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Egonu, il giornalismo di destra ha il problema di confortare sempre e comunque i propri lettori

Come per l’uso dei gas da parte dell’esercito italiano in Abissinia: storicamente provato, sempre negato da Montanelli al grido: io c’ero e non li ho visti

Egonu, il giornalismo di destra ha il problema di confortare sempre e comunque i propri lettori
Db Monza 09/03/2022 - CEV Champions League / Vero Volley Monza-Antonio Carraro Imoco Conegliano / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Paola Egonu
Gentile direttore, ho letto con estremo interesse (non posso scrivere piacere, purtroppo) il commento di Mario Piccirillo alle reazioni che i giornali italiani di destra (e non solo) hanno pubblicato dopo le parole di Paola Egonu sul razzismo del nostro popolo di brava gente a prescindere.
Non mi aspettavo altro, né da Piccirillo né dai giornali di destra. Da Piccirillo perché è un bravo giornalista degno del Napolista, da Facci e compagnia perché, bravi o no, sono certamente degni dei giornali (di destra) per i quali scrivono. E mi dispiace per gli altri (come cantava Celentano), giornali e giornalisti non di destra, anche se non mi meraviglia affatto che siano caduti su una questione tutto sommato banale, come il razzismo degli italiani.
A mio avviso sono finiti in una trappola – tipicamente del giornalismo di destra – che consiste nella necessità di confortare  sempre e comunque i propri lettori.
Ho lavorato per una testata di divulgazione storica il cui motto (non scritto) era il seguente: in queste pagine il lettore trova sempre ciò che crede di sapere. E poco importa se ciò che crede di sapere il lettore non corrisponde (più o meno mai) a verità. Avrà notato che più una cosa si studia, più le certezze da abecedario vengono meno. Invece quando il lettore di cui sopra chiude la rivista e la poggia sul comodino, deve poter pensare di se stesso che è una persona di una certa cultura, una persona che si distingue.
Perché dico che quella raccontata da Piccirillo è una trappola tipica dei giornali e del giornalismo di destra, o più in generale conservatore? Perché è il giornalismo che meno si arrende all’evidenza dei fatti e delle prove, persino a quelle di carattere storico scientifico. Forse per il fatto stesso di essere conservatore. Non vale certamente per tutti, ma per molti credo di sì.
Il principe di questo tipo di giornalismo è stato (e per molti versi è ancora, non essendoci eredi della stessa qualità) Indro Montanelli.
Potrei citare decine di esempi che lo riguardano. Mi limiterò a uno soltanto. Per decenni Montanelli ha negato che l’Italia avesse utilizzato l’iprite durante la campagna per la conquista dell’Etiopia (1935-1936). Sua unica argomentazione: io c’ero e non l’ho vista usare. Argomentazione disarmante (se non sciocca) considerato che nessuno, a parte i santi, è dotato del dono dell’ubiquità.
Angelo Del Boca, credo ancora oggi il massimo storico italiano del nostro colonialismo, ha coscienziosamente lavorato per raccogliere prove sull’uso dei gas da parte dell’Esercito Italiano (all’epoca dei fatti Regio) e per dimostrare ciò che fuori dall’Italia era noto a tutti: e cioè che, per vincere le resistenze di un esercito armato in massima parte di fucili e lance, noi italiani abbiamo gasato gli abissini. Lo abbiamo fatto sul fronte nordorientale comandato da Badoglio; e lo abbiamo fatto sul fronte sud comandato da Graziani. Per inciso: l’uso dei gas era internazionalmente vietato.
Ogni volta che Montanelli è intervenuto sulla questione la stessa cantilena: io c’ero e non ho mai visto usare i gas.
Angelo Del Boca raccoglieva prove col sudore della fronte e Montanelli le qualificava dicerie insistendo con la sua versione dei fatti, che poi era il più trito dei luoghi comuni. Ovvero la versione più confortante per il lettore, che non ha mai gradito l’idea di essere un colonizzatore come tutti gli altri (e nel caso del gas, persino peggiore). Allo stesso modo, non siamo ancora oggi in grado di accettare che il nostro colonialismo non fu affatto bonario come usiamo credere, ma che in Etiopia, con noi al potere, fu praticata l’apartheid. Epperò abbiamo costruito le strade. L’una cosa non esclude l’altra.
A titolo di epilogo, le dirò che Montanelli alla fine dovette capitolare perché Del Boca aveva avuto accesso alle carte dell’esercito, documenti non più coperti da segreto militare, ed era riuscito stabilire (sulla base di atti incontrovertibili) persino quante tonnellate di iprite erano state scaricate dagli aerei sugli etiopi (anche sui civili) e quante altre erano state sparate dall’artiglieria.
Eppure, ancora oggi, nonostante tali fatti siano considerati oramai ovvii dalla storiografia, c’è qualche giornalista (di destra) che non demorde e continua a citare come genuina la vulgata buonista di Montanelli. Vulgata di cui siamo stati, se si analizzano con attenzione le cose, tutti vittime.
Il caso Egonu rientra in questa fenomenologia mediatica. E dico mediatica perché intendo confinare ai soli media (di destra e di sinistra, è lo stesso) il fenomeno per il quale ciò che accade nella vita di tutti i giorni, ed è attestato dai dati e non dalle dicerie, viene derubricato a leggenda. Per la stessa logica perversa, Bruno Vespa può dire che non trova una cameriera per la sua masseria in Puglia a causa del reddito di cittadinanza che ha trasformato i suoi potenziali dipendenti in poltroni.
Così la stampa di destra può scrivere che non siamo noi italiani (in significativa quota parte) ad essere razzisti ma che è Egonu ad essere una ingrata. E il lettore medio (di destra e non) non si sente messo in discussione.
Da un certo punto di vista la colpa di quanto accaduto è effettivamente di Egonu. Mi spiego. Una volta Larry Holmes, campione dei massimi e uno dei pugili migliori della storia del pugilato, disse: “È dura essere neri. Siete mai stati neri? Io lo sono stato una volta: quando ero povero”.
Egonu non ha capito che se smetti di essere povero e diventi una persona di successo, per molti versi smetti anche di essere nero.
Ecco, lei nonostante il successo e il benessere che ne è derivato, è restata nera. E noi italiani questo proprio non possiamo accettarlo.
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