Alla Gazzetta: «Di Spalletti ricordo l’empatia: ti faceva toccare con mano le cose in cui credeva. Sarri insegna a giocare a calcio, Spalletti insegna come stare nel calcio».

Sulla Gazzetta dello Sport una lunga intervista all’ex Napoli Pampa Sosa, portato al Napoli da Pierpaolo Marino nel 2004. Era il Napoli che stava risorgendo dalle ceneri del fallimento.
«Fui il primo tesserato del nuovo Napoli nato dal fallimento. Firmai il contratto in una stanza dell’Hotel Vesuvio. Non esisteva una sede».
Il primo giorno di ritiro, racconta, erano in quattro: oltre a lui c’erano Montervino, Montesanto ed Esposito.
«Non c’era nulla. Zero. Tutto sequestrato. Tutto così surreale».
L’allenatore era Giampiero Ventura.
«Parlava delle sue idee a questi 4 disperati, ma era fantacalcio. Non c’era una squadra e nemmeno la si poteva immaginare. Esposito aveva in macchina il pallone sgonfio del nipotino. Un pallone della Lazio. Facemmo con quello i primi palleggi».
Sosa racconta come fece Marino a convincerlo.
«Mi chiamò e mi disse: ‘Ti voglio portare con me a Napoli, non ti pentirai, torneremo in A e diventerai il re della città’».
Ma non fu questo a convincerlo. Sosa dichiara:
«Mi feci promettere da Pierpaolo che nell’ultima al San Paolo avrei indossato la 10 di Maradona. Era stata ritirata, ma in C valeva ancora la numerazione tradizionale».
L’ultima in casa fu con il Frosinone. Sosa:
«Eravamo già promossi, chiedo a Reja la numero 10 ma lui fa il vago. ‘Vediamo’, mi fa. ‘Vediamo un cazzo, mister!’. Parlai con Pierpaolo e gli ricordai il patto».
Guardandosi indietro, Sosa dice che se quel giorno gli avessero detto che vent’anni dopo il Napoli sarebbe stato sulla cima del mondo come accade oggi, lui avrebbe «chiesto una perizia psichiatrica».
Sosa racconta il primo incontro con Aurelio De Laurentiis.
«Ci disse: ‘Ragazzi, se l’arbitro ci fischia rigore contro voi dovete dire grazie’. Non capiva molto di calcio, ma ci fece subito sapere che gli importava il rispetto delle regole. E poi sa scegliere gli uomini, non ne sbaglia uno».
Alla fine Sosa la 10 la indossò ed è stato l’ultimo ad indossarla.
Il Pampa è stato allenato da Luciano Spalletti a Udine. Racconta:
«Spalletti l’ho avuto a Udine. Se penso a lui, non mi ricordo di come giocava tatticamente. Mi ricordo la sua empatia: te le faceva toccare con mano le cose in cui credeva. Se lo confronto con Sarri, un altro allenatore che stimo e conosco bene: Sarri insegna a giocare a calcio, Spalletti ti insegna a come stare nel calcio».
A Sosa viene chiesto se questo scudetto del Napoli che sembra vicinissimo lo sente anche un po’ suo. Risponde:
«Mi sento d’aver messo il primo mattone, il primo a dire: crediamoci. Il primo atto di fede. Con i compagni, De Laurentis e Marino, abbiamo attraversato l’inferno e oggi siamo alle porte del paradiso».
Dovendo scegliere uno di questo Napoli?
«Facile dire Osimhen, ma scelgo Simeone. Mi ci rivedo in lui. Umiltà, orgoglio, dedizione. Sta in panchina solo perché ha davanti un fenomeno, accettare non è facile ma lui è impeccabile».
Dovrai scegliere se fare il commentatore o l’allenatore. Sosa:
«Ho allenato in Argentina, Bolivia, in Italia e nei Paesi Arabi. Nessun dubbio: mi sento allenatore. Fino a giugno mi sono messo il cuore in pace: seguirò questo Napoli che è come fare un master a Coverciano. Ho tutti i patentini che servono, devo solo trovarmi un bravo procuratore».
Qual è il calciatore più forte con cui ha giocato il Pampa Sosa?
«Guillermo Schelotto al Boca, Amoroso all’Udinese e Pocho Lavezzi al Napoli. Un pazzo. Genio e sregolatezza. Non gli piaceva allenarsi. Per un anno ha fatto finta di non parlare e non capire l’italiano per non avere rotture di scatole».