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Il Napoli non può mai smettere di sperimentare

Senza Osimhen, Spalletti non ha trovato chiavi tattiche alternative. Il Milan ha dominato tatticamente e agonisticamente

Il Napoli non può mai smettere di sperimentare
AC Milan's Spanish midfielder Brahim Diaz (R) dribbles Napoli's Portuguese defender Mario Rui prior to shoot to score his side's second goal during the Italian Serie A football match between SSC Napoli and AC Milan on April 2, 2023 at the Diego-Maradona stadium in Naples. (Photo by Tiziana FABI / AFP)

Il peggior Napoli contro il peggior avversario

La netta sconfitta del Napoli contro il Milan si spiega solo in parte, una parte minima per altro, con l’assenza di Victor Osimhen. Ne parleremo, ovviamente, perché la mancanza di ciò che Osimhen garantisce ha avuto un peso sull’andamento della partita. Molto più pesanti, però, sono state la grande prestazione del Milan (e di Pioli) e quella molle, svagata e soprattutto imprecisa offerta dal Napoli.

Si sono incastrate diverse circostanze sfavorevoli per Spalletti e i suoi giocatori: l’assenza di Osimhen, come vedremo, ma anche il ritorno dei rossoneri a quella forma (intesa come condizione fisica ma anche come sistema di gioco) che li ha portati a vincere lo scudetto, nonché a essere l’unica contender credibile in questa stagione – prima della crisi vissuta dopo i Mondiali. Nella stessa serata, poi, tutti – ma proprio tutti – i calciatori del Napoli hanno offerto una prova al di sotto dei loro standard. E sono stati giustamente travolti.

Ma andiamo con ordine: il Milan si è presentato al Maradona rispolverando il 4-2-3-1 che aveva fatto le sue fortune. Pioli, però, ha disegnato questo sistema in modo controintuitivo. Gli uomini-chiave sono stati Bennacer e Brahim Díaz: il centrocampista algerino è stato schierato come vertice alto del triangolo di centrocampo; Díaz, invece, ha operato da esterno offensivo teorico. Perché teorico? Perché in realtà la sua posizione era molto più libera, difficilmente intellegibile per i giocatori del Napoli. Soprattutto in fase offensiva, è come se il Milan si fosse schierato con due trequartisti centrali più Leão, larghissimo a sinistra, alle spalle di Giroud.

In alto, le posizioni medie di Napoli e Milan nel primo tempo. In mezzo e sopra, tutti i palloni giocati da Brahim Díaz e Ismael Bennacer: entrambi si sono mossi come dei trequartisti centrali, senza fissa dimora in campo.

Non a caso, viene da dire, il Milan ha costruito addirittura il 44% delle proprie azioni sulla fascia sinistra. Si tratta di cifre inevitabili, visto che Pioli ha scientemente svuotato quel lato di campo, in modo da esaltare i suoi uomini migliori: Leão, ovviamente, ma anche Theo Hernández. Anche in questi casi i dati confermano le sensazioni: il terzino francese è stato il secondo calciatore del Milan per palloni giocati (65) dopo Kjaer (67). Insomma, il Milan ha attaccato soprattutto da quella parte. Come si vede chiaramente nell’azione del secondo gol, quello costruito in modo più lineare dalla squadra rossonera:

Una bella azione

Brahim Díaz, si vede chiaramente, tiene una posizione accentrata, mentre Bennacer fa esattamente ciò che di solito compete al trequartista centrale del 4-2-3-1: va ad associarsi dalla parte in cui la sua squadra costruisce gioco. In questo caso, come detto anche prima, è la fascia sinistra: Leão e Theo creano superiorità posizionale, Bennacer può ricevere facilmente dopo la sponda intelligente di Giroud, proprio Brahim Dîaz attacca l’area salendo a rimorchio. Tutto orchestrato in maniera perfetta.

Come il Milan ha fermato il Napoli

Il Milan ha offerto una prestazione eccellente perché, accanto a questa ottima capacità di costruire gioco sfruttando i suoi migliori giocatori, ci ha messo una fase di non possesso furente eppure precisa. Anche il modo di difendere della squadra rossonera discende direttamente dai cambiamenti operati da Pioli, ovvero il ritorno alla difesa a quattro e la scelta di utilizzare Bennacer come trequartista centrale. Proprio Bennacer, infatti, ha assolto – magnificamente – il compito di schermare Lobotka. Nel frattempo, però, Giroud, Leão e anche Díaz continuavano a rimanere alti, a invadere – letteralmente – la trequarti campo avversaria. Insomma, il 4-2-3-1 del Milan non si è mai trasformato in un 4-4-2 o in un 4-5-1: è sempre rimasto tale, in modo da pressare il Napoli ad alta intensità.

 

Nei due screen in alto, si vede chiaramente il Milan che difende col 4-2-3-1, e Bennacer è sempre attaccato a Lobotka. Sopra, il grafico delle posizioni medie in fase di non possesso conferma questa questa evidenza anche dal punto di vista puramente numerico.

La squadra di Spalletti non è quasi mai riuscita a venir fuori in maniera pulita da questa pressione. Ci ha provato passando soprattutto dalle fasce e soprattutto da Mário Rui, che ha giocato 89 volte il pallone. I dati, però, sono una testimonianza numerica – quindi inoppugnabile – dell’efficacia difensiva del Milan: proprio Mário Rui ha accumulato una precisione dei passaggi piuttosto bassa, 83.6% contro una media stagionale pari all’86%; anche Rrahmani (87%), Kim Min-jae (84.1%) e Di Lorenzo (78.2%) sono stati molto imprecisi in fase di appoggio e di costruzione.

Ed è qui che si è manifestata chiaramente la mancanza di Victor Osimhen. Chi guarda con attenzione le partite del Napoli, sa benissimo che i quattro difensori di Spalletti hanno la tendenza a lanciare spesso il pallone in avanti alla ricerca del centravanti nigeriano. Oppure ad appoggiarsi su Kvara e Politano, che a loro volta cercano il lancio in avanti per il centravanti nigeriano. Questa tendenza si accentua, anzi si esaspera, nel momento in cui un giocatore avversario bracca sistematicamente Lobotka. Contro il Milan questo non è stato possibile, anche perché Simeone è stato fisicamente divorato da Tomori e Kjaer. Vale a dire da due difensori che avrebbero potuto dire la loro anche con Osimhen, dal punto di vista fisico.

La forza del Milan/analessi

Proprio quello della forza fisica è un aspetto fondamentale. E lo è a prescindere da Osimhen, ovviamente. Napoli-Milan 0-4, infatti, è stata una partita dominata dai rossoneri in tutti quegli indicatori che riguardano la parte atletica del gioco: il Milan ha corso di più (112 km complessivi contro 108) e a una velocità media più alta (7.01 km/h contro 6,57); i giocatori di Pioli hanno vinto 23 contrasti complessivi contro i 13 del Napoli; 4 di questi 13 contrasti vinti dal Napoli sono stati vinti dal solo Giovanni Di Lorenzo. Non a caso, uno dei pochi giocatori in maglia azzurra che ieri sera ha offerto una prestazione sufficiente.

Come detto, e come dimostrato, il Milan ha stravinto il duello atletico con il Napoli. Pioli ha deciso di giocarsi la partita su quel piano, quello del pressing intenso e del gioco aggressivo e finanche duro, e ha vinto nettamente la sfida. Spalletti, nelle interviste postgara, ha detto che «il Napoli non è stato preciso nelle uscite dalla difesa, ma il merito è soprattutto della prestazione offerta dal Milan». Tutto vero, tutto verificato. Tutto dimostrato dai dati e dalle evidenze tattiche che abbiamo snocciolato finora.

Il contropiede apparente

Parlando a Dazn, Spalletti ha anche detto che il Napoli è stato «fin troppo generoso nel cercare di andare a ribaltare il risultato, offrendo così quegli spazi che il Milan ha saputo sfruttare alla perfezione». Anche questo è vero, ovviamente, ma la realtà è che il Napoli ha definitivamente perso la partita una volta subito il terzo gol. L’azione che determina la rete di Leão si può definire di contropiede, visto che nasce da un recupero del pallone in zona avanzata di campo e finisce con Leão che duella occhi negli occhi con Rrahmani, ma ha un’essenza e un background decisamente più tattici. Perché strettamente legati ai concetti che abbiamo espresso finora:

Tutto nasce dal pressing

Rispetto alla “solita” impostazione del Napoli, non ci sono queste grandi differenze. Anzi, si può dire che il Napoli giochi esattamente così fin da quando Luciano Spalletti siede sulla panchina della squadra azzurra. Lobotka che scende tra i due centrali – facendo la cosiddetta salida lavolpiana – è una situazione ricorrente. E lo stesso discorso vale per la posizione avanzatissima di Di Lorenzo e Mário Rui, per l’interscambio tra Zielinski e Anguissa, per Kim e Rrahmani alti e larghi per offrire supporto alla costruzione di Lobotka. Persino la giocata tentata da Zielinski – lo stop a seguire con giravolta per superare il marcatore diretto e il movimento a tagliare il campo palla al piede – l’abbiamo vista centinaia di volte.

Quello che cambia, quindi, è il modo in cui Zielinski gestisce la palla. O meglio: il modo in cui il Milan e Tonali, in particolare, aggrediscono i loro avversari. Nella fattispecie, Zielinski. Il polacco perde il contrasto con un avversario che poi ha la tecnica necessaria per mandare fuori giri Anguissa con una finta di corpo. Leão a quel punto è uno contro uno con Rrahmani, ma perché si trovava già in quella posizione. Aveva tenuto alto il pressing e quindi anche il baricentro della sua squadra. Tutto quello che ne viene dopo – il duello in velocità con Rrahmani e poi il dribbling e poi la saetta a incrociare di sinistro – è frutto della sua immensa qualità. E del fatto che il Milan fosse mentalizzato e tatticamente preparato per provare a esaltarla.

La forza del Milan/prolessi

Tonali, Leão, Bennacer e anche Theo Hernández, oltre a Maignan. Era ed è evidente che il Milan avesse – e quindi abbia ancora – diversi giocatori di grande qualità. Se finora questi atleti hanno resto al di sotto dei loro standard, e quindi anche delle aspettative, vuol dire che sono stati commessi degli errori. Contro il Napoli, però, tutti sono tornati a brillare come sanno. Come avrebbero potuto.

I meriti di Stefano Pioli sono evidenti, se guardiamo al modo in cui ha riscritto il software della sua squadra. Allo stesso tempo, inevitabilmente almeno secondo chi scrive, sono evidenti anche i demeriti dell’allenatore rossonero nella gestione complessiva della stagione. Ma non divaghiamo, restiamo su Napoli-Milan 0-4: in questa partita, la squadra campione d’Italia in carica è tornata a essere l’unica contender credibile del Napoli, almeno per quanto riguarda la Serie A. Perché, ripetiamo, i migliori giocatori a disposizione di Pioli sono stati messi di nuovo nelle migliori condizioni per manifestare la loro altissima qualità. E così hanno spazzato via il Napoli.

Per la sfida di Champions che verrà, si tratta di un segnale importante: Pioli ha dimostrato di poter riaccendere quella fiamma che l’ha portato a vincere meritatamente l’ultimo campionato. E questo rende di nuovo equilibrato, qualora non lo fosse stato, il pronostico sul doppio confronto in programma tra pochi giorni.

Il Napoli

Dal punto di vista puramente tattico, il Napoli visto ieri contro il Milan – sempre al netto dell’assenza di Osimhen – è una squadra che non potrebbe far testo, e invece lo fa. Perché le sconfitte di questa stagione hanno delle matrici e delle motivazioni simili: l’incapacità di creare occasioni pulite, derivante dalla buona strategia difensiva degli avversari. Contro il Milan, i numeri sono eloquenti: il Napoli ha messo insieme solo 4 tiri scoccati dall’interno dell’area di rigore, e solo uno di questo è stato parato da Maignan – stiamo parlando della conclusione di Mário Rui respinta col volto dal portiere del Milan. Tutte le altre parate dello stesso Maignan, per altro 3 in tutto, sono nate da conclusioni fuori area.

La mappa degli 11 tiri del Napoli che non sono stati respinti da un difensore del Milan, su 20 complessivi: 7 da fuori e solo 4 dall’interno dell’area di rigore.

Se andassimo a sviscerare questo campetto dal punto di vista del tempo, scopriremmo che il Napoli ha messo insieme soltanto 3 tiri puliti, cioè non respinti o ribattuti dagli avversari, in tutto il primo tempo. Possiamo anche elencarli: la bella girata di Simeone al sesto minuto, arrivata dal centro dell’area di rigore; la conclusione a giro di Lobotka e il tiro di Zielinski quando il punteggio era già di 0-2, entrambi i tentativi sono stati scoccati da fuori area.

Da dove nasce questa sterilità offensiva? Dall’incapacità di uscire in modo pulito che non fosse l’apertura sugli esterni; appoggiandosi su Kvaratkhelia e Politano. Che, a loro volta, avrebbero dovuto superare il loro diretto avversario e spezzare l’eventuale raddoppio prima di cercare una buona giocata. Kvara ci è anche riuscito, qualche volta: 3 tiri tentati, 4 passaggi chiave e addirittura 5 dribbling riusciti. Ma in pratica ha predicato nel deserto.

E non solo per l’assenza di Osimhen: ok, Simeone non è riuscito a muoversi in lungo e in largo come il centravanti nigeriano e non poteva avere il suo stesso impatto fisico, ma anche Zielinski, Anguissa e Politano sono stati poco incisivi. E giocare sempre sulla sinistra, laddove il Napoli ha costruito addirittura il 40% delle sue azioni, alla fine diventa inevitabilmente prevedibile. A maggior ragione se il Milan – una squadra di qualità – pressa benissimo, non lascia profondità e poi si compatta tutta dietro la linea del pallone. La presenza costante di Olivier Giroud nella propria trequarti, in questo senso, è stata piuttosto indicativa.

Conclusioni

Il Napoli senza Osimhen deve cambiare, è questo ciò che emerge da Napoli-Milan. O meglio: doveva cambiare contro il Milan, ovvero una delle pochissime squadre di Serie A che possono anche solo pensare di affrontare gli azzurri da pari a pari, proprio per valore assoluto. Non a caso, viene da dire, all’andata Spalletti non aveva Osimhen, esattamente come ieri. E iniziò la gara di San Siro con Raspadori schierato punta centrale, e con un atteggiamento molto più raccolto, per non dire difensivo.

Ora è chiaro che rispetto a settembre i rapporti di forza siano molto diversi. Allo stesso modo, è inevitabile che il Napoli abbia trovato una sua sua fisionomia definita e definitiva. Inoltre, viene da dire, Simeone è il backup naturale di Osimhen e Raspadori era pure reduce da un lungo infortunio. Ma resta il fatto che Spalletti non è riuscito a preparare qualcosa di diverso per una partita senza il suo centravanti titolare. Per altro, questa partita era da giocarsi contro una squadra molto forte, una squadra che è tornata a essere ambiziosa, aggressiva, molto cinica e anche brillante.

Per chiudere il discorso scudetto – il Napoli deve ancora affrontare Juve e Inter – e soprattutto per la Champions, è bene che il tecnico toscano non ripeta questo errore. Certo, questo discorso va fatto considerando la tara di una settimana vissuta a singhiozzo causa ritorno dalle Nazionali, infatti ora ci sarà un po’ più di tempo per preparare la trasferta a Lecce e poi la nuova sfida al Milan. Proprio in questo senso, però, riprendere a sperimentare potrebbe essere un passaggio fondamentale. Il Milan va sorpreso con qualcosa di nuovo, soprattutto se il match d’andata dovesse giocarsi in assenza di Osimhen. La stagione del Napoli non è ancora finita e l’opportunità di fare qualcosa di unico ci sono tutte. Chi non prova ad andare avanti, del resto, fa sempre molta fatica a camminare.

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