Si chiama Phil Knight, ha 84 anni, è il co-fondatore di Nike. Ed è l’unico che si gode il momento alla vecchia maniera, immerso in un plotone di smartphone puntati
Guardate la foto del canestro di Lebron James. Il canestro del record di punti NBA abbattuto. Quella in cui Lebron fa un passo indietro, va in sospensione dalla media distanza – quello è il SUO tiro – e segna il punto 38.388 che gli basta a superare Kareem Abdul-Jabbar nella corsa tra leggende. Guardate lo sfondo dell’azione. Quell’oceano di smartphone puntati sul mito che sta entrando nel mito. Un plotone d’esecuzione. Ecco… trovate l’intruso.
L’intruso c’è. Ed è uno solo. Si chiama Phil Knight, ha 84 anni, è un miliardario. E no, non ha un telefonino in mano. Si sta godendo la storia con i suoi occhi. Non la registra, la vive. Una rivoluzione “old School”, scrive il Telegraph che analizza un dettaglio non sfuggito anche ad altri (per esempio Marca).
Of course Phil Knight is the only one there witnessing LeBron James make history without looking through a phone. pic.twitter.com/EX3oXirOXl
— Jason Hanson (@JasonTheHanson) February 8, 2023
Knight è il co-fondatore di Nike. Un mecenate di lunga data di James. Uno che evidentemente “non ha problemi a vivere il momento”, scrive il Telegraph. Perché effettivamente quella foto, quel volto racchiuso in un pixel, è indicativa di un fenomeno più vasto: “I giovani non sanno guardare lo sport! I giovani non sanno godersi il momento! I giovani non sanno di essere nati!”.
E’ una critica da boomer? C’è chi dice che gli umani di questo presente siano benissimo in grado di gestire uno smartphone senza perdersi la magia dell’evento. Si chiama multitasking, persino evoluzione. “È possibile vivere il momento e contemporaneamente assicurarsi il proprio status symbol”. Vecchi che siamo.
All’altro tavolo del dibattito generazionale c’è seduto uno che trova deprimente tavolate di amici al ristoranti (per non parlare delle coppie al secondo-terzo-ennesimo appuntamento) che consumano il pasto col capo chino sul cellulare, ognuno il suo, “ognuno diverso in fondo perso nei suoi fatti suoi” (gli stessi che non riconoscerebbero questa citazione canora per evidenti limiti anagrafici). Che bisogno c’è di produrre un filmatino tremolante quando avrai a disposizione in 4K tutte le riprese delle tv del mondo nel tempo d’un amen?
“A difesa dei filmatori telefonici – risponde Il Telegraph – se stai spendendo 100.000 dollari per un biglietto vuoi portarti a casa un souvenir. In effetti, la partecipazione senza il filmato telefonico a supporto è a questo punto come un matrimonio non consumato“.
E poi ci sono le endorfine di rimbalzo: metti il video sui social, e raccogli pollici alzati, cuoricini, Mi piace, emoji in sollucchero. L’appagamento: aaaahhhh. C’ero e non solo c’ero: ho le prove, tiè! Faccio parte della storia, sono quello che guarda Lebron saltare verso la gloria attraverso uno schermo di sei pollici quando ce l’avrei lì a 10 metri. Filmo ergo sum.
Ma dai, obietta di nuovo il Telegraph, “ogni figlio di pensionato avrà le proprie storie di genitori che spolliciano sui loro telefoni per trovare il noioso video che DEVONO assolutamente mostrarti e invece stanno ordinando accidentalmente un Uber”. Non è questione d’età, e a dirla tutta c’è sempre un fantomatico studio dell’Università di Leida, nei Paesi Bassi, che smentisce l’impatto sulla memoria: non è vero che ci si distrae facendo un video. E chi siamo noi per contraddire la scienza.
E poi: è di una foto che stiamo parlando. Una foto che ritrae – come un impostore, una spia – una prospettiva laterale dell’evento in sè: non il campione che fa il canestro record, ma la platea di spettatori che assiste dirimpetto. Un cono di luce sulla muraglia tutta conforme, braccia puntate, telecamere tese. E quella faccia zen di Knight. Un posto in prima fila, e l’espressione di tranquillità totale che misura una superiorità estetica. Si prende la scena, addirittura, per contrasto con lo sbalordimento tutt’intorno. La storia è Lebron, certo. Ma “la storia siamo noi”. Chi la fa e chi guarda. Anche chi la riprende, e chissà se se ne rende conto.