrato, senza tenere le distanze giuste. Al punto che, ripetiamo, il Napoli non solo si ritrova a poter gestire una ripartenza in campo aperto tre contro quattro, ma può addirittura sostenere il fatto che il suo terzino sinistro di una difesa a quattro (!) vada a pressare alto sul centrale avversario (!!!) senza che si determinino scompensi tattici. A quel punto, pallone sporcato e recuperato in alto, cross vellutato ma anche fendente di Kvara e colpo di testa imperioso, imperiale, di Victor Osimhen. Che, tanto per aggiungere ancora qualcosa, sfila alle spalle di Danilo con un cocktail pregiatissimo di fame agonistica, furia fisica e intelligenza tattica.
Khvicha Kvaratskhelia
Aver rivisto il secondo gol di Osimhen e aver dichiarato chiusa la partita tattica già prima del 4-1 – e quindi anche del 5-1 siglato da Elmas – ci permette una piccola digressione sulla partita di Khvicha Kvaratskhelia. Che è numericamente, prima ancora che visivamente, accecante. Eccole qui, le cifre: 53 palloni giocati, 5 tiri di cui 3 finiti nello specchio della porta; 2 assist serviti; 5 cross tentati di cui 3 andati a buon fine; 7 dribbling tentati di cui 4 riusciti. Il tutto, anche se questa non è una misura empirica, senza dare la sensazione di essere tornato a “esplodere” fisicamente come a inizio anno.
E allora è proprio questo il punto: anche se Kvaratskhelia non ha ancora ritrovato un certo smalto e una certa brillantezza, resta sempre e comunque un calciatore difficilissimo da contenere. È un discorso tecnico, prima ancora che fisico: al di là di tutte le cose che ha fatto, e che abbiamo enumerato e snocciolato nel paragrafo precedente, nel primo tempo gli sono bastati 2 palloni giocati – il tiro respinto da Szczesny e quello messo nell’angolino – per determinare un gol e un assist. E gli è bastato un attimo, nella ripresa, per mettere la palla sulla testa di Osimhen in occasione del 4-1.
Tutti i palloni giocati da Kvaratskhelia: guardate quanti sono stati e quanto sono stati profondi i suoi ripiegamenti
Dal punto di vista puramente tattico, avere un calciatore di questo tipo è un’arma devastante. Anche se non ancora al meglio, gli occorre pochissimo per essere decisivo. E poi, come si vede anche nel campetto appena sopra, è sempre, sempre presente anche in fase di ripiegamento. Non si risparmia mai. Anzi, mette la tecnica di cui abbiamo già parlato al servizio della prima costruzione, subito dopo il recupero del possesso. Poi c’è anche la fisicità difensiva, la durezza nei contrasti, un altro elemento importante quando si affrontano squadre atleticamente strutturate.
Conclusioni
Il Napoli esce incredibilmente rafforzato dalla partita con la Juve, per via di tante cose. Il risultato, ovviamente. Il vantaggio in classifica sui bianconeri tornato a essere in doppia cifra, ci mancherebbe altro. Ma c’è anche un aspetto tattico. O meglio: di filosofia della tattica. Spalletti, come detto, ha vinto ma è rimasto fedele al suo progetto “storico”, non ha trasformato la sua squadra in modo sostanziale. In pratica, ha affermato la superiorità “ontologica” del suo lavoro, almeno fino a questo momento. La Juventus, invece, non solo è apparsa meno forte dal punto di vista tecnico, ma è stata anche manipolata dal suo allenatore. Allegri ha cambiato qualcosa – anzi: diverse cose – per provare a indirizzare l’andamento tattico della partita. Ha rinnegato, in pratica, ciò che aveva fatto finora per riprendersi il secondo posto, per riportarsi dentro la lotta-scudetto.
Si tratta, come detto, di una vittoria filosofica – o anche culturale – dall’immenso valore. Perché è come se Allegri avesse riconosciuto la superiorità attuale e forse assoluta del Napoli. Ed è la prima volta che succede. Perché in passato gli era bastato venire a Napoli con il solito atteggiamento per prendersi pareggi e/o vittorie pesantissime – l’unica sconfitta del suo primo ciclo al fu San Paolo risale all’autunno 2015. E così affermava la sua supremazia. Ora le cose sono cambiate, sono molto diverse: il Napoli ha una rosa più forte rispetto a quella della Juve. E ne sembra pure consapevole. Anche la Juve – cioè Allegri – ne è consapevole, in fondo. E allora si comporta di conseguenza. In maniera diversa rispetto al passato.
Per chi segue le partite al di là del risultato, guardando a ciò che succede in campo dal punto di vista tattico, questa nuova consapevolezza trasversale è la cosa più significativa, più importante, che resta della serata di ieri. È come se fosse avvenuto un passaggio di stato, o anche di era temporale. Ora il Napoli è ufficialmente la squadra più forte del campionato, tecnicamente e anche tatticamente. Non ci sono più dubbi al riguardo. E quindi toccherà agli altri venire da Spalletti, e dai suoi uomini, per sottrargli questi titoli.