Reazioni alla “signora mia” dopo lo sgarbo di Roma, come se fossero state violate le regole di un gioco di ruolo. Non ci sono più gli ultras di una volta
Una volta, quando ruba-bandiera non era questione di Onore e Lealtà (sempre in lettera maiuscola) ma solo un innocuo gioco pre-scolare, gli ultras della Stella Rossa compivano eccidi in Croazia e in Bosnia. C’erano anche al massacro di Srebrenica, per dire. Era una generazione di criminali esaltati fa, gente del calibro di Zeljko Raznatovic, Arkan. Quelli di oggi, stesso stile di omone stra-tatuato per lo più sudato e alticcio, invece vanno a Milano per fare gli ultras del basket in Eurolega (ah, il multitasking) e, giacché si trovano, fanno un salto a Roma a depredare i colleghi giallorossi dei loro sacri striscioni. Due piccioni con una sola indennità di trasferta, ché c’è crisi.
Gli ultras della Stella Rossa di oggi, puccettoni incappucciati con le spranghe, sono alleati degli omologhi del Napoli. E hanno agito – a leggere i giornali – “per procura”, sulla scia del precedente agguato sull’A1. Sì, quando un po’ di tarda adolescenza sequestrò la viabilità nazionale per giocare ai soldatini, nella preventivabile impunità susseguente (a meno di non considerare la sopportazione dei vuoti pipponi del ministro Piantedosi come una pena commisurata al reato, che pure ci starebbe…). Hanno portato via i vessilli dei nemici, ed è scoppiato un casino riassunto dai concetti di “oltraggio”, “umiliazione”, “sfregio”. Pure le rime scadenti tipo “se occasione ci sarà embé tutto qua” hanno ceduto il passo allo sdegno diffuso.
Di nuovo: per contestualizzare il senso delle proporzioni, dopo la guerra dei balcani l’ultrà Raznatovic fu incriminato dal tribunale internazionale dell’Aja, e infine ucciso in un agguato. Questi si sono fatti riprendere che scappavano come in una sessione di acchiapparello agonistico. Con un danno d’immagine incalcolabile, per i valori condivisi di questa comunità di moderni gladiatori. Conta pure l’instagrammabilità degli scontri, siamo nel 2023.
Oggi è cambiato tutto. Nella geopolitica (sic!) del tifo transnazionale esistono regole da gioco di ruolo, come in un Dungeons & Dragons con cinghie, spranghe e mazze chiodate. E – perdinci – non vanno infrante. Altrimenti dove andremo a finire. Questo è il momento in cui anche le “signore mie” della grammatica qualunquista se la danno a gambe per andare a scompisciarsi dalle risate per quanto segue.
La Curva Nord Milano, quella dell’Inter (che non c’entra niente in teoria con la faida tra romanisti e napoletani, ma che ne sappiamo noi della “cultura ultras”?) ha pomposamente emesso un comunicato, per stigmatizzare. No, non si fa così. Che modo è?
«Se è vero che non esistono regole scritte nel nostro mondo, a nostro avviso le dinamiche di rivalità devono consumarsi faccia a faccia e non con atti indegni seppure coordinati tra più persone».
E’ un problema di etichetta, è chiaro. “Rimane un agguato compiuto da molti a danno di pochi giocando sull’assoluta imprevedibilità di un gesto compiuto in assenza di uno scontro diretto”. Come se uno avesse tirato cinque dadi per attaccare la Kamchatka a Risiko. Nun se fa!
Agli interisti “sembra doveroso condannare questa deriva dei comportamenti ultras senza senso e che può pericolosamente spostare gli equilibri delle dinamiche legate alle rivalità, in un campo che non ci appartiene con regole prive di valori come Onore e Lealtà”.
«Ci auguriamo che questo precedente non stimoli emulazioni che, lo ripetiamo, col mondo ultras nel quale siamo cresciuti non ha niente a che fare».
Il finale è un capolavoro di genere. “Non lo rifate a casa ragazzi”, dicono i montessoriani ultras milanesi, “gli scontri non si fanno così”. C’è tutto un cerimoniale per pestarsi a sangue, un decalogo. La Gravinizzazione delle curve è un passo in là: sta maledetta burocrazia pure per accoltellarsi, che palle.
Ora seguiteci nel vorticoso girotondo della diplomazia tifosa. Gli ultras dell’Inter, notoriamente fascisti, sono alleati con quelli della Lazio. E – QUINDI – nemici di quelli della Roma. I quali una volta erano gemellati con quelli del Napoli, che sono alleati con la tifoseria organizzata dell’Olympiakos Pireo, la Gate 7. I romanisti invece sono amici di quelli del Panathinaikos, rivali per eccellenza dell’Olympiakos e dei croati della Dinamo Zagabria, che a loro volta odiano quelli serbi della Stella Rossa, che alla fiera del rancore idiota mio padre comprò.
Leggiamo da Repubblica:
occorre agire in fretta, è questo il pensiero comune. Il rischio infatti è quello di perdere ogni potere in curva e di avviare uno scontro tra tifosi in tutta Europa dalle proporzioni inimmaginabili. «Se dovesse comparire il nostro striscione ribaltato a Napoli scoppia la guerra civile», racconta un ultrà della Roma che chiede l’anonimato.
Spiace disinnescare superficialmente il fantomatico “mondo ultrà”, una bolla trasversale ai ceti sociali cui viene associata persino una “cultura” apposita, ma dalle rappresaglie in tangenziale agli scippi in trasferta internazionale si evince un modello comportamentale – un “pattern” direbbero all’Fbi: gente, tantissima gente, che non ha una ceppa da fare. Almeno i bambini, quando a ricreazione giocano a ruba-bandiera, evitano di blaterare di Onore e Lealtà. E’ una questione di credibilità, persino.