Momento quasi unico della stagione. Poi, la squadra di Spalletti ha dilagato come al solito. I numeri impressionanti di Kim e Kvaratskhelia
Il solito Torino, il solito Napoli
Se nelle interviste postpartita di Torino-Napoli 0-4 Ivan Juric è sembrato sinceramente soddisfatto, vuol dire che la prestazione del Toro è stata positiva. Vuol dire che la squadra granata, per le caratteristiche che ha, non avrebbe potuto fare di più. E in effetti è proprio così, soprattutto se prendiamo a esame il segmento di partita – tra il minuto 10 e il minuto 25 – intercorso tra il vantaggio di Osimhen e il rigore trasformato da Kvaratskhelia: in quel quarto d’ora, il Napoli è andato seriamente in difficoltà. Dal punto di vista tattico e fisico. Forse come mai in questa stagione così luminosa. Lo dicono i numeri: 6-1 tiri per il Torino; 71%-29% di possesso palla, sempre in favore del Torino; 4-1 nei duelli aerei vinto, ancora per il Torino. Il Napoli è stato bravo e fortunato a uscire dall’angolo, per usare un termine pugilistico. E poi, come detto da Juric nel postpartita, ha punito i suoi avversari.
Il termine punizione è perfettamente centrato. Perché il Torino, da parte sua, non ha cambiato una sola virgola della sua essenza. È stato il solito Torino aggressivo in fase passiva e sempre preposto a giocare il pallone dal basso. Solo che questo tipo di approccio è molto rischioso quando gli avversari sono di livello superiore. E allora non si possono e non si devono sbagliare appoggi in fase di costruzione, non si possono e non si devono fallire le occasioni create in avanti. Il Torino ha commesso questi errori e li ha pagati. Contro un Napoli prima cinico, poi intelligente e infine straripante. La solita squadra di enorme qualità individuale e collettiva. La solita squadra completa e insaziabile che abbiamo apprezzato in questa stagione.
L’avvio
Torino-Napoli è lo scontro annunciato tra il 3-4-2-1/5-4-1 di Juric e il 4-3-3/4-5-1 di Spalletti. Anche le idee e i principi di gioco sono gli stessi di sempre: il Napoli inizia manifestando la solita aggressività nel pressing coordinato, anzi sembra addirittura più aggressivo del solito; il Toro va uomo su uomo fin dai primi minuti quando non ha il pallone, quando invece ce l’ha prova a giocarlo da dietro, a chiamare la pressione avversaria, e poi a liberare gli uomini che galleggiano tra le linee – di solito i due trequartisti, nella fattispecie Vlasic e Radonjic.
In alto le marcature a uomo del Torino, a dir poco esasperate. Sopra, invece, il 3-4-2-1 dei granata con i due trequartisti che si muovono tra la difesa e il centrocampo del Napoli, alle spalle di Sanabria.
È la quintessenza del calcio di Juric, che già ai tempi del Verona – per esempio quando pareggiò a Napoli e tolse la qualificazione-Champions alla squadra allora allenata da Gattuso – partiva dagli stessi concetti. Solo che, come detto in precedenza, ci vuole qualità. O meglio: bisogna metterci la qualità che serve per superare gli avversari, quando pressano, se pressano, per il modo in cui pressano. Quando si affronta il Napoli, una squadra dal grande impatto atletico ed eccezionale nella riaggressione alta, serve una dose massiccia di qualità. Il Torino ha dato sensazione di non possederne abbastanza fin dai primi minuti. Il calcio d’angolo che porta al gol di Osimhen nasce da una rimessa laterale giocata all’indietro e gestita male. Pochi istanti prima del rigore fischiato per fallo su Kvaratskhelia, invece, avviene questo:
Due azioni di pressing con recuperi in zona alta che chiudono il Torino nella sua area di rigore. Poi ci pensa Kim Min-jae-
Il miglior Torino possibile
Nel calcio, nessuna idea tattica è ontologicamente giusta o sbagliata. Molto, se non tutto, dipende dalle condizioni dei giocatori, dal contesto, dal momento della stagione. Dagli obiettivi posti – o imposti – dalle società. Anche dagli avversari. Per quanto riguarda Torino-Napoli, le idee tattiche di Juric hanno funzionato a intermittenza. Prima abbiamo parlato dei risvolti negativi del suo piano-partita, ma come detto ci sono stati anche dei momenti positivi, momenti in cui il Torino ha davvero messo in difficoltà il Napoli. Ma cos’è successo nel quarto d’ora – tra il minuto 10′ e il minuto 25′ – di cui abbiamo già detto qualcosa nel paragrafo precedente, perché la squadra granata riuscisse a creare così tanti problemi agli azzurri?
Molto semplicemente, la strategia di Juric è stata applicata nel miglior modo possibile. E ha funzionato. Il Torino, in quei minuti, è riuscito a esasperare i ritmi delle sue marcature a uomo, così non ha permesso al Napoli di uscire dalla sua metà campo. Allo stesso tempo, i granata sono riusciti a muovere bene il pallone e a portare molti uomini nella metà campo avversaria, sfruttando i vantaggi derivanti dalla disposizione 3-4-2-1 rispetto al 4-5-1 difensivo del Napoli: la superiorità posizionale tra le linee, la possibilità di seguire tracce di passaggio in profondità ma soprattutto in ampiezza. Proprio dalle fasce, soprattutto quella sinistra, sono nate le grandi occasioni costruite dal Toro:
Nel frame in alto, si vede il Torino che porta otto giocatori di movimento nella metà capo del Napoli. Sopra, invece, una classica situazione di due contro uno in fascia derivante dalle contrapposizioni tra 3-4-2-1 offensivo e 4-5-1 difensivo: il pallone sta per arrivare a Vlasic, che può attaccare Di Lorenzo in coppia con l’esterno di parte, Vojovda.
Il Napoli ha resistito grazie a Meret, autore di due parate. Ovviamente anche il palo colpito da Sanabria, dopo una delle due respinte del portiere del Napoli, ha avuto un peso importante su quel segmento di partita. Poi, però, l’enorme dispendio fisico della squadra granata ha presentato il conto. E il Napoli ha ricominciato a governare il gioco con autorità, con tranquillità. L’ha fatto nella maniera più semplice: riappropriandosi del pallone, riaffermando la sua capacità di gestire il ritmo – e anche l’emotività – della gara attraverso il possesso. I numeri, in questo caso, sono piuttosto significativi: negli ultimi 20 minuti del primo tempo, la squadra di Spalletti ha fatto registrare una percentuale di possesso grezzo pari al 58%. Un aumento del 35% rispetto al quarto d’ora immediatamente precedente.
Kvaratskhelia, Kim Min-jae
Il Napoli, pur essendo completamente diverso rispetto al passato, resta una squadra che ama tenere il pallone tra i piedi. Che sfrutta lo strumento del possesso per gestire la partita. Spalletti ha creato un sistema in grado di giocare in verticale ma anche di vivere con relativa tranquillità i momenti in cui sono gli avversari ad avere la palla, ed è proprio questa varietà la grande forza degli azzurri in questa stagione. In ogni caso, però, l’anima, il dna, la filosofia – scegliete la definizione che più vi piace – del Napoli 2022/23 si manifesta in maniera piena, compiuta, quando la sfera è tra i piedi di Lobotka, Di Lorenzo, Zielinski, Kvaratskhelia.
Tutti i palloni giocati da Kvaratskhelia: ora ne parleremo
Abbiamo già mostrato come arriva il secondo gol, quanto è importante il recupero palla in zona avanzata del Napoli. Oltre a quello, però, c’è anche il grande lavoro di Khvicha Kvaratskhelia a tutto campo. La sua presenza, nell’economia della partita giocata a Torino, è stata fondamentale. Basti pensare che l’esterno georgiano ha toccato più palloni (53) rispetto a Lobotka (49) e Zielinski (43). Come si vede nel campetto appena sopra, la sua grandezza non è una questione quantitativa, o almeno non solo: Kvara si muove in tutte le zone del fronte d’attacco, si sovrappone internamente ed esternamente, taglia profondissimo da sinistra a destra per offrire un’ulteriore linea di passaggio ai suoi compagni di squadra. In occasione del quarto gol, di cui parleremo in maniera più approfondita tra un attimo, riceve palla addirittura in posizione di esterno alto a destra.
Nell’azione che porta al rigore del secondo gol, un contributo fondamentale viene offerto anche da Kim Min-jae, attraverso una poderosa progressione palla al piede che taglia le linee difensive del Torino. È un paradosso, però un’azione così travolgente passa in secondo piano rispetto all’incredibile impatto difensivo da parte del centrale sudcoreano. Nel suo caso, pure i dati statistici sono riduttivi pur essendo enormi: i 10 (!) interventi accumulati tra contrasti vinti, palloni intercettati e spazzati non restituiscono pienamente il suo dominio assoluto sugli attaccanti del Torino, l’ennesima prova di forza di una stagione incredibile, per brillantezza e costanza del rendimento.
La ripresa e il gol di Osimhen
Nella ripresa, in realtà, la partita tattica non esiste. Il Torino non è riuscito ad alzare di nuovo i ritmi, il Napoli ha continuato a comandare la partita alternando possesso palla illuminato e accelerazioni vertiginose. Come quella di Di Lorenzo che determina l’azione del terzo gol. È stato lo stesso Spalletti, nel postpartita, a sottolineare l’enorme importanza di quella intuizione e di quella giocata da parte di Di Lorenzo: «Guardate cosa fa in occasione del terzo gol, un uno-due lungo trenta metri con Anguissa che incornicia una prestazione da extraterrestre». Non sono parole eccessive:
Sembra tutto molto facile, vero?
Dal punto di vista puramente tattico, questo gol ha un significato enorme. Perché in questa azione il Napoli di Spalletti manda in tilt il Torino di Juric con una manifestazione plastica della sua identità. Anzi: della sua unicità. L’azione di ribaltamento orizzontale pensata, avviata e rifinita da Di Lorenzo fa implodere il sistema di marcature a uomo di Juric, fa collassare tutti i giocatori granata sulla fascia destra difensiva dopo aver fatto densità dall’altra parte dal campo per aggredire su una rimessa laterale. A quel punto, la qualità di Kvara (colpo di tacco), Olivera (cross coi giri contati) e Osimhen (maestoso colpo di testa) fa la differenza, ma tutto parte dalla costruzione. Da Di Lorenzo che taglia il campo in diagonale e nessuno riesce a fermarlo.
Sfruttare i bug degli avversari
Il quarto gol, il primo di Tanguy Ndombélé in campionato, nasce da presupposti esattamente contrari. Ovvero, le qualità individuali di un giocatore – Osimhen – vengono sfruttate in modo che gli avversari cadano nei bug del proprio sistema. Basta vedere il video per capire cosa intendiamo:
E pensare che Perr Schuurs è uno dei difensori che ha assorbito meglio il duello corpo a corpo con Victor Osimhen
Quando Elmas riceve il pallone in posizione a dir poco arretrata, ci sono sei giocatori del Torino nella trequarti difensiva del Napoli. Come impone il calcio di Juric, i suoi uomini erano venuti così in avanti per seguire i loro avversari diretti, per esasperare il concetto di marcatura a uomo. Inevitabilmente, Victor Osimhen ha molto più spazio da attaccare, a sua volta uno contro uno con Perr Schuurs. Un difensore che, va detto, in diversi frangenti della partita ha contenuto il centravanti del Napoli in maniera efficace. Solo che Osimhen è impossibile da contenere, dal punto di vista fisico, per 90 minuti su 90. Qualcosa devi concedergli per forza.
La concessione fatale avviene proprio sul lancio di Elmas: pur di cercare l’anticipo, il centrale del Torino si avventa sul pallone e lo tocca in maniera poco convinta, non decisa, non decisiva. È un errore indotto, dovuto allo stress di dover fronteggiare Osimhen lungo un’intera partita: un compito non proprio da tutti. A quel punto, il centravanti del Napoli ha tutto il tempo per mettere il corpo davanti alla palla e deve solo assorbire le spallate del suo avversario diretto. Tutte cose che gli riescono abbastanza bene. Mentre Osimhen fa tutto questo, il sistema difensivo di Juric è già saltato: Schuurs perde il duello e così si apre il campo per Kvara e Ndombélé, soli davanti a Milinkovic-Savic. Ecco come si serve e come si segna un gol tattico nel senso di cinico, con il Napoli che sfrutta a suo vantaggio l’identità degli avversari.
Conclusioni
Anche a Torino, la brillantezza e la sicurezza mostrate dagli azzurri sono apparse disarmanti. Inoltre non va dimenticato l’andamento della squadra di Juric nelle ultime settimane: un derby giocato praticamente alla pari con la Juventus e poi due vittorie – con zero gol subiti, per altro – contro Lecce e Bologna. Insomma, il Torino era e resta una squadra in forma e difficile da affrontare per chiunque. Lo si è visto proprio contro il Napoli, durante una riedizione del famoso quarto d’ora granata di antichissima memoria. Eppure non è bastato, perché la squadra di Spalletti ha assorbito quella fase sfavorevole e poi ha ricominciato a fare ciò che la rende dominante, almeno nel contesto della Serie A: giocare un calcio troppo vario e troppo qualitativo perché possa essere contenuto.
Aiutato anche dal risultato, Spalletti ha dato un minutaggio più ampio ai soliti subentranti dalla panchina, Elmas, Ndombélé e Simeone. Anche il ritorno in campo di Ostigard e Gaetano è una buona notizia, visto che ad aprile ci sarà bisogno di rotazioni più ampie tra campionato e Champions League. Anche se la sensazione è che il Napoli abbia raggiunto ora, solo adesso, i picchi di forma già toccati in autunno e inverno.
Chissà, forse la seconda parte di stagione è stata preparata così nel mini-ritiro in Turchia, forse questi risultati e questa sensazione di superiorità totale sono semplicemente il frutto della maturità raggiunta e dell’entusiasmo, due percezioni che si nutrono a vicenda e che diventano consapevolezza. In ogni caso, Spalletti ha tra le mani una squadra unica e un’opportunità altrettanto unica di fare qualcosa di speciale, a livello di risultati ma anche di evoluzione tattica. Si può dire, senza aver paura di esagerare, che se lo sia davvero meritato, visto il lavoro che ha fatto. E che sta facendo.