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Furio Focolari: «Il giornalismo oggi è un mestiere triste. Io andavo a cena coi calciatori, ci telefonavamo» 

Al CorSera: «A Messico 86 ci serviva l’olio buono per gli spaghetti. Conti da una finestrella del ritiro ci passò una bottiglia. Oggi sarebbe impensabile».

Furio Focolari: «Il giornalismo oggi è un mestiere triste. Io andavo a cena coi calciatori, ci telefonavamo» 

Il Corriere della Sera intervista l’ex cronista Rai Furio Focolari. E’ stato la voce che ha raccontato i trionfi di Alberto Tomba per la televisione di Stato. Oggi è direttore di Radio Radio.

Racconta le partite di pallone con i colleghi giornalisti.

«Ho avuto una lite con Bettega in una partita Rai-Mediaset: mi disse ‘terrone’, io reagii un po’ male e ci buttarono fuori. Essere espulsi con Bettega è come mettere una tacca sulla pistola».

Focolari parla di come è arrivato a commentare le discese sciistiche.

«Per caso, anche se ero sciatore da sempre: serviva una seconda voce per il grande Alfredo Pigna e nessuno sapeva di sci. Non è che ne sapessi tantissimo a livello tecnico, però ero un grande appassionato e ho avuto una fortuna pazzesca: la prima telecronaca al parterre fu quella della prima vittoria di Tomba al Sestriere in Coppa del mondo. Poi le ho fatte tutte».

Il rapporto con Albertone? Focolari:

«Strettissimo, soprattutto con Paletta, il suo pigmalione. Alla vigilia della prima gara mi dissero che avrebbe vinto, abbiamo anche scommesso una cena, perché sembrava impossibile: partiva con il pettorale 25 e non aveva mai vinto. Appena trionfò, mi disse: ‘Te l’avevo detto e domani replico’. Partì col 24 e conquistò pure il gigante».

La vittoria più emozionante da raccontare?

«Il Mondiale a Sierra Nevada 1996: era sesto dopo la prima manche e nella seconda aveva sciato così bene che Paolo De Chiesa mi disse ‘non lo batte nessuno’. Cominciammo a fare i gufi: uscirono Girardelli, Von Gruningen e altri. Il giorno dopo fece il bis».

Oggi, dice Focolari, fra sport e tv è cambiato tutto.

«Il giornalismo mi sembra un mestiere triste: andavo a cena coi calciatori, ci telefonavamo. Nel 1984 annunciai a
D’Amico che avrebbe giocato col Napoli, avevo parlato con l’allenatore. Come battuta gli dissi che avrebbe segnato: 1-1 gol di D’Amico e Maradona».

C’era complicità.

«A Messico 86 ci serviva l’olio buono per gli spaghetti. Conti da una finestrella del ritiro ci passò una bottiglia. Oggi sarebbe impensabile».

 

 

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