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L’ultimo film di Guido Lombardi insegna che un padre serve sempre, anche uno ‘cattivo’

Su Netflix “Il ladro di giorni”, un film che si guarda come un romanzo. Al di là della vicenda criminale è incentrato sulla mancanza dei padri e sugli effetti sui figli  

L’ultimo film di Guido Lombardi insegna che un padre serve sempre, anche uno ‘cattivo’

Ha una storia lunga questo “Il ladro di giorni” l’ultimo film del poliedrico regista e scrittore napoletano Guido Lombardi, che mancava dal 2013 dal grande schermo con “Take five” un noir napoletano che aveva ottenuto un Nastro d’argento al miglior soggetto.

Nel 2007 Lombardi vince proprio il “Solinas” per il soggetto originale de “Il ladro di giorni” e poi nei primi mesi del 2019 ne fa un romanzo con Feltrinelli con il medesimo titolo che ottiene un buon successo di critica e buoni lettori.

Da poche ore è su Netflix il film che narra la stessa storia di un padre barese Vincenzo (Riccardo Scamarcio) che dopo sette anni passati in carcere va al Nord per riprendersi il figlio undicenne Salvo (l’esordiente Augusto Nazzaro) che ha vissuto con la cognata (Vanessa Scalera). Staranno assieme per quattro giorni per un viaggio fino a Bari dove Vincenzo deve consegnare una partita di droga. Scivolando verso sud i due avranno modo di riconoscersi tra ricordi personali che riemergono ed i “perché” scanditi dal bambino-adolescente che cerca di riannodare i fili di un abbandono che sente ancora bruciante.

Andria, Gravina di Puglia, Bari le tappe di questa processione penitenziale in cui Vincenzo ritrova il rapporto con i vecchi compagni di merenda criminale (segnaliamo le belle interpretazioni di Massimo Popolizio e del caratterista Giorgio Careccia) e cerca di saldare i conti con il prof-delatore Mangiafreda (Carlo Cerciello) che ha un rapporto torbido con una modella (Rosa Diletta Rossi)

Al di là della vicenda criminale il film è incentrato sulla mancanza dei padri e sugli effetti che i figli subiscono da questa aporia: un padre serve sempre, anche uno ‘cattivo’. Bisogna accompagnare i ragazzi nella difficile arte della scelta della propria identità nella vita. L’impressione è che Lombardi sia un letterato prestato alla macchina da presa: il film sfugge ai canoni classici. Si guarda “come un romanzo”.

 

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