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Facundo Medina: «Il calcio mi ha salvato dalla fame e dalla strada, ora apprezzo anche un biscotto» 

A L’Equipe: «Da piccolo, con la mia famiglia, riciclavamo cartoni dalla spazzatura. Non mi vergogno a raccontarlo. La vita è una lotta costante».

Facundo Medina: «Il calcio mi ha salvato dalla fame e dalla strada, ora apprezzo anche un biscotto» 
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L’Equipe intervista Facundo Medina, difensore argentino del Lens, dove è arrivato nel 2020. Si racconta, a partire dai valori che gli ha insegnato la sua famiglia.

«Rispetto, lavoro, impegno, educazione. È grazie a questi valori, e grazie a mia madre, che mi ha insegnato a vivere, che sono diventato quello che sono oggi: una persona che rispetta tutti, di chiunque si tratti. Questo è essenziale. Il rispetto, l’umiltà, il senso del sacrificio e del lavoro hanno molta influenza in questo sport. E al di là dei titoli, della fama, quello che vorrei, più di ogni altra cosa, è essere una brava persona».

Facundo parla della sua infanzia, non semplice.

«Ho avuto un’infanzia pazza. È stata difficile, ma ho sempre cercato di tirare fuori le cose positive e ho sempre sentito il sostegno della mia famiglia. Da bambino non capivo com’era il mondo. E mentre crescevo iniziavo a farmi delle domande. Perché devo passare attraverso questa privazione? Perché devo avere fame? Perché devo andare a lavorare ventiquattro ore al giorno per mangiare, nemmeno per ottenere tutte le cose che voglio? La mia famiglia è stata in grado di proteggermi, abbiamo combattuto. E quando finalmente hai un po’ di più questo ti permette di dare molto più valore alle cose semplici, come un piatto di cibo. Se oggi mi offri un alfajor (biscotto rotondo ripieno di marmellata di latte), sono l’uomo più felice del mondo. Perché misuro i miei sforzi, il mio tempo. La gente potrebbe dire: “È un semplice alfajor”, ma questo dice qualcosa della persona che sei».

È un miracolo essere arrivato dove sei ora? Medina:

«No, si tratta di decisioni. La vita è fatta di momenti in cui devi essere consapevole di ciò che vuoi veramente, sia per te stesso che per coloro che ami. Nel mio caso, mia madre, che era una combattente, una guerriera, che ha sempre dato tutto, ha lasciato da parte tutto ciò che amava fare per darmi il meglio. È qualcosa da apprezzare. Non volevo entrare nella droga, non volevo perdermi nella notte, sapevo molto bene dove dovevo concentrare i miei sforzi, le mie energie, la mia giovinezza: con la palla».

Medina continua:

«A volte, con mia madre, ci sediamo e discutiamo di queste cose. Lei inizia a piangere e anche io. Ma di gioia, nel senso che, grazie a Dio, non vivo più questo genere di momenti. Mi permette di apprezzare questo piatto che sto mangiando, il fatto che i miei fratelli possano studiare. Quando ho vissuto da solo con mia madre, abbiamo attraversato cose che gli altri non sperimenteranno mai, ma che terrò per me. Molti dei miei amici sono finiti male, pochi l’hanno fatta franca».

Da piccolo, riciclava cartoni gettati nella spazzatura.

«Li prendevamo e li vendevamo per avere qualcosa da mangiare. Ero molto piccolo, avevo tra i 7 e i 10 anni. Ci conoscevano tutti. Uscivamo di casa alle 16,30 e tornavamo intorno a mezzanotte. E la mattina dopo, ci alzavamo presto per riciclare sul patio della casa e andare a venderli per avere qualcosa da mangiare. E così via, ogni giorno. È stato difficile, ci sono persone che continuano a farlo… La vita è una lotta costante. A volte le persone non raccontano questo genere di cose perché si vergognano un po’. Lo dico con semplicità, con orgoglio anche perché queste cose che ho vissuto mi permettono di apprezzare molto di più le piccole cose della vita».

Si definisce intelligente nell’aver saputo evitare i pericoli della strada.

«A volte la strada è buona ma allo stesso tempo pericolosa perché ci sono tante tentazioni… Sono stato molto intelligente nel senso che non ho mai scelto le cose sbagliate».

Il calcio gli ha salvato la vita.

«Ho combattuto, lavorato. Ho fatto degli errori, come tutti. E mi sono dedicato al calcio. E grazie a Dio, il calcio mi ha dato molto, il calcio mi ha salvato».

 

 

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