Il Napoli non ha perso il duello tattico, anzi. È mancato Osimhen ma soprattutto la capacità di reagire a momenti difficili e a situazioni avverse
Il risultato oltre il duello tattico
Come scritto da Massimiliano Gallo nel suo commento a caldo pubblicato sul Napolista subito dopo il fischio finale, Milan-Napoli 1-0 non è stata una partita decisa dalla tattica, o attraverso la tattica. Perché stavolta Spalletti non si è fatto incartare da Pioli e non ha rinunciato a presentare un Napoli propositivo, volitivo. Anche efficiente, se vogliamo. Da questo punto di vista, il fatto che il Napoli sia riuscito a non subire il secondo gol con oltre 20′ di gioco in inferiorità numerica è un segnale importante. Un segnale ancora più importante è quello arrivato dalla squadra azzurra negli ultimi minuti: pur essendo in dieci e senza un attaccante vero in campo, perché Raspadori è in condizioni davvero pessime, Mike Maignan ha effettuato una parata dall’altissimo coefficiente di difficoltà – su conclusione di Di Lorenzo. E pochi minuti dopo Mati Olivera ha sfiorato di nuovo il gol del pareggio.
Insomma, il Napoli ha mostrato di avere ancora benzina nel serbatoio e anche una buona tenuta tattica. Dopo snoccioleremo alcuni numeri che testimoniano la bontà della prestazione della squadra di Spalletti. Il risultato, però, ha premiato ancora il Milan. In modo meno netto rispetto alla gara dello stadio Maradona, questo va detto. Allo stesso modo, però, il fatto che il Napoli perda una partita dopo aver vinto – o comunque non perso – il duello tattico deve far riflettere. Deve far pensare ad aspetti relativi alla psiche, alla capacità di reagire a momenti difficili e a situazioni avverse, per esempio l’assenza di Osimhen o quelle di Kim Min-jae e Anguissa per il match di ritorno. Oppure a quel frangente di partita in cui il Milan, ieri sera, ha preso possesso del centrocampo, imponendo il suo calcio fisico, i suoi strappi, la sua forza nel gioco in campo aperto.
Il primo tempo
Ma andiamo con ordine, parlando primariamente di campo. Di scelte tattiche. Spalletti ha iniziato la partita con una decisione inaspettata, ma solo per chi non era a conoscenza della scarsissima forma di Raspadori: Eljif Elmas prima punta, con Kvaratskhelia e Lozano nei loro ruoli classici. Più che la scelta degli uomini, a sorprendere è stata la staticità posizionale di questo tridente: Elmas ha giocato da prima punta pura, per quanto possibile, senza scambiarsi mai la posizione né con Kvara né tantomeno con Lozano.
Fin dai primi istanti di gara – la grande occasione con Kvara è arrivato 57 secondi dopo il fischio d’inizio – il Napoli ha portato moltissimi uomini nella metà campo del Milan. L’obiettivo di Spalletti era quello di aggredire la prima costruzione dei rossoneri in parità numerica, così le due squadre si sono schierate in modo speculare: gli uomini di Pioli impostavano col 3-5-2 asimmetrico, con Krunic terzo centrale difensivo e Brahim Díaz interno di centrocampo; il Napoli faceva pressing con un 4-5-1 che si trasformava in un visionario 2-5-3, con Elmas, Kvara e Lozano sui centrali del Milan e i due esterni di difesa che salivano a braccare i loro omologhi.
In alto, il 4-5-1 del Napoli in fase difensiva contro il 3-5-2 del Milan in fase di costruzione; sopra, invece, vediamo Kvara, Elmas e Zielinski che vanno a pressare altissimi sull’impostazione bassa dei rossoneri.
Nei primi minuti, il sistema ambizioso e il pressing furente del Napoli hanno messo il Milan in grande difficoltà. Ecco qualche numero che certifica questa lettura: nei primi 25′ di gioco, la squadra di Spalletti ha concluso 9 volte verso la porta di Maignan, mentre i rossoneri non hanno mai tirato verso quella di Meret; di questi 9 tiri, 3 sono entrati nello specchio; anche il dato dei contrasti vinti è stato decisamente favorevole agli azzurri (10-4). A funzionare sono state soprattutto le catene esterne: quella sinistra composta da Kvaratskhelia e Mário Rui è stata più creativa (2 passaggi chiave per il terzino portoghese, uno per l’esterno georgiano); a destra, quella di Di Lorenzo, Anguissa e Lozano è stata più continua nel proporre gioco e più aggressiva nel pressing, al punto che Leão ha giocato il pallone solamente 8 volte.
Un bellissimo contropiede
Lo strappo di Leão che vediamo sopra è la prima occasione costruita dal Milan. Si sviluppa in contropiede, per altro partendo da un controllo approssimativo dell’esterno portoghese, ma vale la pena analizzarlo proprio per capire il modo in cui il Napoli ha approcciato la gara. Nel momento in cui Mário Rui crossa – basso, perché in area di rigore non ci sono giocatori bravi di testa – al centro, ci sono sette giocatori nella trequarti campo del Milan. Zielinski svirgola il pallone, Tomori, Krunic e Tonali lo respingono in direzione di Leão, fortunato nell’evitare l’aggressione di Rrahmani e poi folgorante nella percussione solitaria fin dentro l’area difesa da Meret.
È in uno spazio molto simile che è nato il gol del Milan, all’apice di un segmento di partita in cui la squadra di Pioli è riuscita a disinnescare più facilmente il possesso avvolgente del Napoli, forse anche a causa dell’inevitabile stanchezza accusata dagli uomini di Spalletti dopo l’inizio a mille. In occasione della ripartenza rapidissima di Brahim Díaz, a fare la differenza non è un controllo fortunato, piuttosto una grande giocata sul pressing di Lobotka e addirittura Mário Rui, salito praticamente fino a prendersi la posizione di mezzala. Così il Milan si è ritrovato a gestire un’azione fronte porta in superiorità numerica, quattro contro tre, e Bennacer non ha fallito l’opportunità a tu per tu con Meret.
Una bellissima giocata di Brahim Díaz
E qui torniamo al punto di cui abbiamo parlato in apertura: a differenza del Napoli, il Milan ha saputo sfruttare il momento, il vento e pure un evento favorevole. L’ha fatto con cinismo, subito dopo ha legittimato il vantaggio continuando ad aggredire in avanti – Kjaer e Tomori, esattamente come avvenuto nella gara giocata dieci giorni fa al Maradona, hanno approfittato dell’assenza di Osimhen per stare molto alti – e poi sfiorando il secondo gol su calcio d’angolo, con un colpo di testa di Kjaer.
Ecco, il tentativo di Kjaer è stato il quinto tiro del Milan in meno di 20′ di gioco. Tutti questi tentativi sono arrivati dall’interno dell’area di rigore. Come se il Napoli si fosse sciolto, disunito, dopo l’ottimo avvio. Certo, pesa anche il fatto che la squadra di Pioli ha trovato il gol mentre il Napoli ha fallito le sue occasioni. Inevitabilmente il pensiero corre ancora all’assenza di Osimhen, non solo come fattore tattico – per allungare e sfidare la difesa del Milan sul piano atletico, per attaccare la profondità – ma anche come puro terminale offensivo. Ma l’assenza del centravanti nigeriano non può essere un alibi. O comunque non può esserlo più, visto che siamo alla terza partita dopo il suo infortunio. E che quella di ieri sera era una gara valida per i quarti di finale di Champions League.
L’inizio della ripresa
Dal punto di vista del controllo impresso sul gioco, il secondo tempo del Napoli è stato addirittura più incoraggiante del primo. Le occasioni costruite dai giocatori di Spalletti sono state poche, ne parleremo, ma il Milan non ha fatto molto di più e/o molto meglio. Lo dicono i numeri: i tiri complessivi sono stati 7 per entrambe le squadre, solo che fino all’espulsione di Anguissa il Milan aveva concluso una sola volta verso la porta di Meret – per altro al minuto 70′. Dal punto di vista tattico, la partita è rimasta simile a quella del primo tempo, anche perché i primi cambi sono arrivati proprio intorno al 70esimo: Napoli in gestione del pallone e sempre aggressivo ed efficace nel pressing, come mostra chiaramente anche questa mappa dei possessi recuperati fino all’espulsione di Anguissa:
In questo campetto, riferito al secondo tempo e fino all’espulsione di Anguissa, i recuperi palla del Napoli sono segnati in arancione. Quelli del Milan, invece, sono azzurri. Considerando che in questo grafico il Napoli attacca da destra a sinistra, si evince come la squadra di Spalletti abbia aggredito il Milan fin dentro la sua trequarti, per riprendersi il pallone.
Fino all’espulsione di Anguissa, il Milan si è affidato moltissimo ai lanci lunghi (uno ogni 5,6 passaggi, il Napoli ne ha tentato uno ogni 25,2 passaggi) e al gioco in transizione, soprattutto sfruttando il moto perpetuo di Tonali e i movimenti a restringere e poi ad allargare il campo di Leão, ben supportato da Theo Hernández. Il Napoli, in questo frangente, ha pagato l’assenza di imprevedibilità offensiva: Kvaratskhelia è stata l’unica fonte creativa vera degli azzurri, il georgiano infatti ha portato a termine 4 dribbling su 4 e ha servito un passaggio chiave. Il passaggio chiave ci Kvara è arrivato in quella che però è stata l’unica conclusione in porta tentata dal Napoli su azione manovrata: il (debole, leggibile) pallonetto di testa tentato da Elmas e contenuto facilmente da Maignan.
Di Lorenzo, Maignan
Nonostante l’espulsione di Anguissa, sorprendentemente, la partita non è cambiata più di tanto. Perché il Napoli, pur assestatosi dopo i cambi in un 4-4-1 con Politano-Ndombélé-Lobotka-Elmas alle spalle di Raspadori, non ha modificato il suo approccio. Nel senso che ha continuato, per quanto possibile, a difendersi in avanti e a portare molti uomini in attacco a ogni occasione. Così sono nate le due palle gol nel finale: la conclusione di Di Lorenzo deviata miracolosamente da Maignan e il colpo di testa di Olivera che ha sfiorato il palo alla destra del portiere del Milan.
Una delle parate più belle dell’intera stagione calcistica
In questa breve sequenza non sembra esserci tanta tattica, in fondo si tratta di un calcio di punizione e di un’occasione gol che si determina perché molti uomini sono rimasti nell’area avversaria dopo essere saliti per andare a saltare. E invece non è così, perché anche il modo in cui si dispone sulle palle inattive può e sa dire tanto sul piano-partita di una squadra di calcio: qui il Napoli costruisce una grande chance perché ha il coraggio, pur essendo in inferiorità numerica, di lasciare Lobotka ultimo uomo. Di non rinculare subito dopo che il primo pallone messo in area era stato risputato fuori dalla difesa del Milan.
Al momento del cross basso e arretrato di Politano, nell’area rossonera ci sono quattro giocatori del Napoli. Più Elmas appostato fuori, sul centrosinistra, per un’eventuale ribattuta. Maignan compie un intervento strepitoso, ma il punto è che la squadra di Spalletti ha trovato le energie e il coraggio per andarsi a giocare una punizione in questo modo pur essendo sotto nel punteggio. E con un giocatore in meno.
Il fatto che il Milan, da parte sua, non sia riuscito a sfruttare il secondo momento buono della partita di ieri è un segnale importante per il Napoli. Dimostra che anche la squadra di Pioli, per quanto abbia qualità e metta geneticamente in difficoltà gli azzurri per via della sua fisicità debordante, soprattutto a centrocampo, ha dei limiti. Non è ancora in grado di travolgere e uccidere partite così importanti pur partendo da una posizione di vantaggio. O, almeno, non lo è stata ieri sera. E anche questa è una differenza piuttosto significativa rispetto alla gara di campionato finita 0-4.
Conclusioni
Dal punto di vista tattico, Spalletti non avrebbe potuto fare – o anche chiedere – molto di più ai suoi giocatori. I limiti del Napoli, l’abbiamo detto tra le righe di questa analisi, sono stati e restano psicologici, più che di campo. Anche in questo senso pesa l’assenza di Osimhen. Non di un centravanti, ma di Osimhen: il nigeriano è un trascinatore fisico ma anche emotivo, è un giocatore che può e sa caricarsi la squadra sulle spalle. Averlo nel ritorno sarà fondamentale, per Spalletti – l’ha detto proprio lui, l’allenatore del Napoli, nella conferenza stampa postpartita.
Certo, ci sarà da sopperire anche alle squalifiche di Kim Min-jae e Anguissa, ma la loro assenza non sarà un fatto tattico in grado di incidere sull’intero sistema di gioco del Napoli. Anzi, forse la scelta – a questo punto inevitabile – di schierare una mezzala più verticale al posto di Anguissa, che sia Elmas o Ndombélé, potrebbe dare un volto diverso, nuovo, al centrocampo del Napoli. La partita col Verona, in questo senso, potrebbe essere un test di un certo valore, anche per dare un’ulteriore boost di autostima alla squadra.
Proprio da questo punto di vista, a San Siro Spalletti ha ottenuto risposte promettenti. Non ancora sufficienti, però, per vincere. Ed è qui, in questo punto, che dovrà lavorare il tecnico del Napoli: con o senza Osimhen, se il Napoli vuole raggiungere la semifinale dovrà battere il Milan – un avversario forte, per giunta – sia dal punto di vista tattico che emotivo. A certi livelli, in certe partite, bisogna essere più forti in tutti gli aspetti, per vincere. E il fatto che Spalletti, non importa se a torto o a ragione, abbia insistito così tanto sull’importanza del tifo dello stadio Maradona nel match di ritorno, è molto significativo.