Il figlio di Ciccio Ingrassia al CorSera: «All’inizio ne soffrivano, poi se ne sono fregati e sono stati rivalutati negli anni, come Totò».

Il Corriere della Sera intervista Giampiero Ingrassia, figlio di Ciccio. Racconta l’infanzia del padre, nato in una famiglia poverissima.
«Era nato a Palermo nel povero quartiere Il Capo, figlio di un ciabattino, lavorava col padre a bottega ma era orgoglioso della sua povertà, diceva che non se ne vergognava e che era amico intimo della fame. Con i fratelli, mi pare fossero cinque o sei, dormivano tutti insieme in un’unica stanza. Sin da giovane sognava di fare l’attore ed essendo impensabile per lui frequentare scuole di recitazione, è nato come attore di strada, poi esordì nell’avanspettacolo con le squattrinate compagnie girovaghe. Spettacoli per un pubblico popolare, messi su con pochi mezzi: una volta dovette dipingersi le caviglie di nero con la vernice, perché non c’erano soldi per comprare i calzini che doveva indossare sotto i pantaloni in scena. Quando ebbe le possibilità economiche, fu generosissimo: regalò case ai parenti bisognosi».
Con Franco Franchi, Ciccio Ingrassia girò tanti film. Il figlio racconta la loro fama, quanto erano amati dalla gente.
«Erano talmente amati dalla gente che, andare in giro con la coppia, sembrava come girare con i Beatles. Quando
pranzavamo tutti insieme al ristorante, non c’era un attimo di privacy, una processione di ammiratori: una continua richiesta di autografi e di foto insieme. Una giovane donna si fece autografare addirittura sopra una tetta! Sul décolleté molto aperto, con un pennarello… E mia madre non la prese benissimo. Quando ero ragazzo, non sopportavo molto questo assalto, che non mi permetteva di stare insieme con i miei in santa pace. Oggi capisco che era una grande dimostrazione d’affetto».
La critica non fu molto benevola con il duo Franchi-Ingrassia.
«I film incassavano un botto, ma c’era la moda di parlarne male a prescindere e, secondo me, i critici non li vedevano nemmeno, pur scrivendone malissimo. I primi tempi i due attori ne soffrivano, poi se ne sono fregati e sono stati rivalutati negli anni, come è avvenuto con Totò. Bisogna ricordare che sono stati diretti anche da registi come i Taviani in Caos e Comencini nel Pinocchio. Mio padre ha inoltre lavorato con Petri, Vancini, Fellini. Quando Franco è mancato, papà decise dopo poco di ritirarsi. L’ultima cosa che ha fatto fu Giovani e belli con la regia di Dino Risi, poi disse: basta, dopo anni e anni che non ho dormito, mi voglio riposare, mi godo la famiglia e la pensione. L’ho molto ammirato per questa sua scelta».
Lo ha mai seguito su qualche set? Il figlio di Ingrassia racconta:
«Certo! Avrò avuto 10-11 anni e un giorno in cui non dovevo andare a scuola, mi portò sul set di Amarcord. Eravamo in un casale in un bosco vicino Roma. Interpretava il ruolo di Teo, lo zio matto e, in una scena, doveva far finta di farsi la pipì addosso. Mi avevano piazzato proprio vicino a Fellini, un omone enorme con una vocina sottile che, da lontano, lo incitava dicendogli: Ciccio sgrullalo! Sgrullalo! Riferendosi al suo coso… E mio padre, imbarazzato, rispondeva: Federico non posso, c’è mio figlio! Per quel film non vinse il David solo perché venne doppiato dall’attore emiliano Enzo Robutti: Fellini non voleva l’accento siciliano, ma emiliano. Peccato, se lo sarebbe molto meritato».