La mia generazione non ha avuto tanti idoli, i miei ricordi sono legati alle punizioni di Sesa. Ora si può fare il tifo per il Napoli col petto in fuori.
Un caro amico di famiglia mi ha scritto un messaggio qualche ora fa. “Non so perché – mi ha scritto – ma in questi giorni quando penso ai tempi duri del Napoli tengo la tua voce nelle orecchie che dice: attenzione, posizione Sesa!”.
A dire il vero, ci ho messo un po’ a collegare. La mia voce – questo è certo – doveva essere la voce di un bambino di cinque o sei anni, visto che Sesa ha giocato a Napoli dal 2000 al 2004. Doveva essere il Napoli di Zeman e Mondonico. D’improvviso, poi, ho ricordato nitidamente il giochino che mi faceva fare mio zio Raffaele: si diceva “posizione Sesa” (o “posizione Jankulovski”, a seconda dell’annata o della posizione in campo) con le mani giunte e la speranza di un’esultanza più o meno ogni volta che gli azzurri dovevano battere un calcio piazzato.
Sesa su punizione aveva fatto più di qualche gol, uno storico contro l’Inter quando vestiva la maglia del Lecce. Su YouTube, in realtà, se ne trovano di stupendi. Non so se poi ne ha fatti altri col Napoli, ma quelle magiche annate salentine, a quanto pare, gli erano valse una certa affidabilità. O almeno era quello che a casa, forse per stimolare i sogni della mia bella ed ingenua fanciullezza, provavano a farmi credere.
Piano piano ho rivisto il mio vecchio salotto, prima che ristrutturassimo casa. Lo zio che mi teneva in braccio, gli occhi di tutti noi puntati alla tivù. A casa avevamo Stream, perché papà anche nei tempi più bui non voleva perdersi una partita. Via via accoglievamo una buona parte dei nostri parenti, ospite fisso il nonno. Spesso, non a caso, arrivavano pure i vicini e diversi amici di famiglia. Tutti a guardare la partita a casa nostra. Era una specie di festa nonostante fossero anni dove i dolori vincevano decisamente sulle gioie.
E pensare che prima di questo messaggio io lo svizzero Sesa me l’ero praticamente dimenticato. Anzi: l’avevo proprio rimosso. I miei primi ricordi nitidi legati al Napoli mi parlavano semmai del Pampa Sosa e di Calaiò, al massimo – ma proprio a scavare bene – qualcosina di Dionigi e Stellone.
E forse, chissà se paradossalmente, è proprio il fatto che avessi del tutto dimenticato Sesa e la “posizione Sesa” ad avermi fatto avvertire ancora una volta l’amarissimo retrogusto che ha accompagnato la mia generazione di piccoli tifosi, quella del tardo post-Maradona. È stata una generazione sfortunata, che gli idoli purtroppo è stata più o meno volutamente costretta a cercarseli da un’altra parte, da Ronaldo il fenomeno a Shevchenko passando per Totti e Del Piero. Campioni che affascinavano il mondo mentre qui si bazzicava tra una squadra che faticava a salvarsi in B, il fallimento e i continui cambi al vertice del club. La mia insomma è una generazione di ragazzini che gli idoli – ben al di là dei racconti su Diego, che restavano racconti – non ce li ha avuti proprio a portata di mano… o, meglio, “a portata di stadio”.
È anche per questo che, soprattutto in questi giorni, il capolavoro del Napoli, un capolavoro targato De Laurentiis-Giuntoli-Spalletti, andrebbe celebrato. Innanzitutto perché ha dato l’opportunità ai bambini, napoletani e non solo napoletani, di fare il tifo per il Napoli col petto in fuori. I ricordi dell’infanzia sono quelli che ci accompagnano per tutta la vita ed è profondamente dolce sapere che nessun fanciullo di cinque o sei anni – ci si può mettere la mano sul fuoco – potrà arrivare a dimenticare quel centravanti nero con la maschera e i capelli biondi, che riusciva a volare in cielo più in alto di tutti su ogni cross, come un supereroe. Nessuno di loro potrà scordarsi, nemmeno tra vent’anni, del genio georgiano dal nome impronunciabile che ha sconvolto gli equilibri di un campionato che all’inizio sembrava, ma proprio ai più ottimisti, “di passaggio”. Sono loro i due eroi indimenticabili di questo collettivo meraviglioso.
Ecco: è forse questo – tra tutti gli altri – il merito più grande della gestione De Laurentiis e del Calcio Napoli degli ultimi dieci/quindici anni: aver riportato il grande calcio – prima ancora che lo scudetto, che arrivi oggi o tra qualche giorno – dalle nostre parti. Aver restituito il sogno e la gioia ai più piccolini, che ne hanno più bisogno di tutti. Senza la necessità di inventarsi qualche giochino per farli innamorare (con tutto il rispetto…) delle punizioni di un David Sesa qualunque.