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Robocop Murray, un monumento contro l’arrendevolezza

Zoppo, doloroso e dolorante, a 35 anni fa fuori Berrettini in 5 ore di tennis epico. Tutto ciò che vede, annusa, assapora, è ancora una volta solo la vittoria

Robocop Murray, un monumento contro l’arrendevolezza
2022 Londra (Inghilterra) - Wimbledon / foto Imago/Image Sport nella foto: Andy Murray ONLY ITALY

Mezzo Zoppo. Le spalle curve, la smorfia addolorata, il pallore, il sudore che si raffredda nell’inferno estivo di Melbourne, col tetto chiuso a protezione dal sole. La fronte corrugata sotto il cappellino. Andy Murray ad un certo punto potrebbe vincere o perdere, e farebbe poca differenza. Per lui no, per chi lo guarda trasformare il tennis in un dramma fisico da più di un decennio sì. E’ ipnotico. Corre di qua e di là, col cronometro che quasi scocca la quinta ora di gioco. Con Berrettini a mezzo servizio – letteralmente – che fa da sponda ad un monumento ancheggiante.

Murray si avvia al super tiebreak del quinto set di uno Slam come un impiegato che raggiunge la fermata del tram, sempre la stessa da venti anni. Una routine di fatica e mentalità. Talento, tempismo, tocco, tattica, agilità, muscolatura: sì, tutto questo. Ma soprattutto la convinzione. Quella certezza che la traiettoria della pallina, della partita, della carriera e della vita, sarà esattamente quella che vuole lui. Dopo magari si lascerà smentire, succede così nello sport, ma in quell’istante non c’è futuro né dubbio. E’ una processione d’intenti assoluti.

E dunque eccolo Murray che si avvia a giocarsi tutto su dieci punti. Contro uno, Berrettini, che è stato semifinalista su quello stesso campo l’anno prima. Uno che ha giocato una finale a Wimbledon. Murray al Melbourne Park ci ha lasciato la sua anca destra. Lì nel 2019 ha annunciato, piangendo come un vitellino, che senza quell’anca avrebbe dovuto lasciare il tennis. Invece no: è ancora lì, che caracolla. Magnetico. Non batte un top 20 dal Roland Garros del 2017, Kei Nishikori. Lo sapeva prima, in quel momento no: tutto ciò che vede, annusa, assapora, è la vittoria. Funzionava così quando vinceva Wimbledon contro Federer, e e così quando si iscriveva ai Challenger di Biella e Surbiton.

Gli facessero una tac sul 5-0, in quel preciso istante, troverebbero un pezzo di carbone ardente che gli ribolle dentro. Un nocciolo fumante di puro desiderio. In un involucro liso, scassato, appena sufficiente. Murray è un atleta complesso, conflittuale, competitivo. Uno che ha sempre rifiutato ogni narrazione proiettata su di lui. Dici che il suo approccio spietato al lavoro, la capacità di sopportare il dolore è ammirevole e lui se ne risente: perché crede che abbia accelerato il suo declino. Dici che la sua difesa sindacale della parità di retribuzione e trattamento delle donne nel tennis ne fanno un eroe femminista e lui sbuffa: non ci vede niente di straordinario. Ti dispiaci per lui quando perde? E lui ti chiede di farla finita. La storia degli infortuni è un finto problema: “Mi faceva male tutto già a 20 anni”. Alibi e scuse non fanno parte dello scenario.

Murray ha salvato Kyrgios, dice la mamma di Kyrgios. Ha istigato Osaka a reagire agli insulti, a farci pace. Ha donato tutti i guadagni del 2022 ai bambini dell’Ucraina. Ha assunto Ivan Lendl come coach, nel 2022, a 34 anni. È l’unico che ha parlato delle accuse di violenza sulle donne di Zverev. Ha cazziato pubblicamente Tsitsipas per le pause-bagno tattiche. Giocava con la fede infilata nei lacci delle scarpe e gli hanno rubato le scarpe.

Ci sono momenti in cui sembra giocare per l’entusiasmo, per l’amore per il gioco, per l’emozione. Poi ci sono momenti in cui quella visione si scontra frontalmente con la ridotta mobilità e l’inevitabilità della sconfitta. Il fascino di Murray è che pesa entrambe le realtà allo stesso modo: Murray che si avvia a battere Berrettini, in vantaggio di tre match point, sul 9-6, ridicolizza l’idea che possa lasciare il tennis. Altrettanto, proiettandolo al turno successivo, sembra ridicolo che possa continuare.

«Penso che il mio corpo si sia abituato ad avere l’anca di metallo, per questo non ho così tanti dolori. Quando avevo 33 anni avevo molti più problemi con il mio corpo di quanti ne abbia adesso a 35 anni e mezzo. Ed è perché il mio corpo si è abituato alla nuova anca. La biomeccanica attorno al mio bacino è cambiata da quando ho subito l’operazione. Ovviamente il resto del corpo deve compensare quella giuntura metallica».

Robocop Murray quando gioca le partite di esibizione indossa un dispositivo Catapult con il Gps sotto la maglietta. I dati, scrive il Telegraph – mostrano che la sua velocità sta tornando ai livelli pre-operazione. La rincorsa dello scorso anno, dal numero 134 Atp di anno al 49 finale, pare una di quelle traiettorie di cui sopra. Battuto Berrettini, ha lasciato tutti abbagliati: sembrava il Murray che collezionava titoli a metà degli anni ’10.

«Alla fine sono rimasto straordinariamente calmo». Sudato, sfatto, sorridente e devastato. Il solito Murray, di carne e di metallo. A garanzia illimitata.  

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